Per la maggior parte delle persone il destino è una nebulosa indistinta, un disegno che si fa più definito via via che si accumulano esperienza ed anni. Certamente già da quando si nasce si può avere un'idea di quello che la vita potrà essere ma, comunque, sono sempre possibili delle sorprese, delle variazioni. M. invece rientra tra quei rari soggetti per cui è stato lampante da subito come sarebbe stato, come se già in tenera età fosse chiaro come sarebbe stato da adulto. All'età di sei anni, mentre gli altri bambini guardavano al mondo con gli occhi di chi vuole imparare, lui aveva lo sguardo di chi ha già visto; non era supponenza, sembrava più noia. La sua vita scorreva fondamentalmente come quella dei suoi coetanei, solo che era come fosse fuori sincrono, un passo avanti, in un momento diverso. Sulle prime i suoi genitori pensarono fosse una forma di autismo ma i test che fecero effettuare diedero tutti risposta negativa, semplicemente M. analizzava tutto il mondo che lo circondava riuscendo ad incasellarlo molto più velocemente degli altri ed una volta fatto passava subito ad analizzare altro. Quella "noia" che sembrava trasparire dal suo sguardo era, invece, iperattività. Non che si lamentasse o che questo comportasse problemi alla sua vita, no, lui viveva come tutti, senza però lasciar trasparire alcun entusiasmo. I suoi genitori provarono a cercargli qualche interesse, qualcosa che, dopo aver incasellato, gli piacesse pure ma lui affrontava tutto come fosse una problematica da risolvere; guardava davanti a sé, come nel vuoto, per qualche minuto, si grattava la voglia sulla mano destra e poi, tornando sul pianeta terra, risolveva la "problematica" non trovandola più di alcun interesse. Quando compì diciotto anni guardò i suoi genitori e disse "parto", "dove vai?", "via" ed il giorno dopo partì.
19 dicembre 2017
15 dicembre 2017
Giorno 12
G. aveva sedici anni quando ha cominciato a lavorare per l'Azienda, ce lo portò un suo cugino più grande che lavorava lì da un po'. Visto che non voleva andare a scuola era deciso a trovarsi un lavoro e l'Azienda aveva sempre bisogno di manodopera; sulla carta si occupavano di import-export ed in fondo era vero; di giorno commerciavano in frutta e verdura e di notte in sigarette di contrabbando, le "bionde". Allora era un commercio che rendeva molto, c'era almeno uno sbarco di sigarette ogni sera e servivano braccia per scaricare le barche. G. lavorava tutte le sere, verso le undici lo passavano a prendere e lo portavano insieme agli altri in una delle calette della costa, lì aspettavano al buio fino a quando dal mare arrivava il segnale, in quel momento si muovevano per farsi trovare pronti appena le barche avessero attraccato. Formavano una catena umana che portava le casse di sigarette dalla spiaggia fino alle auto pronte a partire per portarle nei vari centri dello smercio. Era pesante e pericoloso ma alla fine lo pagavano bene e si faceva i cazzi suoi, cosa che veniva molto apprezzata. Le cose andavano avanti così, ormai era maggiorenne, dava una mano anche nell'attività mattutina dell'Azienda, per arrotondare. La "carriera" ha cominciato a farla quando, a causa di un incidente ad uno degli autisti gli venne chiesto di sostituirlo. Poteva anche rifiutare, c'erano altri disponibili, ma lui accettò; nella vita ci si trova spesso davanti a dei bivi e prendere una direzione o l'altra cambia il corso di tutta la nostra esistenza. Spesso si è domandato, negli anni, cosa sarebbe stato di lui se avesse detto di "no", non si era mai dato una risposta, sarebbe stata comunque un'ipotesi rispetto alla certezza di ciò che era avvenuto dopo. Non si era mai posto troppi problemi di coscienza, era un lavoro, lo sapeva fare e lo faceva, ormai non avrebbe saputo fare altro o, almeno, se la raccontava così.
