29 dicembre 2011

E che palle...

L'anno scorso, prima di Natale, ho scritto questa cosa, perché è proprio in periodi così che va lasciata aperta quella piccola valvola che durante l'anno si incrosta di quieto vivere. A me il Natale piace, mi piace l'atmosfera anche se non è che qui da me faccia poi così freddo, non credo, a memoria mia, di aver mai avuto da queste parti un Bianco Natale ma vabbè, non fa niente. Insomma non è che sono un tipo che proprio in questo periodo si sente anche più scazzato del solito no, solo che, prima o poi alcune cose vanno dette. Che palle! No? Scendo di casa e trovo tante di quelle cartacce da farci un pupo di cartapesta, anzi, un Pupo, Enzo Ghinazzi, a gradezza naturale; ma vaffanculo a te, signora, che come se non te ne fregasse un cazzo, perchè non te ne frega un cazzo microcefala imbecille, appallottoli e fai cadere sull'asfalto lo scontrino che avevi nella busta e tu che ridi a fare ragazzino?! Che cazzo ti ridi? Non è che tu sei da meno con la carta oliata della focaccia che, porca puttana, non ti andava di fare dieci passi per arrivare a quel fottuto cestino no, non ce la facevi proprio. E basta, bastaaaaaa, tutti quelli che hanno tanto di quel cerume di ego nelle orecchie che tanto non ti sentono, no, c'hanno sempre ragione loro, ma che palle! Ma lo sapete che siete uno sfrangiamento di coglioni? No? Non lo sapete? Ve lo dico io. Voi sapete come le cose devono andare, sempre, e state lì a sfrantumarci le palle con il questo e con il quello, cazzo se c'ha ragione Manuel Agnelli quando canta "la mia generazione ha un trucco buono, critica tutti per non criticar nessuno"; non vi passa manco per l'anticamera del cervello che, magari, anche altri, prima di parlare, magari dico, per caso, un pensiero, nel cervello se lo elaborano dopo aver soppesato delle cose, non sempre parlando tanto per aprire la bocca, e che cazzo! Mamma mia che palle gli oroscopi di 'sto periodo, c'ho Urano in trigono con 'sto cazzo, vedi tu che annata ne viene fuori. Ma poi, tutte le parole del mondo, ma a te, sì, dico a te, gran penna di 'sta minchia, ma ti è mai passato per il cervello che se non ti cagano nemmeno di striscio è perchè fai cacare??? No, lo vogliamo pensare oppure è sempre una specie di complotto fascista per tappare le voci contro? No, fatemelo sapere, e che due coglioni!!! Magari la vita è anche quello che appare, ogni tanto eh, non dico sempre e ci stanno pure cazzi ben più grossi da sopportare. E che palle i consigli sulla linea, c'ho la curva io, non c'ho la linea, rotolo che è una bellezza e allora?? Ma basta, bastaaaaaaaaaaaa, respirate ogni tanto, uscite, guardate il cielo e se vedete un meteorite, andategli incontro.

Voilà, per la prima volta su questi schermi, un post personale, molto personale; scusatemi ma avevo la valvola incrostata, ora sto meglio.

A tutti voi invece, auguro un 2012 meraviglioso, vi voglio bene.

25 dicembre 2011

Buon Natale!

Per tante parole c'è sempre tempo, oggi, semplicemente, vi auguro tutto quello che desiderate, con il cuore.

14 dicembre 2011

Cose che infastidiscono2

Avete presente quando vi viene il languorino tipico della fame di mezza mattina e vi ricordate di aver comprato degli snack in bustina di tarallini aromatizzati e ne andate a prendere una dalla dispensa e prendete con pollice e indice della mano destra la linguetta sulla cima della busta e con pollice e indice della sinistra il lato opposto alla linguetta ed iniziate a tirare con entrambe le mani ma non ci riuscite e non demordete e tirate più forte sforzandovi tanto da farvi venire la vena gonfia in testa e vi iniziano a sudare le dita ed a scivolare e vi parte una gomitata con il braccio destro che colpisce al naso uno che sta passando per caso procurandogli una forte epistassi che poi bisogna tamponare con una pezza con dentro del ghiaccio per fermare l'emorragia e mentre lui si tampona bestemmiandovi in almeno tre lingue tra cui il circassico voi prendete le forbici grandi dal secondo cassetto e vi avventate sulla cima della bustina ma la pellicola di plastica scivola tra le due lame senza tagliarsi ed allora, gettando le forbici sul divano, riprovate con la forza bruta e ce la mettete tutta provocando la fuoriuscita da voi stessi di rumori molesti e non solo ma sentite che la busta sta cedendo magari per pietà ed invece di aprirsi lentamente si squarcia di botto lanciando i tarallini in aria per tutta la stanza e voi vi lasciate cadere stremati sul divano senza ricordavi delle forbici gettavi sopra poco prima? Ecco.

11 dicembre 2011

Sarah

Sarah si sente confusa, come immersa in una ridda di voci che raccontano mille storie diverse oppure una sola, la sua. O come in certi momenti, sott'acqua, giusto vicino alla spiaggia, dove ti arrivano ovattate le grida dei bambini, le chiacchiere dei bagnanti e non capisci nemmeno una parola ma solo il suono, come una tromba con la sordina in un pezzo jazz tutto sbagliato. Quante cose tutte in una volta, “ho solo due occhi...” pensa Sarah, “ho solo due orecchie...”, non posso guardare tutto, non posso ascoltare tutti; confusa, seduta sul letto, guarda le foto appese al muro, guarda il bordo laterale dei suoi libri, messi alla rinfusa secondo un ordine impreciso ma tutto suo; legge i titoli per ritrovare un filo, come la sirena del porto quando c'è nebbia. Sente freddo, ripiombata per un attimo in un ricordo terribile, nell'odore di disinfettante industriale e di pasti di altrettanta natura, di fiori recisi ed appassiti dal troppo sole, dal troppo vento, dal troppo tempo; è caduta in quel ricordo terribile, forse per testardaggine oppure per semplice paura di quello che non scorderà mai, di quello che dentro ha lasciato cicatrici ben più grosse. Non se lo spiega Sarah, come tante altre cose, se lo chiede senza una risposta vera, come una domanda lasciata lì, sul piano della cucina, quasi dimenticata; non si spiega la confusione in testa e quella nel cuore, non si spiega il dolore ma nemmeno la sua assenza, ed allora ha paura Sarah, paura proprio di sensazioni che sembrano sfuggire; gli viene in mente il ghiaccio, quando tieni in mano per tanto tempo un pezzo di ghiaccio perdi la sensibilità; la mano, fino a quando non riprende a far scorrere il suo sangue, non sente più nulla. “Troppe mancanze” si dice Sarah, “Troppe e tutte insieme”; un mondo, una vita, che scappa via all'improvviso giusto un attimo prima di poterla salutare, un futuro che è nuvola nera che copre il sole, la schiena di un amore codardo. Allora le si mozza il fiato, le si annacquano gli occhi e stringe i pugni sul lenzuolo fino a sbiancare le nocche perché vuole di nuovo sentire e ripensa ad altri momenti, a profumi questa volta, odori andati via tanto tempo fa, a sapori antichi ancora sulla lingua ed ha un effetto strano tutto questo; Sarah si sente ancora confusa ma, come un vento caldo improvviso, come una sciarpa messaci al collo da un sentimento silenzioso, per un attimo si scioglie in un tepore lieve; solo un attimo però, solo un momento prima di perdersi ancora in pensieri che sono una foschia fredda, odorosa di funghi e foglie cadute, di autunno che finisce, fino al prossimo refolo caldo di memoria.

04 dicembre 2011

Ritratto di famiglia con maniaco

A volte capita, ammirando un panorama, che una nuvola improvvisamente copra il sole e cambi lo scenario; quello che sembrava un placido scorcio di natura si ammanta, in quella luce filtrata a malapena dalle nubi, in quel cambio repentino di illuminazione, di un aspetto diverso. Eppure non è cambiato nulla, è lo stesso orizzonte che osservavamo giusto un attimo fa ma ci sembra di percepire qualcosa di diverso, di cupo; una specie di brivido ci corre lungo la schiena, magari è solo un attimo ma viene quasi voglia di guardare altrove; è bastata un'ombra e tutto ci è sembrato diverso. Ecco, questo fa Belinda Bauer nel suo Blacklands; descrive una famiglia come tante della periferia dell'Inghilterra, una famiglia che si sforza, ogni giorno, per avere una vita normale ma, in realtà, un'ombra si staglia su tutti i suoi componenti; sulla nonna che osserva dalla finestra in attesa del ritorno di chi non tornerà mai ed il tempo e la mancanza hanno reso dura e silenziosa; sulla mamma che non riesce più a sorridere, ad abbracciare; sul piccolo Davey che, a volte, si chiede cosa succeda ma, soprattutto, su Steven che vorrebbe essere come tutti i dodicenni e che, per farlo, per dare alla sua famiglia quella normalita che l'ombra ha tolto, per tre anni scava nella brughiera alla ricerca del corpo dello zio Bill, ucciso undicenne quasi vent'anni prima da lui, dall'ombra che incombe, Arnold Avery. La Bauer ci prende per mano dalla prima parola del libro e ci mette di fronte ad un incrocio di vite, ci fa essere ognuno dei protagonisti in una girandola che accelera il suo vorticare andando avanti, fino a trovarsi quasi a rincorrere la parola successiva dopo aver letto la precedente per poi arrivare al punto che chiude tutto con una specie di vertigine, accorgendoci, in quel momento, di aver trattenuto il fiato.

