24 luglio 2011

La linea d'ombra reloaded

Burns, primo ufficiale

Sono stato per anni primo ufficiale di questa nave, ricordo ancora la prima volta che ho salito la scaletta di legno, era al porto di Singapore e l'alba salutava l'evento con la sua luce dorata riflessa sul mare calmo. Ricordo di aver guardato l'albero a proravia e tutta l'imponente alberatura insieme ma non ho memoria di quello che mi passava per la testa in quel momento, forse tutti gli insegnamenti prima di diventare ufficiale o, semplicemente, il sorriso di una ragazza sulla banchina, prima di salire; so solo di aver provato la consapevolezza del cambiamento, quell'attimo della vita in cui varchiamo il sottile confine tra giovinezza ed età adulta; spesso non se ne ha la percezione, se non a posteriori ma ricordo distintamente di averlo percepito, come se quei legni fossero la linea d'ombra che separa ciò che era e ciò che sarà. Ho servito per anni su questa nave, ho imparato a conoscerne ogni angolo ed ogni segreto, ad ascoltare la sua voce, il sibilo di quando scivola fendendo il mare felice di un vento favorevole o lo schiocco ed il colpo delle onde alte quando il mare gli è avverso. Ho imparato l'alfabeto del legno, il gemito diverso ad ogni mutamento del clima. Mi sono tagliato le mani con le corde della vela ed il mio sangue è diventato un po' anche il suo e se l'umidità ed il salmastro possono essere definite la sua linfa, allora anche il suo sangue è diventato il mio. Per anni sono stato il primo ufficiale sotto il comando del vecchio capitano eseguendo gli ordini con celerità e cercando di far presente quando non erano quelli più adatti. Sono stato l'unico a sfidare la sua autorità, a lottare per l'equipaggio, per la nave, per me; ormai completamente al di là di quella linea d'ombra, della mia età adulta. Ho vinto io, ho evitato che quel folle farabutto del vecchio capitano ci portasse all'inferno con lui quando, divorato dalla febbre, voleva farci andare alla deriva ed ho manovrato la nave insieme all'equipaggio portandola in salvo nel porto di Bangkok, dopo aver dato un immeritato funerale marino al vecchio pazzo. Anni ed anni al servizio di queste vele, perché è per loro che, in realtà, sono primo ufficiale; mi aspettavo il comando ed invece la mia nave viene affidata ad un novellino, un giovane comandate al primo incarico, un ragazzo con gli occhi di chi non ha ancora attraversato la sua linea d'ombra e, che il Signore ci protegga, probabilmente noi attraverseremo con lui.


A me è sempre piaciuto leggere e qualche tempo fa ho pensato a come sarebbero potuti essere, i libri che mi sono piaciuti, riassunti in un'altra maniera oppure osservati dal punto di vista dei personaggi secondari, per questo sono nati i reloaded.

21 luglio 2011

12 luglio 2011

Quella lì

Qualche tempo fa uscì un libro, si intitolava "L'ora preferita della sera", non mi ricordo l'autrice, mi ricordo che era una donna, credo, non sto qui a cercare con google, faccio la persona onesta, non mi ricordo. Quando uscì il libro mi colpì il titolo, mi dissi che lo avrei letto, cosa che poi non ho fatto ma è un'altra storia e poi potrei sempre rimediare. Il titolo è una cosa importante, l'ho sempre pensato, sta tutto lì, nel titolo, nella prima cosa che colpisce e ti porta ad aprire le pagine e pescare a casa frasi e parole. Ma cosa c'entra? Cosa ci azzecca con questa foto di Polignano, con i colori pastello, le sfumature confuse di mare e cielo? Credo poco o nulla, però, insomma, per me l'ora preferita della sera è quella lì, quando il sole è tramontato solo da un attimo ed è come se si calmasse il mondo, ecco, sì, la mia ora preferita della sera è quella lì.