14 dicembre 2017
Giorno 11
Ogni volta che qualcuno lo saluta per strada C. ripensa a quando, da bambino, andava in giro con suo padre e tutti, indistintamente, lo salutavano, chi amichevolmente, chi con deferenza. Suo padre era il medico del paese, l'unico dottore in un paesino di poche anime, e tutti lo rispettavano perché era "quello studiato"; si rivolgevano a lui non solo per problemi di salute ma praticamente per tutto, suo padre aveva assunto il ruolo di giudice salomonico, dirimeva questioni di cuore, di proprietà, di successione, meglio di chiunque altro. C. ricordava con piacere quel periodo, in fondo era felice, non aveva ancora cominciato a sentirsi addosso l'ombra enorme di suo padre, il doversi confrontare con la sua statura umana e morale. Le aspettative, soprattutto le sue, sono arrivate dopo, alte, insormontabili; e con esse tutti i tentativi di essere qualcosa, qualsiasi cosa, almeno all'altezza di suo padre. Tentativi non riusciti, fallimenti che si sommavano a fallimenti ed il giudizio più duro non arrivava da fuori ma dai suoi stessi occhi quando si guardava allo specchio. Adesso, quando lo salutano, non può che ripensare ad allora e a tutto quello che ha dovuto fare per arrivare ad essere come è adesso; sì, era stato "lento e doloroso, ma necessario". Sempre quelle parole, incise nella sua testa come sull'ingresso della sua nuova vita. Non si era mai chiesto se quello che faceva fosse giusto o sbagliato, aveva capito che era necessario e tanto bastava, non aveva mai chiesto ad M. "Perché?", aveva solo chiesto "Come?" e lui glielo aveva spiegato.
13 dicembre 2017
Giorni 9 e 10
Il freddo umido di dicembre entra nelle ossa senza bussare, senza avvisare; stare in un capannone di una sperduta zona industriale di periferia, tutta la notte, a scaricare casse da camion che devono andare via veloci, non aiuta. F. rientra a casa che sono le otto del mattino, i muscoli doloranti per la fatica che fanno l'ultimo sforzo di salire le scale; l'ascensore non se lo può permettere, il primo piano nemmeno. Arrivato davanti alla porta di casa non sente il classico vocio della tv accesa sul solito programma che dice che le cose vanno male, come se in quella casa non lo sapessero già, vivendolo sulla loro pelle. No, questa mattina F. sente chiacchierare, distingue chiaramente la voce della sua fidanzata che dice "Ma no, non si preoccupi, vedrà che adesso arriva, intanto le faccio un caffè". Non aspettava nessuno e la vita gli aveva insegnato che quando arriva qualcuno che non aspettavi solitamente sono problemi. Per un attimo, solo un attimo, è tentato di riprendere le scale e andare via, nonostante la stanchezza, nonostante i dolori, ma c'è lei. Apre la porta ed entra guardingo, salutando come al solito, ma con la soglia dell'attenzione ad un livello di guardia; il saluto gli si blocca in gola, seduto al tavolo, con davanti un caffè bollente, c'è il tizio dell'altra sera, la "preda", che sorride affabile. F. ha quasi un mancamento, lei, non capendo, gli chiede cosa abbia; "È venuto questo signore, dice che deve restituirti una cosa che gli hai prestato l'altra sera. Ma che hai?". Non dando nemmeno il tempo alla paura di esplodere, il tizio sorride: "Ciao F. scusa se sono venuto così presto ma la tua fidanzata è stata così gentile da aprirmi ed offrirmi un caffè. Sono venuto a riportarti questo" e mette sul tavolo una scatola. F. sa benissimo cosa c'è dentro. "Ora però devo proprio andare" e con si alza, indossa il cappotto e si avvicina alla porta; quando è davanti ad F. lo guarda negli occhi e poi, sorridendo, "Se non hai da fare, ho bisogno di una mano per un lavoro; se ti va sai dove e quando trovarmi" e si chiude la porta alle spalle.