28 novembre 2011

Ad un libro non si dice mai di no

Ma te pensa, sono giorni che cerco di scrivere ed invece mi tocca leggere. Conoscete la Marsilio? Beh, ha avuto un'idea geniale, ha chiesto ai blogger di leggere e recensire un libro in uscita ed io ho la fortuna di essere tra quei blogger, voi un po' meno perché poi vi beccherete la recensione ma, sì sa, c'è sempre il rovescio della medaglia. Mi appresto dunque a scaricare l'ebook del libro che ho scelto e a leggerlo per poi farne la mia personale recensione.

19 novembre 2011

14 novembre 2011

La malinconia delle cose compiute

E' il volo della sera tra Milano e Roma e, come al solito, sono seduto vicino al finestrino; di giorno mi piace guardare fuori ed intuire i contorni del mondo, di sera, dimenticarli e trovarne di nuovi. Ad occhio e croce dovremmo essere sopra Pisa, un riflesso della luna piena illumina l'ala e, sotto, l'Arno che serpeggia placido in mezzo alle luci. Così sono le città, reticoli di luci che formano un disegno; come la vita, sono fatte di incroci, come la vita, le capisci solo guardandole da lontano. Attorno si vedono altre piccole macchie di luce, improvvise, nette; svincoli autostradali che sbucano dal buio, per poi sparire di nuovo nel buio intorno, come le scelte. Mi accorgo che tutto questo mi dà un senso di perfezione, di compiutezza, come le ore in punto che durano lo spazio di un minuto ma che sembrano fissate lì immobili. Al pari di tutte le cose compiute, quell'attimo sa di malinconia perché una cosa compiuta non è più in divenire, è l'arrivo di un viaggio, quando ti accorgi che non dovrai più viaggiare. Quel pensiero ne tira con sé altri, altre compiutezze che, in bocca, hanno il gusto amaro della cose che non potranno più essere perché quello che diventa esclude tutte le altre possibilità, toglie l'illusione del forse e, per questo, pur nella sua perfezione, quell'attimo compiuto diventa anche tutti gli attimi che non potranno più essere. Sposto un attimo la testa e, nel vetro, ora vedo la mia faccia, occhi negli occhi, li chiudo un attimo ed è già cominciato l'atterraggio.

16 ottobre 2011

Enjoy the silence

Poi uno dice "gli amici", l'altro giorno ho detto ad una persona speciale: "Marà ho il vuoto in testa, non riesco più a scrivere"; io mi aspettavo conforto ed invece lei ha fatto l'unica cosa che mi poteva spingere a scrivere, mi ha sfidato, sapeva che non mi sarei mai tirato indietro davanti ad una sfida di scrittura ed allora, come l'altra volta, abbiamo scritto due racconti partendo da una ispirazione comune; la volta scorsa mandai io a lei una foto, questa volta è lei ad aver mandato a me addirittura un video. Il risultato lo potete leggere, se vi va, dopo il video, prima il suo racconto e dopo, il mio.



"Le promesse sono fatte per essere spezzate".
Conoscersi ci vuole una vita, ma riconoscersi è un attimo. Io ci sono inciampato così, quasi per caso. E' stato come cadere su di una torta farcita di cioccolato, un atterraggio dolce e cento lavaggi per togliere quelle macchie che non sono andate più via. Troppo riservato, anemico nell'anima, così mi hanno sempre dipinto, mi sono tenuto addosso il vestito del pregiudizio e, mi stava quasi comodo. Almeno finché non ho scoperto di avere una grancassa nello sterno, allora i panni che portavo addosso sono diventati stretti in un attimo. La vita era stretta, tutta intorno a me. Contenerti è stata un'impresa titanica, come provare a mettere un veliero in una bottiglia di gassosa. Rannicchiata con le gambe al petto, i piedi ficcati in quei sandali consunti, gli occhi lontani, fusi come mercurio, la mente in quel posto visibile solo ai tuoi pensieri. Tu volavi via, costantemente. Le anime pure spezzano le monotonie della vita, quando pensi che i tuoi treni siano incanalati su strade stabilite e sicure ecco che ti cambiano il binario. Ti ritrovi lì, come un coglione, biglietto in mano e orecchio teso verso l'altoparlante. Il poco che basta per rigettare il caos nella tua esistenza sterile e calibrata. E ho pensato mille volte a come, nella vita, si è sempre pronti a prendere merda, quasi la si aspettasse, a come si rimanga increduli davanti ad un miracolo. La realtà è che quando uno non pensa di meritare qualcosa, ne ha paura. Io temevo quel tuo piccolo corpo e quell'anima sconfinata. Temevo i tuoi rifugi lontani, solitari, il tuo sorriso pieno e le tue lacrime corrosive. Non ho mai capito se eri il risultato di ciò che rimaneva della tua vita o il preludio di ciò che saresti diventata. Perfetta, quello si, lo sei sempre stata. Di quella perfezione fatta di carne pulsante, di dita veloci, di parole dolci e chirurgiche, di capelli bagnati, di spalle aperte e respiro forte. Non ho avuto braccia abbastanza grandi, né parole convincenti, non ho avuto abbastanza forza nelle gambe. L'ultima volta che ti vidi portavi quel vestito color ocra, quello che ti fasciava i fianchi ricordando all'umanità che tu eri un corpo predisposto all'accoglienza. I tuoi capelli assorbivano i raggi del sole ed ad ogni tuo movimento scoprivo nuove tonalità di colori a me sconosciuti. La realtà è che sono stato stordito dalla tua presenza, anestetizzato dalla tua essenza... un uomo può essere infinitamente piccolo dinanzi ad una donna. Ne percepisce la forza della natura, tutta chiusa in un corpo perfetto in tutte le sue forme. Involucro di quell'anima assordante. Ne "godevo il silenzio".
Ti ho lasciata andar via come si lascia affondare una nave in pieno oceano, pensando di restituire all'immensità qualcosa di davvero troppo grande.


“Ragazzi, lasciatelo stare; non voglio rogne nel mio pub”. Il buon vecchio Mike, ogni volta ci prova; pensano che lo faccia per difendere me ma, in realtà, cerca di evitare danni al locale. Mi chiamo Bob, Bob Grey, se il mio nome vi dice qualcosa, si, sono proprio io, il pugile o, meglio, l'ex pugile; il massimo, quello che si è venduto un incontro ed è stato cacciato dalla federazione. Andavo forte, 37 vittorie negli ultimi 37 incontri, 29 per k.o.; avevo un destro micidiale, veloce e potente, non chiedeva permesso, l'avversario non lo sentiva arrivare e dopo non si ricordava cosa ci facesse al mondo. Una carriera luminosa. Poi quell'incontro; non ho mai cercato scuse, l'ho fatto, sono andato al tappeto all'ottava ripresa, proprio come mi avevano detto di fare; dopo un gancio che non avrebbe stordito nemmeno una mosca; sono andato giù e non mi sono alzato se non dopo che l'arbitro col farfallino non ha decretato la mia sconfitta e credo che, in realtà, non mi sia più rialzato del tutto, sono ancora lì, sul tappeto di quel ring, da più di cinque anni. Ogni tanto vengo a farmi una birra qui da Mike, mi metto al bancone, di spalle alla stanza, come adesso, e mi bevo una pinta di birra scura, quella amara, e mangio salatini stantii. Non ho mai capito come faccia Mike ad averli sempre così vecchi, o il vecchio proprietario del bar ne aveva comprati un magazzino pieno oppure è lui che li invecchia apposta. Mi metto qui e non do fastidio a nessuno, fisso la mia immagine nello specchio dietro il bancone, mangio salatini storici, qualche volta guardo una partita in tv o un incontro di pugilato, divertente no? Fondamentalmente però sto seduto e conto le bolle della mia birra, le guardo scoppiare dense. In realtà mi chiedo sempre perché Mike mi faccia ancora entrare, con quell'incontro anche lui ha perso soldi, un sacco di soldi, ero una “scommessa sicura”. Una volta gliel'ho chiesto; “Mike”, ho detto, “com'è che mi fai ancora entrare nel tuo bar?”, “Spero di rifarmi dei soldi che ho perso, a suon di birre” mi ha risposto e poi ha aggiunto “e comunque non me la sento di mandarti in giro a far danni”. “Far danni”, già, come se a lui danni non ne faccio; una sera sì e l'altra pure che sono qui c'è sempre qualcuno che mi riconosce e vuole dire la sua; non è difficile, ero qualcuno prima di quel cazzo di incontro e qualcuno che, di botto, diventa nessuno fa un sacco di rumore. E' gente che ha scommesso e ha perso, anche con la vita; gente che non ha scommesso ma ci teneva lo stesso oppure gente che esce di casa con l'intento preciso di rompere i coglioni e, di solito, io sono il bersaglio grosso. Certo non è molto intelligente andare a disturbare uno grosso come un armadio e che faceva il pugile, categoria massimi ma, complice l'alcool ed una predisposizione alla stupidità che, di solito, gli si legge facilmente in faccia, una frase rivolta direttamente a me ci scappa sempre; come stasera. Sono arrivato al punto di scommettere con me stesso, guarda che ironia, sul momento in cui avverrà. Di solito non mi giro nemmeno, in fondo hanno ragione a prendermi a maleparole, lo faccio spesso anche io e poi spero sempre che si sentano soddisfatti e che la finiscano lì; lo faccio per loro, e per le suppellettili di Mike. Ma mi sbaglio sempre; non viene ascoltata nemmeno la richiesta di Mike, no, di solito continuano, mi vogliono spiegare perché l'ho fatto, come se non lo sapessi, come se non me lo ripetessi ogni dannato giorno degli ultimi cinque anni; ma loro no, loro devono insistere per spiegarti la loro teoria che, di solito, si riduce ad una sola parola: “fallito” e quando gli faccio notare che, se stanno lì, a quell'ora, ubriachi persi, nemmeno loro sono tanto “riusciti”, si incazzano pure. Stasera sono in due, avranno una ventina d'anni, non possono avercela con me per una scommessa persa, troppo giovani; probabilmente ce l'hanno con me per una speranza delusa, che è molto peggio. Alla fine ci sono un po' di cose fracassate, qualche sedia, un tavolo, molte bottiglie e bicchieri ma, soprattutto, un paio di nasi e qualche costola; come al solito Mike mi chiede di andare, ha ragione, per questa sera ho dato abbastanza fastidio; finisco in un sorso la mia birra, butto giù un altro paio di salatini stantii ed esco; il tizio che sta cantando dallo stereo dice pressappoco che tutto quello che ha sempre voluto, tutto quello che ha sempre desiderato, è lì fra le sue braccia ed allora mi chiedo a me cosa sia rimasto tra le braccia. E me ne torno a casa.

