Arturo Fresconi è un fascista, ma non di quelli "DIOPATRIAFAMIGLIA", quelli che, in casa, tengono il busto di Mussolini e lo mostrano con orgoglio agli amici, aggiungendo un nostalgico "Ah, se ci fosse lui..." a cui sperano si affianchi sempre un coro di "davvero" mormorati a mezza voce quasi fosse una commemorazione. No, Arturo è di quei fascisti nascosti, quelli che si dicono "liberistii" e che credono in un libero mercato, ma solo di italiani; di quelli che davanti all'ennesimo sbarco di disperati sulle nostre coste dicono "andrebbero aiutati a casa loro" pensando dentro di sè "ma perché non li prendiamo a cannonate?!". Arturo fa parte di quella bella fetta di benpensanti con la pancia piena che sotto sotto fa il tifo per l'uomo forte, che spera in Putin, che ha avuto un orgasmo con l'elezione di Trump dove, incredibilmente, si è spinto addirittura a commentare con un sommesso "ci stupirà". Arturo era così già da ragazzo, all'università era quello con la borsa di pelle in mezzo a quelli con gli zaini; quello che invidiava, in segreto, quelli con le bretelle e gli anfibi, che magari faceva anche la battuta "però son comode" e rideva solo lui. Arturo non partecipava alle manifestazioni ma si fermava lì, nella piazza accanto, sperando nelle cariche della polizia o nei manganelli di quelli in bretelle per poi tornare a casa e dirsi scosso e preoccupato "per la deriva di questo bellissimo Paese". Arturo è di quelli che si nasconde, sicuro del proprio pensare, dietro concetti di massima cercando una platea che applauda al suo essere equilibrato ma che, dentro, ad ogni applauso ed approvazione ha un brivido che dal cervello gli arriva fino all'inguine.
30 marzo 2017
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