La casa è piccola, un monolocale con cucina a vista ed un divano che, probabilmente, si apre per trasformare quella stanza in camera da letto; un armadio all'ingresso ed una porta, probabilmente il bagno. Una casa piccola e di poche pretese, tenuta con un certo decoro; sicuramente opera della ragazza gentile, con gli occhi stanchi, che lo ha fatto entrare. M. pensa che la dignità la fanno le persone e non le cose e qui ce n'è molta, nonostante tutto. La scatola con la pistola è sulle gambe, naturalmente non le ha detto cosa contiene e lei nemmeno lo ha chiesto, probabilmente abituata a non chiedere, come forma di autodifesa. Si sentono dei passi stanchi sul pianerottolo, sicuramente F.; lo sente indugiare, avrà capito che c'è una variante alla routine e si starà preoccupando perché a persone come lui le varianti non portano mai buone notizie. Alla fine sente le chiavi nella toppa e la porta si apre proprio mentre lei sta servendo il caffè; lo riconosce subito, si vede da come si dilatano le pupille e sbianca il volto. M. se lo aspettava ma vuole evitare che la situazione degeneri in alcun modo,non è lì per quello. Mentre lei gli parla, accortasi subito del volto terreo, M. anticipa la paura in arrivo e lo saluta, levandolo un attimo dall'impasse in cui è caduto; gli porge la scatola mettendola sul tavolo, consapevole che F. ha già capito cosa contiene. Non c'è più bisogno di stare lì, l'ultima cosa che deve fare prima di andare via è chiedergli, a modo suo, di fidarsi. Dopo deve solo aspettare.
12 dicembre 2017
Giorno 8
La vita è fatta di incontri, di intrecci; per quanto uno si sforzi di non farsi toccare da niente e da nessuno, per quanto uno cerchi, anche con gesti estremi, di rendersi eremita, la verità è che siamo "animali sociali". Ogni incrocio della vita ha un effetto sulla nostra esistenza, anche minimo, quasi impercettibile, ma lo ha. Molto di noi raccontano le nostre scelte, quello che facciamo, le persone a cui decidiamo di dare tempo ed attenzione; perché possiamo essere specchiati ma a guardar troppo nell'abisso poi l'abisso guarda dentro di noi o, come preferiva dire G., a rimestare merda prima o poi uno schizzo ti arriva addosso e allora hai voglia a lavarti, la puzza, un po', rimane. Ecco, lui cominciava a sentirsela sempre più forte quella puzza e se prima abbozzava, tirava su con le spalle e faceva finta di nulla, adesso cominciava a non sopportare più. Forse prima sopportava per due e adesso che era solo non riusciva a sopportare nemmeno per uno solo, oppure la merda che rimestava era diventata troppa; in fondo prima c'era una specie di limite, quasi una decenza, mentre adesso, da quando ci sono quelli nuovi, sembra che non ci sia più limite a niente. Aveva provato a fare come sempre, a guardare da un'altra parte, ma a girare sempre la testa prima o poi ti fa male il collo ed allora un giorno si era trovato a guardare davanti a sé ed aveva incrociato lo sguardo di quel ragazzino appena sbattuto fuori dal doppio fondo del camion. Sì, la vita è fatta di incontri fondamentali, a volte della durata di uno sguardo.