05 ottobre 2011

scripta manent

"Scrivi!" mi dico, "una frase, un rigo appena", parafrasando il titolo di un libro che non ho letto ma il cui titolo mi ha sempre fatto innamorare. Perché ci si innamora di un titolo e lo si gusta come una caramella, come il boccone di un pasto prelibato che hai sempre paura di finire, per quanto è buono. Mi incito a scrivere, mi farei violenza, se potessi, per tirare giù le frasi, per avere l'impalcatura del racconto, anche un fondale di cartapesta, una scenografia completa per il balletto; metterei le parole in tutù, quelle che finiscono con la "a", ed in tuta nera quella che finiscono con la "o"; perché le parole sono viziate ballerine, come etoile di prima grandezza hanno bisogno di un palco e se non glielo dai prima possibile iniziano ad entrare in sciopero, ad occupare il teatro che hai in testa ed allora mi dico "Scrivi!", perché il palco deve essere fatto di assi di legno buono ed il sipario di stoffa pesante e pensante; le quinte devono essere spaziose perché le parole ballano in frasi e non smettono quando il sipario è chiuso ma continuano dietro, e nel retropalco, e nel vicolo scuro dietro il teatro e poi sotto i lampioni, fino alla piazza. Allora cerco le assi giuste, un gioco di luci, un occhio di bue. Il resto del bue lo mangio arrosto perché ci vuole energia quando si scrive; le parole hanno la loro vita e delle regole, solo che le stanno sempre a cambiare, sono anarchiche e realiste, anche quando sognano. "Scrivi!", mi sobillo allora, perché le parole sono sovversive, dicono quello che pare a loro anche se credi che sia quello che vuoi sentire, e ti entrano tra le dita quando ti tappi le orecchie per evitarle; come un carbonaro scrivo in codice per dire qualcosa e in chiaro per non dire nulla, e faccio il viceversa ed il contrario. Mi punto una luce in faccia e dico "Scrivi!", come se dovessi confessare il reato che ha commesso un altro, ed io con lui, a fargli da palo; oppure la verità sulle bugie e le menzogne su tutto il resto. Faccio il poliziotto buono e quello cattivo, faccio il piantone, pure, e quello che dattiloscrive il verbale, errori grammaticali inclusi. Le frasi non è mica così facile stanarle, invidio chi scrive con dita veloci, senza aspettare il fiume. Io lo chiamo così, "il fiume", perché, per quanto mi ingegni a trovar scuse, se scrivo, di solito, mi arriva tutto insieme. Invidio chi scrive parole su parole, come se le mani fossero loro a decidere dove andare a parare, chi si inventa uno stile ed ha la forza di rimanere su quello; io non ce la faccio, ho troppi universi da far combaciare, troppi registri da far suonare, non mi va di rinunciare a qualcuno, sono figli miei, sono tutti uguali. "Scrivi!" mi faccio ronzare nelle orecchie come una mosca cavallina, affamata, nella canicola delle due del pomeriggio, ad agosto; perché le parole, spesso, sono un tarlo, un parassita buono della corteccia prefrontale, della materia bianca sotto la materia grigia, si cura solo sputandolo fuori come uno sbocco di tisi, un nevrotico cachinno; o un sorriso inarrestabile. E mi ricordo una vecchia canzone che parla di un mondo nel cuore senza parole per poterlo esprimere e mi dico che è così, che il mondo ha troppi colori e suoni e profumi che se li elenchi tutti non ce la fai, non bastano le parole e ti devi inventare un altro alfabeto, una grammatica personale; ti devi scavare sotto la pelle, perché le parole sono epidermiche, sono nei della carta, efelidi sulla pagina, lentiggini di pensiero. Mi guardo dentro gli occhi e cerco le parole, stringo i pugni sul bordo del lavandino e impongo allo specchio di scrivere una frase, un nastro di partenza di una storia, così da dipanare un rotolo di avventure; come il rotolo della pubblicità ché, spesso e volentieri, si leggono parole che sarebbero utili come quella carta lì, ed a volte parole che sono come ciò a cui quella carta lì, serve. Provo a prendere al mercato un gomitolo di vocaboli di seconda mano e farne un maglione di prima, una sciarpa per l'inverno, due guanti per evitare i geloni e scrivere ancora, un cappello per non far scappare le idee, qualcosa, una coperta per tutte le stagioni; prendo i ferri e conto i punti, ed anche le virgole e tutta l'altra punteggiatura. "Scrivi!", mi imploro, genuflesso a me stesso per intercessione, per la necessità di dare alle parole la collocazione nella nicchia di un'edicola votiva, dentro un'icona in corpo 12, nei chiaroscuri del Calibri. Rovisto e rimesto cumuli di macerie letterarie, dentro spunti lasciati andare, incipit platealmente rubati da rivendere al mercato nero, a collezionisti della parola dissociata da se stessa, quella che, a forza di ripeterla all'infinito, inizia a diventare un suono sordo, un bordo opaco. Come in uno slum di Nuova Delhi, caccio gabbiani affamati spinti fin nell'entroterra dei significati e lotto per un brandello di lemma trovato per caso, con un'ombra dagli occhi vuoti con una penna al collo pesante come un masso; perché scrivere è lottare, principalmente contro se stessi. "Scrivi!", mi impongo duramente, perché so bene che le parole inaridiscono, si spengono a stare ferme, piantate lì tra le pieghe di storie assurde, come motori che si sbiellano per la noia; le "o" si allargano negli sbadigli fino a diventare grossi ovali stretti, come gli zeri, le "T" abbassano le braccia ed iniziano a somigliare paurosamente alle "I" e ti ritrovi che vuoi scrivere "ITTITI", perché una parola strana ci sta bene, come un fiore arancione su una tovaglia bianca, e ti ritrovi che è diventata "IIIIII", codice a barre col prezzo del tuo cervello, in svendita al bancone dei formaggi. Le parole vogliono stare all'aria ma tutte insieme, come dicono loro; vogliono stare vicine a quelle che dicono loro, hanno le loro simpatie e antipatie; a volte metti una parola vicina a quella che odia e nascono delle risse ossimorose che, per sedarle, non basta il dizionario. Le parole sono rissose, sono delle primedonne da salotto televisivo che, se non ascoltate, iniziano ad urlare senza senso, ad offendersi tra loro. "Scrivi!", mi sussurro liquido, le parole sono una droga e me la vendo nell'angolo più buio della mia coscienza oppure nel bagno di un locale nel sottotetto del mio cranio; l'ho affittato ad equo canone ad un'idea insistente ed adesso che è in mora non vuole andare via; si può andare in crisi d'astinenza da concetti e poi vomitare flussi d'incoscienza e ritrovarsi a far parlare le cose e a far tacere le persone dentro mondi da elefanti rosa o da squali in grisaglia. E mi canzono dicendomi di scrivere e finire in mezzo agli scrittori, a tutti quanti però, quelli con la penna intinta nel cuore e quelli convinti di saper scrivere quando invece sanno solo usare la carta copiativa, quelli che ce l'hanno con il mondo per partito preso e quelli con il partito e quelli senza; mi prendo in giro per farmi finire a sentire quelli che la colpa non è loro, che tutto quanto puzza, sulla carta; lo faccio per stancarmi e stancare le parole, lasciarle lì, da sole, a farsi il bagno separate: i verbi distanti dai sostantivi, gli aggettivi accanto agli avverbi e le congiunzioni a stare insieme a tutti. Cerco di stancare le emozioni che stanno lì ad alimentare le parole, a renderle importanti, una insieme all'altra ma non ce la faccio ed allora mi sorrido "Scrivi!" e lascio a loro, alle parole, il compito di raccontare.

03 ottobre 2011

22 settembre 2011

Questi fantasmi


Definiti come le ombre di mezzogiorno o sfumati come la bruma dell'alba, siamo macchie nell'iride di chi ci guarda, lunghe esposizioni sulla pellicola della vita; siamo persone, sogni, parole; siamo pensieri e idee ed emozioni, e siamo vivi. Anche quando sembriamo fantasmi.

13 settembre 2011

Il terzo dei tre

Sapevo che il mago B mi aveva lasciato come ultimo il lavoro più difficile, ne ho avuto la certezza appena mi è arrivata, fermo posta, la foto.



