31 marzo 2010

Tanto per ricordarcelo

Costituzione della Repubblica Italiana

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

30 marzo 2010

27 marzo 2010

Sono stanco di essere preoccupato...

Ebbene sì, sono stanco di essere preoccupato di quello che altri, nel vuoto delle loro facoltà mentali faranno, quel vuoto, riempito di parole false, da ore ed ore di televisione di sovraesposizione. Sono stanco di temere, per me e per gli altri, che le cose vadano come temo solo perchè non si guarda che al proprio orto...



Per poche cose sono orgoglioso di essere pugliese, spero di rimanere orgoglioso...

25 marzo 2010

Dopo mesi...palbeduchescional channel

Finalmente, dopo mesi, posso postare. "Ma se è passata solo una settimana dall'ultimo post?!" direte voi, miei amatissimi lettori che, passando di qui denotano (in)sanità mentale; è vero, rispondo io, che dell'insanità mentale ne ho fatto un lavoro, ma non mi riferisco al classico continuum dei post del mio blog (e comunque avrei pure delle remore a parlare di continuum visto che, con i ritmi che ho preso, al massimo si può parlare di discontinuum), mi riferisco al post che, mesi fa, avevo promesso a palbi di scrivere. Andiamo con ordine però ché, altrimenti, ci capite meno del solito. L'amico palbi rientra tra quei soggetti che la terra natia ama tanto, ama talmente tanto da fargli trovare un lavoro dall'altro lato dell'oceano; "oceano" in piccolo eh! Ché visto come chiamo io la mia ragazza, dire "dall'altro lato dell'oceano" potrebbe creare fraintendimenti ma sto divagando e chi legge qui sa che sono un gran divagatore. Insomma, palbi vive e lavora negli Stati Uniti ed ogni tanto ci delizia con delle lezioni di inglese (americano, per essere precisi) che, quando scapperò prima dei rastrellamenti, mi saranno molto utili. Fra queste lezioni ce ne sono alcune con cui il sunnominato palbi spiega significato ed uso degli acronimi che gli americani usano in quantità industriale, quasi quanto Anna Moroni usa la besciamella in cucina. Ebbene sì, cari amici lettori, gli americani spendono e spandono soldi e sprofondano nella crisi ma quando possono risparmiano sulle parole. Insomma, palbi, per spiegarci l'utilizzo di questi acronimi ed il loro significato, crea dei racconti e ce li butta in mezzo; mesi fa, probabilmente confondendomi con qualche altro blogger, mi ha detto "visto che tu sei bravo a scrivere (e già qui mi sono guardato alle spalle sicuro che avesse sbagliato persona) ti lascio una lista di venti acronimi, ne scegli tre e ci scrivi un raccontino" ed io, che sono lungimirante e furbo come una volpe lobotomizzata, ho detto sì. Mi aveva dato una settimana di tempo che, magicamente ho fatto lievitare fino a coprire dei mesi, a quel punto non potevo più limitarmi a scegliere ed allora ho utilizzato tutti e venti gli acronimi, il raccontino è questo:

L’aria del mattino esplode di colori mai visti, sembrano CGI (computer generated imagery) = gli effetti speciali, sarà colpa dell’inquinamento ma non importa: sono felice, mi si prospetta un magnifico weekend di riposo. Questa sensazione però ci mette poco ad abbandonarmi, mi basta andare in cucina; mia moglie mi ha preparato caffè e frittelle o, meglio, qualcosa a cui lei attribuisce tali nomi ma che io chiamo WMD (weapon of mass destruction) = armi di distruzione di massa. Non posso rifiutare di mangiarli perché la vendetta sarebbe molto peggio, lei ha POA (power of attorney) = delega sul mio conto corrente, sarei a secco prima di arrivare alla macchina, in garage; è stato l’avvocato a consigliarmi di delegarla, il fatto che fosse suo fratello avrebbe dovuto insospettirmi. Mia moglie mi guarda sorridendo ed ho un brivido lungo la schiena; “senti”, mi fa, “prima di andare al lavoro passeresti dal nostro MD (medical doctor) = medico a farti fare la ricetta per la pomata per Tom? Ricordati di portare il suo SSN (social security number) = codice della sicurezza sociale!”. Tom è nostro figlio o, almeno, suo di sicuro dato che ho assistito al parto, mio, beh, è biondo con gli occhi azzurri e noi due siamo entrambi bruni con gli occhi scuri e nessuno dei nostri parenti ha capelli biondi ed occhi azzurri. Il suo ginecologo mi ha rassicurato, mi ha detto: “non si preoccupi, è normale, raro ma normale, un gene recessivo che vaga c’è sempre, come una bomba ad orologeria, meglio quello che cose peggiori no?”, “ne è sicuro?”, “certo, guardi me, i miei sono entrambi con capelli ed occhi neri ed io sono biondo con gli occhi azzurri”; mia moglie si fida tanto di lui, mah. Tom è nostro figlio, dicevo, si è fatto male durante la PE (physical education) = l'ora di ginnastica ma è una semplice storta, basterebbe un normale farmaco OTC (over the counter) = i medicinali da banco, preso dalla farmacia in fondo alla strada, ma lei no, lei vuole quello con la ricetta. Peccato che il nostro medico sia a DUMBO (down under the manhattan bridge overpass) = quartiere di Brooklyn che è dalla parte opposta di dove lavoro e per arrivarci bisogna prendere la circonvallazione che, a quest’ora, è talmente ingolfata che sembra Times Square durante il NYE (new year's eve) = Capodanno; arriverò sicuramente in ritardo e farò incazzare quel SOB (son of a bitch) = figlio di buona donna del mio capo. L’ultima volta per solo cinque minuti di ritardo mi ha mandato a fare un noiosissimo corso di CPR (cardiopulmonary resuscitation) = tecniche di primo soccorso, una rottura, avrei preferito mille volte alcolizzarmi per poi andare a raccontare la mia storia a gli AA (Alcoholics Anonymous) = alcoolisti anonimi. Lavoro per la “SURE ASSURANCE” ma il suo DBA (doing business as) = nome commerciale dovrebbe essere “WE FUCK YOU VERY MUCH”. “Va bene”, dico a mia moglie per evitare il drenaggio dei liquidi e lei “BTW (by the way) = a proposito, oggi pomeriggio ci sono i PTA (parent teacher association) = i colloqui genitori-insegnanti alla scuola di Tom, potresti andarci tu?”, sto per dire qualcosa ma ho come la visione di un fiume che si prosciuga ed annuisco tristemente. Mi metto in macchina e mi avvio verso la prima tappa, mi accorgo subito che c’è qualcosa che non va, non funziona la A/C (airconditioning) = aria condizionata, fa di testa sua, prima con bordate di caldo e poi con bordate di freddo, con questo ritmo mi sgretolo prima di mezzogiorno. Come sospettavo arrivo al lavoro con più di mezz’ora di ritardo, raffreddato. Il mio parcheggio riservato è occupato da un banchetto per la raccolta fondi contro la MS (multiple sclerosis) = sclerosi multipla, mi dispiace farli sloggiare allora parcheggio un po’ più lontano e mentre cammino per andare in ufficio passo di fronte ad un ATM (automatic teller machine) = bancomat e penso che, forse, dovrei prelevare un po’ di liquidi, un bel po’, almeno quelli mia moglie non potrebbe prosciugarmeli; sono in ritardo ma tanto, ormai, sarà già pronto il mio trasferimento alla filiale in Tibet. Prelevo cinquecento dollari e sento subito una cosa fredda alla base della nuca, una specie di tubo, mi stanno rapinando; non sono il tipo da fare l’eroe e do subito tutti i soldi, il tizio mi ringrazia pure. L’unica cosa che riesco a pensare è TGIF (thank god it's friday) = grazie al cielo è venerdì, mi squilla il cellulare, mia moglie, “pronto?”, “caro, una bella notizia, i miei vengono da noi e si fermano per il weekend”, è ufficiale , sono un POW (prisoner of war) = prigioniero di guerra.