05 luglio 2011

Amico, perso, twittare

Ancora una volta devo fare una piccola premessa: a fine ottobre del 2009 ho chiesto a voi che mi leggete (quelli che sono rimasti) di propormi tre parole, per l'esattezza un sostantivo, un aggettivo ed un verbo, io poi le avrei usate per scriverci un post. Arrivarono trentaquattro triplette ma ormai avevo promesso e così mi sono avventurato in questa missione. Faccio la premessa perchè, come al solito, tra un post e l'altro ho fatto passare una marea di tempo, i vecchi racconti li potete leggere qui e questo di seguito è quello nuovo.

Il post dalle tre parole di Zion


Every whisper of every waking hour

Che ore saranno? Le due? Le tre? Ho twittato l’ultimo messaggio ed ho chiuso gli occhi un momento, devo essermi addormentato. Mi stropiccio le palpebre con il pollice e l’indice della mano destra per cercare di far andare via quel fastidio fisso, in mezzo agli occhi. Guardo lo schermo del computer, sono le tre di notte ma potrebbe essere mezzogiorno o le cinque del pomeriggio e non cambierebbe nulla in questa notte artica senza fine. Mi tocco una guancia e sento la barba ispida e dura, chiaramente rasata male, non so più quanti giorni fa ma potrebbe anche essere stato stamattina; sarà per la posizione estrema ma il tempo da queste parti diventa un concetto relativo, scorre lento, talmente lento da addormentare anche i pensieri, forse è per questo che sono venuto qui, non me lo ricordo più. Mi appoggio allo schienale e sparisco per metà dal cono di luce della lampada da scrivania che crea un’isola definita nel mare color pece del buio; cerco di ricordarmi cosa mi ha portato lì, un grosso debito di gioco? Un amore perso? Oppure solo la noia? Sei mesi in una base scientifica quasi completamente automatizzata al circolo polare artico, a nord di tutto. Sono l’unica forma di vita qui dentro ed ho il compito di monitorare la strumentazione e di comunicare periodicamente su Twitter; con tutta la tecnologia che c’è qui dentro io a cosa servo? Ogni tanto penso che l’esperimento sia su di me e che siano le macchine a monitorarmi e non il contrario, ma in realtà non mi importa. Forse ho accettato perché la paga era buona e non avevo altro di meglio da fare, l’ho detto: noia; non ricordo nemmeno da quanto tempo sono qui, da quanto non parlo con un amico, dal vero, faccia a faccia, magari di fronte ad una birra, qui sarebbe sicuramente ghiacciata al punto giusto. Ricordo che all’inizio, attraverso internet, cercavo di mantenere un contatto con il mondo esterno pensando di ingannare la solitudine ma, come il gelo, alla fine è entrata dentro le ossa e adesso mi limito a mandare i messaggi periodici e a perdere interminabili partite a scacchi con il computer. Ho anche scordato il suono della mia voce; quando ho cominciato parlavo da solo, ripetevo le procedure, elencavo i risultati; tanto per esorcizzare il silenzio che c’è qui dentro che il lieve ronzio delle macchine in funzione non fa che evidenziare ancora di più; poi, poco alla volta è come se quel silenzio, quel ronzio, siano diventati una parte del tutto, come se, da andare in dissonanza, da essere “disturbo”, si siano armonizzati con il rumore dei pensieri fino quasi ad annullarlo ed è piacevole in realtà, è come fondersi con l’ambiente, smettere di essere al centro dell’attenzione e diventare una parte del tutto, abbastanza zen come cosa. In fondo è ironico, si passa la vita a cercare di essere protagonista e poi ti ritrovi che non sei nemmeno una comparsa ma proprio parte della scenografia, una sagoma di cartone, e ne sorridi anche. Forse è semplicemente questo il senso di tutto, avevo speso troppo tempo a rincorrermi che per capire ho scelto di fermarmi, ed è stato allora che mi sono raggiunto ed adesso passo il tempo semplicemente contando ogni respiro che faccio quando sono sveglio. Prima di ricominciare a correre.