Si chiama Giovanni ma si fa chiamare Gio; un volto inquietante con il pizzetto. Certo, a prima vista può sembrare innocuo ma ho troppa esperienza per non capire che si sarebbe rivelato un soggetto ostico da terminare; niente a che vedere né con il primo lavoro, né con il secondo. Anche in questo caso cerco di ottenere le prime informazioni dal suo blog, leggo il primo post e mi colpisce la prosa asciutta, leggo il secondo e mi meraviglio della sagacia, leggo il terzo e mi insospettisco della poetica, leggo il quarto e mi sembra di cogliere una certa ripetitività, dopo il quinto "La città delle donne" di Fellini, al confronto, sembra "300", al sesto ormai potrei scrivere un post come il suo anche io:

oh [nome di donna] stanotte ti ho sognata, eravamo in [un giardino, un castello, una spiaggia, una città sconosciuta] guardavo [i tuoi occhi, le tue labbra, il tuo viso, il tuo corpo] e non mi importava di quello che avevamo intorno anche se c'erano [dei banditi, dei nazisti, dei vampiri, dei lanzichenecchi] che avrebbero voluto [rapinarci, ucciderci, violentarci, farci iscrivere a scientology] ma io ho sfoderato [la mia spada, il mio mitra, il mio sorriso, la mia parlantina] e li ho sconfitti e tu [ti sei messa a piangere, ti sei messa a cantare, ti sei accasciata, ti sei spogliata] e ci siamo uniti in un amplesso (il finale è sempre quello).

Alla fine della lettura del blog ho letto più di donne che nei verbali delle intercettazioni del caso Tarantini. Ho la conferma che sarà un lavoro duro da svolgere, durissimo. Arriva il momento di avvicinare il soggetto, è un ricercatore fisico, deve parlare ad una conferenza sulle interazioni tra particelle, mi insinuo tra il pubblico. Il suo intervento è dopo il coffee break, cerco di prendere qualche pasticcino infilando una mano tra due professori che litigano su una teoria e si stanno per accapigliare su una formula matematica che hanno scritto con la crema dei cannoli su un fazzolettino di carta e vedo il mio bersaglio, sorseggia un caffè parlando con un collega ed intanto guarda la cameriera, mi ricorda un documentario che ho visto una volta in tv, c'erano un pitone ed un porcellino d'India. Per il suo intervento, mi siedo defilato in terza fila ma deve aver capito qualcosa ed avermi drogato perché appena inizia a parlare mostrando delle slide vengo colto da una pesante sonnolenza, deve aver usato un gas perché prima di crollare vedo che tutti quelli che lo stanno ascoltando stanno subendo lo stesso effetto. Mi sveglio che mi stanno cacciando perché, addormentandomi sono crollato in avanti ed ho dato una testata fortissima sulla nuca del rettore di una università straniera che mi sedeva di fronte e l'ho mandato all'ospedale; l'ultima cosa che vedo è il soggetto che avvicina la cameriera e le fa una battuta stantia cingendole una spalla; ricordo che alla fine del documentario il porcellino d'India non c'era più. Decido di usare un approccio meno diretto e di avvicinare i suoi conoscenti, vecchi e nuovi, per scoprire se ha qualche punto debole, oltre alle donne. Fingendomi un suo amico che vuole organizzare una sorpresa contatto dei suoi ex compagni di liceo; per prima vado a casa della sua vecchia compagna di banco, una bruna; "Gio è sempre stato un ragazzo molto poetico, ricordo che si infervorara per la politica e per la storia. Mi diceva che ero l'unica stella della classe e che le altre erano solo il mio riflesso; mi diceva che le vere donne sono le brune. L'ultima volta che ci siamo visti è stato una decina di anni fa, siamo usciti insieme e mi ha offerto da bere, poi non ricordo molto altro, in realtà", mi dice carezzando la testa del figlio di dieci anni, un bambino inquietante con il pizzetto. La seconda è la migliore amica della compagna di banco, una bionda; "Gio è sempre stato un ragazzo molto simpatico, ricordo che scherzava sempre sulla filosofia e la geografia. Mi diceva che ero l'unica stella della classe, che gli piaceva fossi a distanza così poteva guardarmi meglio, che le altre erano solo il mio riflesso; mi diceva che le vere donne sono le bionde. L'ultima volta ci siamo visti circa sei anni fa", mi dice mentre aspetta che il figlio esca dal suo primo giorno di scuola, un inquietante bambino biondo con il pizzetto. Vado a parlare con la sua vecchia professoressa di italiano, una rossa di circa sessant'anni, "Gio è sempre stato un ragazzo molto studioso, ricordo che partecipava attivamente alle mie lezioni ed andava bene sia allo scritto che all'orale...aaaaaaah...ehm... Dicevo, andava molto bene, mi confessava che aspettava solo che arrivassi in classe, che aveva occhi solo per me, che le sue compagne erano solo ragazzine svampite e che le vere donne sono le rosse. L'ultima volta che l'ho visto ci siamo presi un caffè, circa cinque anni fa" mi dice carezzandosi il pizzetto sul volto inquietante. Dal periodo della scuola superiore non avevo ottenuto molto, se non il numero di telefono della professoressa che ho buttato appena chiusa la porta alle spalle. Passo ai colleghi dell'università, sperando di avere maggior fortuna; riesco a contattare una cinese con cui ha seguito un seminario, è una seguace buddista, completamente calva; "Gio è sempre stato un collega molto affascinante, ricordo che mi dedicava le costellazioni ed inventava storie. Mi diceva che ero l'unica stella nell'università, che le altre erano solo il mio riflesso; mi diceva che le vere donne erano le calve perché viene fuori la loro vera bellezza senza l'orpello dei capelli. L'ultima volta ci siamo visti circa dieci mesi fa, mi ha offerto una tisana ma non ricordo molto altro", mi dice allattando al seno un neonato con la testa inquietante ed il pizzetto. Oltre al fatto che abbia poca fantasia con le frasi ad effetto non ho ancora scoperto nulla; provo con il suo collega di laboratorio; "Gio è sempre stato un gran lavoratore, analizza dati e fa analisi per tutto il tempo, sta sempre al pc ma non vuole che gli diamo una mano, un vero altruista. Dice che sono il suo unico amico, che gli altri sono solo conoscenze occasionali, che la vera compagnia è quella di un sodale maschio. L'ultima volta che ci siamo visti è stato ieri sera, mi ha offerto una birra ma non ricordo molto altro", mi racconta carezzando un chihuahua dal muso inquietante e col pizzetto. Prendo un appunto mentale che, nel caso di avvicinamento al soggetto, non devo farmi offrire nulla. Decido di seguirlo per carpire meglio i suoi segreti, il mago B mi ha insegnato le tecniche per non farmi scoprire e mi sono utili perché, altrimenti, sono sicuro che mi scoprirebbe subito. Mentre decido sul da farsi passo davanti alla porta del professore con cui ha svolto la tesi, faccio un altro tentativo; "Gio è sempre stato un discente molto attento, ricordo ancora le sue domande pertinenti sull'atomo e le sue particelle. Diceva che ero l'unico professore competente dell'università e che gli altri vivono di una effimera rendita dei passati splendori. Mi diceva che ero come un padre per quanto gli avevo insegnato, anche sulla vita. L'ultima volta l'ho visto circa sei mesi fa, l'ho invitato nella mia baita nei boschi, con la mia famiglia, diceva di conoscere bene quei luoghi. Una persona davvero squisita, pensi, si è offerto anche di portare il cibo alla mia cagnetta", mi racconta guardando la foto di un cane lupo con attorno una cucciolata dal muso inquietante e col pizzetto. Bingo! Finalmente qualcosa di interessante, conosce molto bene i boschi, è un indizio, significa che ci va spesso, potrei avvicinarlo con la scusa di essere un cercatore di funghi che ha bisogno di aiuto. Il soggetto ha una moto di grossa cilindrata con cui sfreccia sulle strade, gli piazzo un segnalatore gps e lo seguo via satellite e così scopro che un paio di volte a settimana passa la notte nello stesso posto, al centro del bosco. Faccio un sopralluogo, trovo una baita che, con una veloce ricerca, scopro essere di proprietà di una società di comodo; non è difficile forzare gli archivi della società e scoprire che il vero proprietario è il bersaglio; significa che ha qualcosa da nascondere; me lo conferma anche il modernissimo sistema di allarme, con tanto di videosorveglianza, che difende la baita. Il lavoro è davvero difficile ma non posso deludere il mago B, soprattutto in questo caso. Disattivo gli allarmi ed entro nella costruzione, sembra tutto normale, niente di particolare ma so che ci deve essere qualcosa; apro il frigorifero ma dentro c'è solo qualcosa da bere, non c'è cibo. Trovo la porta che scende in cantina, appena la apro ho un brivido, dal basso arriva un ronzio di un motore, come quello di un grosso frigo, tipo cella frigorifera. Accendo una luce e vedo che, sotto, c'è praticamente un monolocale arredato con tanto di letto matrimoniale e cucina e sulla parete di fronte alla scala, la porta di metallo di un grosso freezer; quando la apro rimango atterrito dal terrore. Dentro la cella frigo ci sono, quattro cuccioli di foca appesi ai ganci da macellaio, un quarto di rinoceronte bianco, mezzo panda ed un dodo intero. Chiudo prima di svenire e scopro, sul tavolo della cucina, un libro di ricette "manicaretti in via d'estinzione"; devo portare a compimento questo lavoro, non posso lasciare il soggetto libero e, soprattutto, vivo. Fuggo via nella notte, ormai so come colpire. Mi prendo un paio di settimane per organizzare le cose per bene e poi lo aspetto fuori dall'università, mi passa davanti mentre, al telefono, sta cantando il Don Giovanni a qualche ragazza dall'altro capo dell'apparecchio, probabilmente lontana, la povera giovane non sa che fortuna è quella distanza anche perchè, a sentirlo cantare Mozart mi viene voglia di essere Beethoven, per la sordità. Chiude la telefonata e sale in moto, lo lascio andare avanti, so che strada deve fare, è giorno di baita; ad un semaforo lo avvicino anche io su una moto potente e lo guardo con derisione e sfida, so che ha un ego grande quanto Giuliano Ferrara, sicuramente non si tirerà indietro, ed infatti comincia a far rombare la sua moto per raccogliere la mia sfida, al verde parte di scatto ed io lo seguo, conosce le curve a memoria, pensa di battermi facilmente ma anche io ho studiato bene il percorso. Non visto ho dato un taglio leggere al tubo dell'olio dei freni della sua moto, ho calcolato esattamente quando avrebbe perso pressione; arriviamo dove lo volevo portare, su un rettilineo che porta ad una curva a gomito su uno strapiombo, iniziamo a tirare, vince chi stacca per ultimo, lo faccio quasi arrivare in fondo dove frena esattamente sulla macchia di olio che avevo preparato, scivolare giù è un attimo, lo raggiungo che respira ancora, la moto è poco distante, distrutta; con calma mi avvicino, ha la visiera alzata, nonostante la paura il suo sguardo è sempre quello del pitone, gli dico solo "mago B" e lo sguardo diventa quello del porcellino d'India, è solo un attimo, gli spezzo il collo, nessuno capirà che non è stata la caduta a farlo. Gli metto qualcosa in tasca e poi mi avvicino alla moto con molta attenzione, per fortuna non si è incendiata, sostituisco il tubo dell'olio per non far vedere il taglio e vado via, se lo era scelto bene il posto in cui avere la baita, la strada è battuta pochissimo, infatti i soccorsi vengono chiamati solo dopo ore. In tasca gli verrà trovato un mazzo di chiavi ed una cartina con una x ad indicare la baita; la polizia non ci mette molto a scoprire quello che c'è dentro la baita, i giornali, successivamente, ne hanno parlato per giorni.
Tempo di preparazione ed esecuzione del lavoro: sei mesi
Livello di sputtanamento del soggetto: estremo
Questa volta il mago B si è detto addirittura entusiasta.