07 dicembre 2017
Giorno 7
M. sale le scale verso il suo appartamento, è tardi, si sentono pochi rumori, giusto il vocio di alcune tv, avvicinandosi alle porte sui pianerottoli; gli insonni attendono che la stanchezza abbia la meglio sui pensieri anestetizzandosi con le immagini di repliche di vecchi film. La pistola di quel ragazzo gli pesa nella tasca sinistra della giacca, ripensa a quanto è accaduto poco prima; un altro sarebbe spaventato o, quantomeno, in ansia ma lui no, non ha particolari sensazioni in merito, come se un avvenimento del genere rientrasse nella sua routine. Era stato bravo però, il ragazzo; aveva studiato la preda, aveva trovato sia il momento che il luogo ma, come gli aveva detto, aveva sbagliato preda. Non si aspettava una reazione o, meglio, non si aspettava una tale mancanza di reazione perché in quei casi punti proprio a quello, a spiazzare più che spaventare ed invece si era trovato davanti una persona che se gli avesse chiesto l'ora avrebbe mostrato maggiore interesse. In fondo, pensa M., è significativo, il caso alla fine comanda il gioco; se avesse puntato, per esempio, il commendatore del primo piano adesso il ragazzo avrebbe l'orologio, il portafogli e pure quel bel fermacravatta con il diamante che il commendatore mette sempre. Invece aveva scelto lui ed aveva rischiato di finire su un marciapiede, blu in volto e con sicuramente qualcuno a casa che lo avrebbe pianto, tipo una fidanzata. Non che M. credesse realmente al caso ma era convinto che la maggior parte della gente non considerasse realmente tutte le varianti e in tal modo il caso lo creavano per difetto. M. apre la porta di casa, si ferma un attimo al buio ascoltando i rumori del suo appartamento, controllando attentamente che non ci siano variazioni perché ogni variazione è un segno e non tutti i segni sono positivi. Quando è sicuro non ci siano variazioni accende la luce e appende la giacca all'attaccapanni all'ingresso, si ricorda che ha la pistola del ragazzo nella tasca, si gratta un attimo la macchia grigia sulla mano e a mezza voce si dice "forse è meglio che gliela renda".
06 dicembre 2017
Giorno 6
C. ha la testa appoggiata alla parete della doccia, l'acqua bollente sta lavando via la stanchezza della corsa ed il freddo della tramontana; il vapore ha appannato i vetri, c'è una specie di nebbia nel box che assorbe la luce e la rende lattiginosa. C. ha gli occhi chiusi, cerca di rilassare ogni fibra del corpo, la corsa e la doccia sono una specie di rito, un distruggersi e ricostruirsi per uscire nuovo dalla doccia e affrontare la giornata. Gira il caffè nella tazzina dopo aver messo il solito mezzo cucchiaino di zucchero, giusto per abbassarne l'amaro della tostatura; non prende altro, nemmeno un biscotto; non è una questione di linea, di dieta, è solo una abitudine. C. ha costruito la sua quotidianità come una somma di abitudini, di gesti ripetuti con meticolosità, con una precisa scansione dei tempi. Non è sempre stato così, se lo ricorda ancora di quando non riusciva a concentrarsi su una cosa per portarla a termine, e per quanto si sforzasse era solo una somma di fallimenti, dal più piccolo al più grande. Quello che è ora è una costruzione, il risultato di un lavoro di distruzione e rinascita lento e doloroso ma necessario. Le parole di M. erano state quelle: "sarà lento e doloroso, ma necessario", non sapeva come lo aveva trovato, né perché, si ricorda solo che era una mattina fredda come quella iniziata da poco e mentre era seduto a guardare il mare pensando all'ultimo dei suoi fallimenti aveva sentito dei passi alle spalle e quando si era girato aveva visto questo tizio che si grattava la mano destra, poco sotto il mignolo, che lo guardava ma non sembrava vederlo e poi gli aveva parlato, "Riuscire è fondamentalmente una questione di concentrazione, se la si disperde in decine di pensieri non si riesce nemmeno in uno, bisogna essere meticolosi, ci vuole dedizione, applicazione, sforzo. Sarà lento e doloroso, ma necessario".
