"It's a cruel cruel world, to face on your own,
A heavy cross, to carry alone,
The lights are on, but everyone's gone,
And it's cruel"
Si rese conto che ognuno ha la sua croce mesi fa mentre, radendosi, si guardò negli occhi e sprofondò, non bisognerebbe mai guardare troppo nell'abisso chè quello guarda dentro di noi poi, no? Non era Nice che diceva così? Ma farsi troppe domande è inutile quando si è di passaggio e si è sempre di passaggio, è la nostra condizione. Non muoveva un muscolo della faccia, una statua di sale, spariva la schiuma e riappariva la pelle ed intanto metteva apposto se stesso nei suoi ripostigli, troppo semplice essere uno ed uno solo talmente semplice che in realtà è impossibile, siamo fatti di infinitesimi che si sommano all'infinito e se non ci rendiamo conto che abbiamo la forma dell'acqua, come diceva Camilleri, se non ci rendiamo conto di questo, beh, possiamo solo diventare pazzi ed andare ad allungare la fila di quelli che si creano una routine giorno per giorno come molliche di pane per ritrovare la strada. Tant'è, si disse, che la mia vita è una routine in cui, ogni giorno, torno a casa per una strada diversa e guardo facce diverse. Ma qual'era la sua croce? Qual'era la pesantezza del mondo crudele che si era caricato sulle spalle? L'incertezza nonostante delle basi salde, il futuro che faceva paura a lui più di quanta ne facesse a chi non ha le sue stesse fondamenta; lo straniamento, quel senso di essere altro anche quando si è uguali e pure la consapevolezza che non è fatto di una sola musica ma di spartiti diversi che troppo spesso suonano insieme in una cacofonia di strumenti musicali, era musica da camera a volume troppo alto, era quella la sua croce, essere la musica diversa dal contesto che alle volte suona bene alle volte suona male, dipende dall'orecchio che ascolta. Era questa la sua croce e lui, di buon grado se ne era fatto carico spostandola, ogni tanto, da una spalla all'altra.