06 settembre 2011

02 settembre 2011

Cinque anni...

Era il 2 settembre del 2006 ed esordivo con questo post qui, da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, ho due titoli, più anni, qualche pelo bianco nella barba, qualcuno in testa; sfortunatamente anche qualche chilo in più ma queste sono quisquilie no? Quisquilie e pinzillacchere!! Sono passati cinque anni e 432 post, nemmeno troppi, nemmeno 100 all'anno. Ho conosciuto un sacco di persone grazie a questo blog, persone che sono orgoglioso di chiamare amici, persone che dire speciali è addirittura riduttivo. Sono ancora un baol, nel senso estremo che si coglie alla fine del libro; chi lo ha letto capirà, chi non lo ha letto...cosa sta facendo ancora lì?! Di corsa in libreria a comprarlo!!! Sono ancora lo stesso in molte cose, con le stesse domande e le stesse risposte; parafrasando una canzone di Paoli: "Il mio blog ha cinque anni e cinque convinzioni, facendo bene i conti, ne ha cinque più di me" ma, in fondo, i dubbi sono il sale della vita. E voi? Voi che passate spesso, che passate una volta ogni tanto, che leggete sempre, che commentate sempre; voi che commentate raramente, voi che non passate più, che siete passati una volta ma adesso non lo fate più; voi che non lasciate un segno, voi, tutti, cosa mi dite? Cosa devo fare? Cosa devo scrivere ancora? Cosa avete amato? Cosa avreste voluto non postassi? Cosa vi manca? Cosa non vi manca per niente? No, non vi chiedo se devo continuare o meno, quello lo so e non lo so; ogni tanto penso di aver esaurito le cose da dire ma poi penso che non è così e che questo posto, per tutto quello che gli devo, non lo chiuderò mai.

30 agosto 2011

Cose che infastidiscono

Avete presente quando i due veli della carta igienica non sono allineati bene e non combaciano le dentellature degli strappi e quindi, ogni volta che la prendi, si staccano in due punti diversi e si sfaldano e devi aspettare di arrivare almeno a metà del rotolo perchè, per i misteri della fisica rotolistica, i due veli si riallineino? Ecco.

24 agosto 2011

Il secondo dei tre

Visto il buon esito del primo lavoro sapevo che il secondo non avrebbe tardato ad arrivare ed infatti solo pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo dell'Alligatore mi arriva, fermo posta, la seconda foto.


Si chiama Domenico ma si fa chiamare Nico o l'Omonimo, non sembra un tipo pericoloso ma, si sa, l'apparenza inganna, anche io sembro uno come tanti ma in realtà faccio il sicario, non mi chiamo nemmeno Aleister se è per questo; ormai ci basiamo troppo sull'apparenza. Come per il lavoro precedente, grazie al suo blog trovo le prime indicazioni per iniziare la pianificazione; sembra sia una buona forchetta, parla molto di cibo, dalla foto avevo pensato fosse un vegano. Il primo incontro avviene alla sagra del peperone imbottito di strutto, il fatto che lo sponsor della serata fosse il reparto di cardiologia dell'ospedale non mi rassicurava ma avevo un lavoro da compiere. Lo avvicino al chiosco dei peperoni e gli chiedo di consigliarmi cosa prendere. Prendiamo un peperone strutto e mortadella e chiacchieriamo un po', poi passiamo ad un peperone strutto e frutti di mare e mi racconta dei suoi viaggi e poi un peperone strutto e ciccioli lardellati ed a quel punto ho i trigliceridi anche nelle orecchie e non sento più molto, quando mi propone un peperone strutto e tonno ho come l'impressione che anche lui abbia ricevuto una mia foto, fermo posta, e che stia cercando di farmi fuori, riuscendoci alla perfezione; rifiuto dicendo che trovo il tonno un po' pesante ma mi assicura che è quello al naturale, leggero. Al quarto peperone ho le visioni di Giovanni Rana che mi insegna a tirare la sfoglia dei tortellini e cerco qualcosa per favorire la digestione, tipo un idraulico liquido. Sono stremato ma ho ottenuto quello che volevo, mi ha invitato ad una grigliata a casa sua, credo che, alla notizia, ci sia stato un moto di terrore in tutti gli allevamenti nel raggio di tre chilometri. Entrare nella casa del bersaglio è utilissimo per pianificare alla perfezione il lavoro, il mago B me lo diceva sempre. Una volta arrivato l'Omonimo mi chiede se preferisco il petto o la coscia, gli dico che ricordavo che la grigliata fosse di vitello, mi risponde “appunto”; il mio fegato ha un brivido di paura ed il mio fegato ne ha visti di insaccati. A parte il quantitativo di cibo che avrebbe potuto sfamare uno stato centrafricano la serata è piacevole e conviviale, mi chiedo cosa abbia fatto di così terribile il soggetto in questione per meritarsi questa specie di fatwa del mago B che mi viene richiesto di assolvere. Sono tentato di rinunciare al lavoro, in fondo, è una persona molto gentile e non sembra avere luoghi oscuri quando si alza dicendo che mette un po' di musica; gli occhi sbarrati di tutti i parenti ed amici avrebbero dovuto farmi sospettare qualcosa ma mette su Claudio Lolli ed è piacevole da ascoltare. Dopo più di tre ore di Claudio Lolli mi viene voglia di intristire tutta la comunità rom del nord e centro Italia, a mazzate; i vicini di casa hanno approntato una petizione per far spegnere lo stereo, il primo firmatario è lo stesso Lolli capitato, per caso, da amici nella casa accanto; hanno raccontato che volesse smettere con la musica per dedicarsi alla coltivazione del carciofo nano in un eremo sul Pollino. Decido che portare a termine il lavoro è un atto di pietà per i vicini; tornando a casa metto a punto gli ultimi dettagli del piano e sono pronto ad agire, dopo aver smaltito la cena ché mi sento lievemente appesantito, non tanto dai circa due chili di carne plurispecie che ho mangiato ma dalla polenta con il burro fuso sopra usata come uno dei contorni, l'altro era insalata di nervetti e cotiche di maiale. Dopo due giorni di meditazione ed infusi digestivi allo stramonio mi faccio risentire, gli dico che ho scoperto una trattoria nei paraggi che prepara un fantastico cotechino rivestito di pancetta affumicata e lo invito a pranzo, cade nella trappola, come immaginavo. Una volta in macchina gli offro uno snack, un cacciatorino imbottito di tranquillante per rinoceronti, si accascia sul sedile dopo averne mangiati due; per lavorare con calma ho affittato una baita tra i boschi della Maiella, si risveglia intontito, legato ed imbavagliato; mi guarda interrogativo ma basta nominargli il mago B che il suo volto diventa una maschera di terrore e gli occhi gli si riempiono di lacrime, è sicuramente pentito di qualsiasi cosa abbia fatto ma ormai è tardi, non sono un prete; gli inietto una dose di digitale che gli ferma il cuore in pochissimo tempo, ora devo solo approntare la messa in scena per il ritrovamento. Lo metto seduto ad un tavolo da campeggio in una radura appartata con una scorta di duecento chili di cibi ipocalorici, lo ritrovano due escursionisti con la faccia riversa in un piatto di cotechino di tofu e germogli di soia. Come prevedevo, il medico legale la prende per morte naturale; nella sua tasca vengono anche trovati l'indirizzo di un Punto Macrobiotico della zona ed un abbonamento a suo nome, fatto naturalmente da me, alla rivista “alghe commestibili”. Quando Aldo, il proprietario della Trattoria Toscana, a Milano, ha saputo di questo particolare pare abbia detto: “Ce n'è di gente malata in giro, ed io che lo facevo anche entrare nel mio locale, vatti a fidare!”.
Tempo di preparazione ed esecuzione del lavoro: due settimane
Livello di sputtanamento del soggetto: medio alto
Anche in questo caso il mago B si è detto molto contento del lavoro.