05 dicembre 2017
Giorno 5
Sì, è proprio vero, tre cose sono fondamentali: preparazione, velocità e decisione; ed infatti prima ancora che finisca di dire "il chi" mi ha già preso il polso della mano destra e spostato la linea di tiro della pistola e con l'altra mano mi ha chiuso la gola bloccandomi il respiro. La presa è una morsa, cerco di divincolarmi ma non ci riesco, lui sembra non fare il minimo sforzo, il volto non lascia trasparire nessuna emozione, se almeno si intravedesse della cattiveria mi sentirei meno spaventato. "Le sabbie mobili, i fiumi in piena, più ti opponi e più velocemente soccombi. La forza, a volte, sta nell'arrendersi". Comincia a mancarmi l'ossigeno; non passa nessuno, l'ironia di aver scelto il posto perfetto ed adesso subirlo. Seguo il suo consiglio e smetto di oppormi, mi aspetto che la stretta alla gola si faccia più forte e che mi blocchi completamente il respiro ma, al contrario, si allenta fino a lasciarmi respirare, mi toglie piano la pistola dalla mano e mi accascio sul marciapiede, quasi esanime. Respiro con la bocca aperta mangiando l'aria; si mette la pistola in tasca e si accovaccia, la sua faccia all'altezza della mia, si gratta ancora la macchia sulla mano, sembra distratto, come se tutta quella situazione, per lui, non avesse nulla di speciale in fondo, come se lo annoiasse. Quando il suo sguardo ritorna su questo pianeta mi mette una mano sulla spalla, "Solitamente, in natura, il pericolo più alto arriva da ciò che non ti aspetti. Meglio aspettarsi di tutto". Si alza e, in tutta tranquillità, apre il portone e se lo richiude alle spalle.
04 dicembre 2017
Giorno 4
La distrazione è solo attenzione spostata su un piano diverso, una monopolizzazione del cervello, una momentanea ossessione che ci isola dal contorno. G. rimesta svogliato il suo piatto di spaghetti con lo sguardo a metà tra il tavolo e l'infinito, avvicina ogni tanto la forchetta alla bocca più per un automatismo che per reale volontà. Solitamente c'è sempre qualcuno che ci riporta alla realtà, che come il filo di Arianna ci fa uscire dal labirinto; ma G. è tanto che deve ritornare da solo dal suo labirinto, Arianna non c'è più. La sua distrazione è un dubbio, pensa all'altra sera e si chiede se andare a parlare con quel M. sia stata la scelta giusta, anche se andare avanti sia la scelta giusta ma quella è una domanda che va avanti da tempo. Ha raccontato la sua storia, quella che si ripete da così tanto tempo che ormai sembra la storia di un altro, quella che non vorrebbe fosse la storia di nessuno; si è seduto davanti alla scrivania ed ha sciorinato tutto il copione. Non lo sa se ha fatto bene, non ne era convinto prima, lo era anche meno dopo ma quando non avanza più niente da perdere non c'è differenza se si racconta la propria storia una volta di più. Solo che quel M. ascoltava ma sembrava anche lui nel suo labirinto, il suo sguardo lo trapassava da parte a parte, come fosse altrove, ma quando i suoi occhi sono tornati a fissarlo aveva capito che aveva ascoltato tutto, e che forse era stato un errore.
03 dicembre 2017
Giorno 3
Tre cose sono fondamentali: preparazione, velocità e decisione; studi la preda, colpisci senza tentennamenti e vai via in fretta; solo così si è sicuri di riuscire. Oggi è il giorno giusto, la preda esce ogni giorno alle 23:00, con qualsiasi tempo, fa il giro dell'isolato fumando una sigaretta e torna a casa; ogni volta si avvicina al portone, prende la chiave dalla tasca destra del pantalone ed apre guardando l'orologio. Il quartiere è tranquillo, elegante ma lontano dalla zona della movida, nessuno che porta il cane per la pisciata notturna, palazzi signorili, tutte finestre con doppi vetri, quasi insonorizzate. Un colpo facile, domenica sera di inizio dicembre, freddo, nessuno in giro; ho individuato l'androne giusto dove aspettare, quando infilerà la chiave nella toppa gli sarò dietro, pistola in mano, in pochi minuti avrò il suo orologio ed il portafogli; quando avrà metabolizzato l'accaduto io sarò già lontano. La pistola fa sempre quel effetto, più che paura è una specie di sbigottimento, di incredulità, lo leggi negli occhi che si chiedono "ma davvero sta succedendo a me?"; lì bisogna essere freddi, agire veloci, farsi dare tutto e andare via, agiscono meccanicamente. Sono pronto, tre cose sono fondamentali: preparazione, velocità e decisione; arrivo, gli batto su una spalla e quando si gira punto la pistola. Ma c'è qualcosa che non va, non c'è paura nel suo sguardo, non c'è sorpresa, c'è curiosità ed allora quello sorpreso sono io, c'è una frattura nella routine e le fratture non sono mai una cosa buona. Non fa nessun movimento, semplicemente si gratta una voglia sulla mano destra, poco sotto il mignolo, una macchia grigia. Si gratta e poi mi parla: "Hai fatto tutto giusto, il dove, il quando, il come. Hai sbagliato solo una cosa", "cosa?", "il chi".
