La metro ogni tanto curva e se guardi in fondo vedi nettamente il cambio di prospettiva, sembra che anche il tuo sguardo curvi insieme al treno. Seduto in mezzo alla gente continuava a maltrattare il biglietto che aveva fra le mani; ormai, a furia di piegarlo e riaprirlo, arrotolarlo e svolgerlo, guardarlo e passarlo fra le mani, la carta aveva perso la sua consistenza, sembrava anche più trasparente, a passarci i polpastrelli si sentivano le milioni di piccole rughe che si erano formate. L'inchiostro per fortuna reggeva, quello che c'era scritto si leggeva ancora: via dei Millefiori, 71; sorrise, lo divertiva che in una metropoli come quella, con la quasi totalità delle sue vie formate da incroci di grossi palazzi di pietra e cemento, ci fosse una via con un nome del genere; si ricordava di aver pensato la stessa cosa anche quando gli era stato comunicato quell'indirizzo. Intanto le stazioni si susseguivano con i loro nomi di scultori, musicisti e sconosciuti e quelle che lo dividevano dalla sua meta diventavano sempre meno, ormai ne avanzava una, alzandosi per piazzarsi di fronte all'uscita piegò per l'ennesima volta il biglietto dopo averlo fissato, quasi che l'indirizzo scrittoci su potesse cambiare, e lo mise in tasca. Cercò di non farsi fregare dal finto equilibrio e si mantenne aspettando la frenata. Fuori, sulla banchina, cercò l'uscita per via dei Millefiori, mentre si incamminava diede un'altra occhiata al biglietto e già che c'era, uno sguardo all'orologio: le due del pomeriggio. Ad attenderlo, alla fine delle scale, il bianco della luce improvvisa e poi la solita strada tra i palazzi, come sospettava di fiori nemmeno l'ombra. Il numero 71 non era troppo distante, sul vetro del gabbiotto del custode un biglietto avvisava che era fuori a pranzo, non gli importava molto, sapeva dove andare. Il portone si apriva a spinta, probabilmente un difetto della serratura; le scale profumavano di odori di cucina, la tipica essenza di condominio; la porta che interessava a lui era subito dopo aver girato, alla seconda rampa di scale. Il campanello emise tre note tristi, alla domanda su chi fosse rispose con il nome di chi gli aveva dato il biglietto, ormai consumato, che teneva in tasca. Dopo una piccola overture meccanica per serrature blindate la porta si aprì sulla faccia interrogativa di un uomo di mezza età, lui lo guardava negli occhi ma non si chiedeva niente, disse: “mi scusi” e chiuse la frase con il soffio muto del silenziatore disegnando un punto sulla fronte della faccia interrogativa; richiudendo la porta come se niente fosse diede un'altra occhiata al biglietto, l'ultima, e fece la strada al contrario. Si avviò verso la fine della via dei Millefiori fermandosi nel primo bar, alla cassa domandò se avessero uno stradario e fu felice della risposta positiva. Seduto ad un tavolo con davanti l'elenco delle vie chiuse gli occhi e ci puntò un dito sopra: via Bagnacavallo, ecco, oggi si sarebbe perso lì.
Questo racconto lo avevo promesso, lo avevo promesso quando, leggendo uno dei meravigliosi post di
Lorenzo Bartoli avevo letto la splendida frase che mi ha ispirato il racconto.