16 agosto 2011

il primo dei tre

Mi chiamo Aleister, sono un sicario. Non è il mio vero nome naturalmente, mi faccio chiamare così. Sono diventato quello che sono per noia; i miei giorni scorrevano tutti uguali, guardando lo schermo di un pc per otto ore al giorno e guardando la vita per le altre sedici. Sono diventato quello che sono per caso, un giorno che la vita ha guardato me. Lo so, non è un lavoro di cui vantarsi ma non c'è niente di personale, potete dirmi quello che volete, a me non importa; almeno fino a quando non mi arriverà, fermo posta, una vostra foto con nome ed indirizzo. Non ho fatto tutto da solo, non si diventa quello che sono improvvisandolo, almeno, a me è stato insegnato così; sì, qualcuno mi ha insegnato, il mago B per essere precisi. Non so perché si faccia chiamare così, fino ad allora conoscevo solo il mago G; un giorno gliel'ho chiesto e lui mi ha detto che, continuando così, qualcuno gli avrebbe mandato, fermo posta, la mia foto con nome ed indirizzo, da allora non ho fatto più domande. Come sono diventato quello che sono è un'altra storia, magari un giorno ve la racconterò; vi voglio raccontare di tre dei miei lavori, gli ultimi tre; lo voglio fare perché sono stati tre lavori importanti, mi sono stati commissionati direttamente dal mago B; mi ha contattato sulla chat criptata che usiamo di solito e mi ha detto che, fermo posta, mi avrebbe mandato tre lavori, che dovevo considerarli come un test e che avrei dovuto svolgerli nel migliore dei modi. Dopo nemmeno un giorno mi arriva la prima foto.



Si chiama Diego ma si fa chiamare l'Alligatore, dal suo blog scopro il minimo indispensabile per cominciare a progettare il lavoro. Lo seguo per alcuni giorni e dopo aver studiato le sue abitudini lo aggancio in un negozio equo e solidale, non è affatto difficile, mi basta farmi trovare indeciso di fronte allo scaffale dei caffè che non può fare a meno di venirmi in aiuto consigliandomi un caffè guatemalteco in cui vengono utilizzati chicchi che si presentano spontaneamente alla torrefazione, non sia mai si sfrutti qualcuno per raccoglierli. Devo scoprire il più possibile e lo faccio parlare un po'; mi attacca un pippone sullo sfruttamento delle piantagioni del Sud America e su come i latifondisti vessino i piccoli proprietari: due ore di parole senza soluzione di continuità bevendo una bevanda che sembra fatta mettendo a bagno in acqua calda suole di scarpe, rigorosamente di cuoio, usate nelle marce di protesta; alla fine ho voglia di invadere uno staterello sudamericano per sterminare almeno un paio di villaggi di 'sti agricoltori, tanto per non farli vessare più. E' stata dura ma ce l'ho fatta, so abbastanza per portare a compimento il lavoro. Dopo qualche giorno faccio finta di rincontrarlo per caso nel bar sotto il suo ufficio e con un abile gesto sostituisco la sua borraccia del the verde con un'altra perfettamente uguale. Una roba assurda, quando mi aveva fatto vedere la borraccia, nel negozio equo e solidale, per convincermi a utilizzare sempre quelle così da evitare lo spreco delle bottigliette di plastica, non ci volevo credere; sembrava la borraccia di Aldous Huxley! Forma e colori assurdi, sono convinto che se la guardavi sotto l'effetto del lsd sarebbe sembrata una borraccia normale. Una uguale l'ho dovuta comprare su internet, mi vergognavo a chiederla in un negozio. Nella sua c'era the verde, beve solo e soltanto quello; nella mia, the verde e una neurotossina che, dopo alcune ore dall'ingerimento, provoca l'immediata perdita del controllo del proprio corpo, sei cosciente ma praticamente un pupazzo. Ero sicuro che nessuno dei colleghi avrebbe bevuto il the verde, mi ero informato, aveva talmente rotto le palle con quella bevanda che non solo i colleghi avevano smesso di bere qualsiasi tipo di the ma alcuni si erano dati all'alcolismo pesante ed altri, addirittura, bevevano abitualmente l'acqua di cottura della salama da sugo. Incrociando alla perfezione il tempo di reazione della neurotossina con i tempi del suo percorso giornaliero faccio in modo che perda il controllo del corpo nel momento esatto in cui passa in una zona isolata del parco che attraversa tutti i giorni in bici; da lì è facile prelevarlo senza farmi vedere da nessuno e mettere in pratica la seconda parte del piano. Tutto va come avevo progettato, infatti, giorni dopo la scomparsa, il cadavere viene ritrovato come volevo io ed i giornali della zona titolano a nove colonne “Muore mentre sversa materiale altamente tossico nel lago” ed il cappello continua “si finge ecologista per anni ma in realtà smaltiva materiale inquinante nelle acque del lago”. Procurarmi qualche fusto di scarti di lavorazione chimici non trattati è stato facile, sapevo chi aveva bisogno di farli sparire, ci ho anche guadagnato qualcosa, affittare un furgone a suo nome anche, non aveva una firma così difficile da contraffare né una faccia così particolare da non poterla imitare. La neurotossina poi ha fatto il suo dovere e atteggiarlo come se fosse stato colto da un malore mentre versava il contenuto dei fusti nel lago, un gioco da ragazzi; quando ormai l'effetto della neurotossina era sparito aveva respirato tanti di quei fumi da creparci.
Tempo di preparazione ed esecuzione del lavoro: un mese
Livello di sputtanamento del soggetto: alto
il mago B. è stato molto contento del lavoro, non so cosa deve avergli fatto questo tizio per farlo incazzare tanto.

05 agosto 2011

Dialetto per principianti - lezione 4

Vista l'aria di vacanze non vi voglio tediare (ma? Ma? Vi annoiate con le mie lezioni di dialetto?! Studiate che vi interrogo!) con una lunga lezione ma mi limiterò ad analizzare un singolo modo di dire che può venire utile in molte occasioni:

p'ghjall m'bacc'o'nas

La traduzione letterale sarebbe "prenderlo sulla faccia e (nello specifico) sul naso" ma il significato è "Oibò (bello Oibò eh?), oibò, mi aspettavo che la cosa andasse in tutt'altra maniera, positiva, ed invece, oibò (repetita juvant), è andata nella maniera peggiore". Tale affermazione può essere usata sia riferito a se stessi, in maniera riflessiva e autocritica: u so p'ghjaat m'bacc'o'nas. Ad esempio:

Mi sovviene adesso alla mente che avevi un colloquio di lavoro, orsù (è bello quasi quanto oibò, dite la verità) dimmi, com'è andata? - koum è sciout u kolloqu'j pu fateik?
Guarda, mi sono presentato molto preparato e vestito in maniera acconcia ma mi hanno detto che la posizione non era più disponibile, ed infatti ho scoperto che era stata assegnata al figlio del maresciallo dei carabinieri della locale stazione che non ha nemmeno la terza media. - U sò pìghjaat m'bacc'o'nas.

Ma la forma riflessiva è utilizzabile non solo su istanza di parte, come risposta ad una domanda, ma anche come affermazione solitaria nel caso in cui la situazione necessiti di tale affermazione; ad esempio, giorni addietro avete visto un capo di vestiario che vi interessa molto e che è anche scontato, in un negozio del centro; non vi siete fermati subito ma avete detto a voi stessi che quanto prima sareste dovuti tornare per comprarlo; prendete la decisione in un assolato pomeriggio di canicola estiva e fate una decina di chilometri fino ad arrivare di fronte al negozio che reca il cartello "chiuso per ferie"; in tal caso la suddetta affermazione sorge spontanea alle vostre labbra con un Mooo, u sò p'ghjaat m'bacc'o'nas! a cui aggiungerete stramuort vari come riempitivo.

Naturalmente la nostra amabile esclamazione può essere utilizzata anche per rivolgersi a terzi provocando un subitaneo senso di spiazzamento in chi la riceve; esempio:

Mi scusi, buon uomo, stavo già parcheggiando io lì - Auè, u mè! M stæv a mett jì dè
Mi dispiace non l'avevo vista ma ormai ho parcheggiato - E ji t so fr'k't, mo ce uè?!
Vediamo cosa ne pensa quel vigile che sta arrivando - Schæm, v'deim c deisc u guard'j mo, a veit?
Guardi che qui è divieto di sosta, non può parcheggiare - A mak'n dò na pout stè, te fè a condravvenzioun
Ecco, le sta bene! - Pighjl m'bacc'o'nas!

Vedete dunque quanti utilizzi ha? Sbalordite i vostri vicini di ombrellone facendovi ascoltare mentre, leggendo delle ultime peripezie giuridiche del Premier, esclamate Pighjl m'bacc'o'nas!; al massimo, se preferite dare più enfasi, dite Pighjl n'goul! Tanto siamo tutti maggiorenni.