02 dicembre 2017
Giorno 2
La tramontana sferza il lungomare, C. si aspettava un inizio di dicembre più clemente ed invece sente il vento tagliargli la faccia; uscendo, stamattina, era quasi tentato di rinunciare ma se si dovessero fare le cose solo quando sono facili l'evoluzione non avrebbe compiuto un passo. È quello il pensiero che C. si ripete in testa mentre corre, un passo dopo l'altro, con gli spruzzi delle onde che lo colpiscono quasi accecandolo. Il fiato si condensa in una nuvola bianca, lungo la strada pochissimi altri coraggiosi, o folli, come lui; il cielo si è schiarito da poco, sarà sicuramente una giornata luminosa, si capisce dal celeste di ghiaccio del cielo. Il problema però sono le nuvole che gli si affollano dentro, lì la situazione è un po' più oscura; è da quando ieri M. gli ha telefonato che è tramontato il sole. Inconsciamente C. aumenta il ritmo, sordo ai muscoli che cominciano a sentire la fatica. Il fiato si fa più corto e veloce, il passo più lungo; senza rendersene conto è arrivato alla fine del lungomare, dove finiscono gli ultimi palazzi e c'è quel nuovo parco di risulta. Si ferma a respirare con le mani sulle ginocchia, il cuore più veloce ma le idee più chiare; C. ora sa cosa dire ad M..
01 dicembre 2017
Giorno 1
M. ha una voglia grigia sulla mano destra, una specie di ovale poco sotto il mignolo, sul dorso. Ogni tanto se la gratta nervoso, più come un tic che perché davvero gli prude, è il suo modo di concentrarsi in realtà, quando un pensiero più consistente degli altri gli attraversa la testa dà una grattata alla macchia, senza accorgersene, solitamente con l'anulare ed il medio della mano sinistra. Dura un attimo, il tempo di focalizzare meglio il barlume di pensiero passato dietro gli occhi, trovare un nome, un oggetto, un'azione che lo rappresenti ed a quel punto, come i rami di un albero, il pensiero si ramifica facendosi scenario di se stesso. Il prurito allora è già un ricordo, la macchia rimane lì naturalmente, non prudeva prima, non prude adesso. M. ci tiene a questi pensieri, sono il suo lavoro in fondo, è proprio costruendo la struttura a quel pensiero che poi riesce a trovarne il bandolo, a scioglierlo, a renderlo certezza, ed a quel punto il pensiero è risolto. Sì, se gli chiedi che lavoro fa M. ti risponde che "risolve pensieri", li rende leggibili, li fa suonare come fossero degli spartiti quando prima erano solo note che si litigavano tra loro. Ora M. è seduto alla sua scrivania, la persona davanti a lui ha appena finito di parlare, gli ha raccontato una storia, una storia con tanti nomi che si intrecciano, con tanti numeri che ballano. M. sembra assente, guarda il suo interlocutore ma è come se lo trapassasse con lo sguardo, in realtà lo vede ma sta cercando qualcosa più dentro che fuori. C'è un silenzio interrotto solo dal leggero fruscio del pc che, ormai in modalità stand-by, attende un comando. Prima che la situazioni diventi irreale M. rimette a fuoco la persona davanti a lui e gli dice che ha capito tutto, che gli farà sapere. L'altro si alza sollevato e con un veloce "buonasera" scappa via. Nella stanza torna il silenzio freddo del pc, M. si sta grattando la macchia grigia.
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