Nella vita, in fondo, prima o poi capita a tutti di p'ghjall m'bacc o nas...

02 agosto 2011

Bologna, 2 agosto 1980, 10:25

Faceva caldo? Il due agosto doveva fare caldo per forza, ma tanto? In fondo era mezza mattina, mica le 14, l'ora della canicola; ed era umido o secco? Era nuvolo o sereno? E quante facce c'erano, quanti sorrisi in partenza e musi in arrivo? E magari qualcuno s'era fregato la valigia di un altro, così, lasciata incustodita? Oppure tutti si tenevano stretta la propria? Si sentiva bene la voce negli altoparlanti? Oppure era il classico gracchiare che non ti fa comprendere proprio il binario che serve a te e magari invece hai capito tutte le fermate? E quanti pensieri si incrociavano e turbinavano dentro e fuori la stazione? Forse queste domande non avranno mai risposta, non importa; sono altre le domande che devono avere risposta.

A volte servono le proprie parole, altre volte calzano meglio le parole degli altri; questo blog, in fondo, è dedicato a Stefano Benni ed allora leggete le sue parole:




Buon 2 agosto a tutti.

24 luglio 2011

La linea d'ombra reloaded

Burns, primo ufficiale

Sono stato per anni primo ufficiale di questa nave, ricordo ancora la prima volta che ho salito la scaletta di legno, era al porto di Singapore e l'alba salutava l'evento con la sua luce dorata riflessa sul mare calmo. Ricordo di aver guardato l'albero a proravia e tutta l'imponente alberatura insieme ma non ho memoria di quello che mi passava per la testa in quel momento, forse tutti gli insegnamenti prima di diventare ufficiale o, semplicemente, il sorriso di una ragazza sulla banchina, prima di salire; so solo di aver provato la consapevolezza del cambiamento, quell'attimo della vita in cui varchiamo il sottile confine tra giovinezza ed età adulta; spesso non se ne ha la percezione, se non a posteriori ma ricordo distintamente di averlo percepito, come se quei legni fossero la linea d'ombra che separa ciò che era e ciò che sarà. Ho servito per anni su questa nave, ho imparato a conoscerne ogni angolo ed ogni segreto, ad ascoltare la sua voce, il sibilo di quando scivola fendendo il mare felice di un vento favorevole o lo schiocco ed il colpo delle onde alte quando il mare gli è avverso. Ho imparato l'alfabeto del legno, il gemito diverso ad ogni mutamento del clima. Mi sono tagliato le mani con le corde della vela ed il mio sangue è diventato un po' anche il suo e se l'umidità ed il salmastro possono essere definite la sua linfa, allora anche il suo sangue è diventato il mio. Per anni sono stato il primo ufficiale sotto il comando del vecchio capitano eseguendo gli ordini con celerità e cercando di far presente quando non erano quelli più adatti. Sono stato l'unico a sfidare la sua autorità, a lottare per l'equipaggio, per la nave, per me; ormai completamente al di là di quella linea d'ombra, della mia età adulta. Ho vinto io, ho evitato che quel folle farabutto del vecchio capitano ci portasse all'inferno con lui quando, divorato dalla febbre, voleva farci andare alla deriva ed ho manovrato la nave insieme all'equipaggio portandola in salvo nel porto di Bangkok, dopo aver dato un immeritato funerale marino al vecchio pazzo. Anni ed anni al servizio di queste vele, perché è per loro che, in realtà, sono primo ufficiale; mi aspettavo il comando ed invece la mia nave viene affidata ad un novellino, un giovane comandate al primo incarico, un ragazzo con gli occhi di chi non ha ancora attraversato la sua linea d'ombra e, che il Signore ci protegga, probabilmente noi attraverseremo con lui.


A me è sempre piaciuto leggere e qualche tempo fa ho pensato a come sarebbero potuti essere, i libri che mi sono piaciuti, riassunti in un'altra maniera oppure osservati dal punto di vista dei personaggi secondari, per questo sono nati i reloaded.

21 luglio 2011

12 luglio 2011

Quella lì

Qualche tempo fa uscì un libro, si intitolava "L'ora preferita della sera", non mi ricordo l'autrice, mi ricordo che era una donna, credo, non sto qui a cercare con google, faccio la persona onesta, non mi ricordo. Quando uscì il libro mi colpì il titolo, mi dissi che lo avrei letto, cosa che poi non ho fatto ma è un'altra storia e poi potrei sempre rimediare. Il titolo è una cosa importante, l'ho sempre pensato, sta tutto lì, nel titolo, nella prima cosa che colpisce e ti porta ad aprire le pagine e pescare a casa frasi e parole. Ma cosa c'entra? Cosa ci azzecca con questa foto di Polignano, con i colori pastello, le sfumature confuse di mare e cielo? Credo poco o nulla, però, insomma, per me l'ora preferita della sera è quella lì, quando il sole è tramontato solo da un attimo ed è come se si calmasse il mondo, ecco, sì, la mia ora preferita della sera è quella lì.

05 luglio 2011

Amico, perso, twittare

Ancora una volta devo fare una piccola premessa: a fine ottobre del 2009 ho chiesto a voi che mi leggete (quelli che sono rimasti) di propormi tre parole, per l'esattezza un sostantivo, un aggettivo ed un verbo, io poi le avrei usate per scriverci un post. Arrivarono trentaquattro triplette ma ormai avevo promesso e così mi sono avventurato in questa missione. Faccio la premessa perchè, come al solito, tra un post e l'altro ho fatto passare una marea di tempo, i vecchi racconti li potete leggere qui e questo di seguito è quello nuovo.

Il post dalle tre parole di Zion


Every whisper of every waking hour

Che ore saranno? Le due? Le tre? Ho twittato l’ultimo messaggio ed ho chiuso gli occhi un momento, devo essermi addormentato. Mi stropiccio le palpebre con il pollice e l’indice della mano destra per cercare di far andare via quel fastidio fisso, in mezzo agli occhi. Guardo lo schermo del computer, sono le tre di notte ma potrebbe essere mezzogiorno o le cinque del pomeriggio e non cambierebbe nulla in questa notte artica senza fine. Mi tocco una guancia e sento la barba ispida e dura, chiaramente rasata male, non so più quanti giorni fa ma potrebbe anche essere stato stamattina; sarà per la posizione estrema ma il tempo da queste parti diventa un concetto relativo, scorre lento, talmente lento da addormentare anche i pensieri, forse è per questo che sono venuto qui, non me lo ricordo più. Mi appoggio allo schienale e sparisco per metà dal cono di luce della lampada da scrivania che crea un’isola definita nel mare color pece del buio; cerco di ricordarmi cosa mi ha portato lì, un grosso debito di gioco? Un amore perso? Oppure solo la noia? Sei mesi in una base scientifica quasi completamente automatizzata al circolo polare artico, a nord di tutto. Sono l’unica forma di vita qui dentro ed ho il compito di monitorare la strumentazione e di comunicare periodicamente su Twitter; con tutta la tecnologia che c’è qui dentro io a cosa servo? Ogni tanto penso che l’esperimento sia su di me e che siano le macchine a monitorarmi e non il contrario, ma in realtà non mi importa. Forse ho accettato perché la paga era buona e non avevo altro di meglio da fare, l’ho detto: noia; non ricordo nemmeno da quanto tempo sono qui, da quanto non parlo con un amico, dal vero, faccia a faccia, magari di fronte ad una birra, qui sarebbe sicuramente ghiacciata al punto giusto. Ricordo che all’inizio, attraverso internet, cercavo di mantenere un contatto con il mondo esterno pensando di ingannare la solitudine ma, come il gelo, alla fine è entrata dentro le ossa e adesso mi limito a mandare i messaggi periodici e a perdere interminabili partite a scacchi con il computer. Ho anche scordato il suono della mia voce; quando ho cominciato parlavo da solo, ripetevo le procedure, elencavo i risultati; tanto per esorcizzare il silenzio che c’è qui dentro che il lieve ronzio delle macchine in funzione non fa che evidenziare ancora di più; poi, poco alla volta è come se quel silenzio, quel ronzio, siano diventati una parte del tutto, come se, da andare in dissonanza, da essere “disturbo”, si siano armonizzati con il rumore dei pensieri fino quasi ad annullarlo ed è piacevole in realtà, è come fondersi con l’ambiente, smettere di essere al centro dell’attenzione e diventare una parte del tutto, abbastanza zen come cosa. In fondo è ironico, si passa la vita a cercare di essere protagonista e poi ti ritrovi che non sei nemmeno una comparsa ma proprio parte della scenografia, una sagoma di cartone, e ne sorridi anche. Forse è semplicemente questo il senso di tutto, avevo speso troppo tempo a rincorrermi che per capire ho scelto di fermarmi, ed è stato allora che mi sono raggiunto ed adesso passo il tempo semplicemente contando ogni respiro che faccio quando sono sveglio. Prima di ricominciare a correre.

21 giugno 2011

Il tuffo

Il cielo è di un azzurro che fa male, sfumato quel tanto che basta per non sembrare finto; guardo la linea esatta dell'orizzonte e mi calmo, arrivo anche ad immaginarmi il silenzio intorno. Il mondo a volte è un posto scomodo, soprattutto con i muscoli sempre in tensione, ed allora tiro su dal naso tutto l'ossigeno che posso e smetto di pensare, giusto il tempo esatto a prendere la misura tra me e l'infinito, fatto di blu scuro e profondo; e poi mi lascio andare ed il volo è un attimo eterno che finisce in una corona di schiuma. Il tempo di un respiro freddo e poi, di nuovo, la luce forte del sole.

13 giugno 2011

57%



Ricordo di aver visto quella partita in tv, per caso, perchè non uscii quella domenica.
Ricordo che, da buon antijuventino, ho goduto come un riccio.
Ricordo che il gesto fu rivolto ad uno dei giocatori che odiavo di più, Tudor.

Ma tutto questo ora non c'entra perchè trovo il video mooooolto più adatto ai risultati elettorali.

GRAZIE DI QUORUM

(lo so, questa è al livello dei peggiori titoli dei quotidiani sportivi)

Quanto a me (perchè, insomma, un po' di news dovrei darle), a parte il bellissimo risultato del referendum che mi sta facendo ridere e sorridere da oggi pomeriggio, sto, come al cazzo ma sto.

03 giugno 2011

Non dimenticar...


Come voterò l'ho già detto un po' in giro ma lo ripeto: tre grosSI SI ed una scheda nulla perchè ritengo che contrastare la privatizzazione dell'acqua ed il legittimo impedimento sia più importanti di quello che avanza.
Voi ricordatevi di andare a votare, è un referendum, l'ultima rappresentanza della democrazia popolare che ci è rimasta e poi, su, non è che c'è da scrivere niente, sono facili facili, quattro fogli con due caselle, uno con un SI e l'altra con un no, voi ci mettete una bella croce sopra e vi sbrigate in 5 minuti...e poi ve ne andate al mare belli tranquilli e SIcuri!

16 maggio 2011

Sintetizzando

- Ma si può sapere cos'hai in questi giorni?
- Eh...
- Eh che?
- Se sapessi...
- Se me lo dicessi...
- Sono un ipocondriaco convalescente.
- In pratica ti stai riprendendo dal non aver avuto un cazzo!
- Lo sai che il tuo dono della sintesi è davvero fastidioso?

11 maggio 2011

Itaca

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sara` questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
ne' nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta; piu' profumi inebrianti che puoi,
va in molte citta` egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
gia` tu avrai capito cio` che Itaca vuole significare.

Kostantin Kavafis


Vorrei capire tante cose, magari succederà quando avrò smesso di aspettare.

07 maggio 2011

solo una canzone

Hai cercato di capire
e non hai capito ancora
se di capire si finisce mai.
Hai provato a far capire
con tutta la tua voce
anche solo un pezzo di quello che sei.
Con la rabbia ci si nasce
o ci si diventa
tu che sei un esperto non lo sai.
Perché quello che ti spacca
ti fa fuori dentro
forse parte proprio da chi sei.

Metti in circolo il tuo amore
come quando dici "perché no?"
Metti in circolo il tuo amore
come quando ammetti "non lo so"
come quando dici "perché no?"

Quante vite non capisci
e quindi non sopporti
perché ti sembra non capiscan te.
Quanti generi di pesci
e di correnti forti
perché 'sto mare sia come vuoi te.

Metti in circolo il tuo amore
come fai con una novità
Metti in circolo il tuo amore
come quando dici si vedrà
come fai con una novità

E ti sei opposto all'onda
ed è li che hai capito
che più ti opponi e più ti tira giù.
E ti senti ad una festa
per cui non hai l'invito
per cui gli inviti adesso falli tu.

Metti in circolo il tuo amore
come quando dici "perché no?"
Metti in circolo il tuo amore
come quando ammetti "non lo so"
come quando dici peché no.



No, non è ancora un ritorno...

04 maggio 2011

Manutenzione

Beh, dopo più di quattro anni e mezzo questo blogger ha bisogno di un po' di manutenzione; mi prendo una pausa dal blog, non sarà una cosa lunga, lascio tutto qui.
Buona vita a tutti eh!

03 maggio 2011

Da bambino volevo guarire i ciliegi quando rossi di frutti li credevo feriti, la salute per me li aveva lasciati coi fiori di neve che avevan perduti


Parole tratte da "Un medico" (De Andrè - Bentivoglio - Piovani), traccia numero 6 del meraviglioso disco del 1971, "Non al denaro, non all'amore, nè al cielo" che si ispirava alla Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters...Alligatò, mo non fare il precisetti come al solito!!!

27 aprile 2011

Libro, rispondere, incantevole

Una piccola premessa per i nuovi lettori (ed una rinfrescata di memoria ai vecchi, se ce ne sono ancora); il 25 ottobre 2009, in preda al timore di avere l'ispirazione molto stanca ho chiesto ai miei amati lettori di propormi tre parole, per l'esattezza un sostantivo, un aggettivo ed un verbo, e poi io ci avrei scritto un post. Oltre le mie più rosee aspettative mi sono state proposte trentaquattro triplette di parole ed io mi sono ripromesso che avrei scritto un post per ognuna delle trentaquattro triplette. E' passato un sacco di tempo e più della metà dei post è stato scritto, li potete leggere tutti cliccando qui ma ne ho ancora altri da scrivere: una promessa è una promessa no? Questo è uno di quei post.

Il post dalle tre parole di Shaina


Il senso del dubbio

Mi chiamo Domenico Malatesta, ho compiuto cinquantatre anni ed insegno matematica al liceo. I miei amici ed i colleghi affermano che sono all'antica perché dico ancora “incantevole” davanti ad un tramonto ed uso l'acqua di colonia, faccio passare prima le donne e sull'autobus mi alzo per far sedere gli anziani; anche se, ormai, dovrei far parte anch'io della categoria. Insegno matematica da oltre venticinque anni ma amo le parole tanto quanto i numeri, infatti alla fine dell'anno scolastico, all'ultima lezione, dopo mesi di teoremi e studi di funzione e di segni astratti che compongono una lingua a parte, leggo un lungo passo di un libro. Non dico subito il titolo, solo al termine, consapevole che, nella maggioranza dei casi poi il libro verrà scovato in qualche libreria e letto tutto; “L'Aleph” di Borges, “Il barile di Amontillado” di Poe oppure “Ultimo viene il corvo” di Calvino o altri ancora. Dopo aver finito di leggere chiedo sempre, ai ragazzi, la stessa cosa; domando loro quanta matematica c'è nelle parole. Mi diverte il loro smarrimento prima di rispondere, quella perplessità in cui ci si chiede se si è inteso bene la domanda e quale possa essere la risposta. Lo si legge negli occhi, il senso del dubbio, la necessità di elaborare una risposta anche solo con la fantasia; adoro quel brillare negli occhi perché significa che tutte le parole che in un anno ho donato loro, gli ho tirato in faccia o costretto ad ingoiare; anche avessero la forma di numeri o segni astratti, sono servite a qualcosa; significa che ho vinto.

22 aprile 2011

Made in China 4

Niente da fare, la crisi non stenta ad allentare la presa e mentre in politica ci si interroga se modificare l'articolo 1 della Costituzione o abrogarla direttamente qui c'è chi non arriva alla fine del mese e deve ingegnarsi. Per fortuna ci sono sempre i miei amici cinesi pronti a pagarmi qualcosa per dei blog taroccati, dopo i primi, i secondi ed i terzi ne ho pronti altri, tutti per loro:

Il blog dell'allagatore: Sito vetrina di un esperto nel procurare lavoro agli idraulici

La cerchiatura del quadro: Blog di un corniciaio con la fissa per le cornici rotonde

Siiclemente: Raccolta di frasi per chiedere perdono

Finchè c'è Rita...: Diario di un marito che sta bene solo se c'è la moglie

Il rantolo della vaiassa: Le confessioni di una donna sguaiata e volgare raccolte prima che esalasse l'ultimo respiro

Il blog di chi?: Misterioso diario online di cui non si conosce l'autore


Ogni tanto mi viene la stupidera e mi piace divertirmi così, questo è per augurare a tutti voi una bellissima e felicissima Pasqua!!!

17 aprile 2011

Ancora fottutamente attuale...



Tentò la fuga in tram
verso le sei del mattino
dalla bottiglia di orzata
dove galleggia Milano

non fu difficile seguirlo

il poeta della Baggina
la sua anima accesa
mandava luce di lampadina
gli incendiarono il letto
sulla strada di Trento

riuscì a salvarsi dalla sua barba
un pettirosso da combattimento

I Polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime
lanciate verso il mare

i trafficanti di saponette
mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta
ne era dispensato nel novantuno

la scimmia del quarto Reich
ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava
le abbiamo visto tutto il culo

la piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista

La domenica delle salme
non si udirono fucilate
il gas esilarante
presidiava le strade
la domenica delle salme
si portò via tutti i pensieri
e le regine del ‘’tua culpa’’
affollarono i parrucchieri

Nell’assolata galera patria
il secondo secondino
disse a ‘’Baffi di Sego’’ che era il primo
si può fare domani sul far del mattino
e furono inviati messi
fanti cavalli cani ed un somaro
ad annunciare l’amputazione della gamba
di Renato Curcio
il carbonaro

il ministro dei temporali
in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
voglio vivere in una città
dove all’ora dell’aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue
o di detersivo
a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile

La domenica delle salme
nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro
del defunto ideale
la domenica delle salme
si sentiva cantare
quant’è bella giovinezza
non vogliamo più invecchiare

Gli ultimi viandanti
si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz’oretta
poi ci mandarono a cagare
voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l’Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti
e dai padri Maristi
voi avete voci potenti
lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti
adatte per il vaffanculo

La domenica delle salme
gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti
il cadavere di Utopia
la domenica delle salme
fu una domenica come tante
il giorno dopo c’erano i segni
di una pace terrificante
mentre il cuore d’Italia
da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro
di vibrante protesta