16 marzo 2010

Altre due storie minime

Andando

Il nome me lo racconta tutti i giorni il cartello azzurro ed io fingo di scoprirlo ogni volta che il treno rallenta, entrando in stazione. Quattro casupole sparse, come se a Dio fossero cadute le pedine del Monopoli e non se ne fosse accorto; tutte uguali, così uguali che se non ci fosse la croce non si riconoscerebbe la chiesa. L’uomo con la paletta si avvicina lento mentre rallentiamo e si ferma ogni giorno nello stesso punto, come se si muovesse anche lui lungo dei binari; guarda l’orologio quasi marziale e ci congeda con un fischio lungo. Ci passo tutti i giorni da qui, due volte, con la luce obliqua del mattino e quella speculare della sera ed ogni volta mi chiedo come sia col sole a picco; non mi sono mai fermato.

Restando

Puntuale. Posso avere tanti difetti ma sono puntuale; potrei dividere la giornata lungo le frazioni della mia vita. Qui, quattro casupole sparse, tutte uguali, come le costruzioni di un bambino a corto di pezzi e di idee; qui, passo il tempo ad aspettare, è il mio mestiere. Faccio il capostazione, aspetto i treni in transito ed i pochi che si fermano, mi piace vederli arrivare dal loro altrove, quando spuntano dalla curva lì a sinistra e guardo le facce dietro i finestrini. Facce per lo più uguali, facce tutto sommato familiari; le vedo passare con sul viso il rammarico della notte passata, le vedo tornare con sul viso la speranza della notte futura. Mi concedo il tempo di mischiarmi a quelle vite e poi le fischio via, lasciandole andare verso un altro altrove, sparendo nella curva lì a destra. Mi domando come siano questi altrove; non me ne sono mai andato.

12 marzo 2010

I Massive...

Tanto tempo fa ho scritto un piccolo racconto facendomi ispirare da una canzone dei Massive Attack; lo facevo spesso, ascoltavo una canzone e scrivevo le immagini che mi venivano in mente. Scrivevo di più e scrivevo anche cose più divertenti prima, vabbè, va così, però vi regalo un video dei Massive che è meraviglioso ed è un racconto in ogni immagine...

07 marzo 2010

Strato di millefoglie, zuccherato, lanciato in aria

AVVISO: QUESTO POST E' MOLTO LUNGO!

Il post dalle tre parole di Viola


SUITE N.13

Primo Movimento – Uno strato di millefoglie

“La verità è come una millefoglie, a strati. Il primo, candido di zucchero a velo, è quello per tutti, la verità di apparenza, perfetta ed uniforme. Poi c'è quella per i conoscenti, gli amici più periferici: dolce per lo zucchero e per lo strato di crema morbida che c'è sotto la prima sfoglia; la verità soffice, quella confortante. Andando più a fondo c'è la verità per pochi, gli amici veri, i confidenti, te; è la verità più ricca, con i due strati di crema; è quella con più sfumature. E poi c'è l'ultimo strato di sfoglia a chiudere, quello magari un po' bruciato, col retrogusto amarognolo: quella è la verità solo per me”. Matteo diventava sempre filosofo al dessert, magari aiutato dal vino che, di solito, lo aveva abbondantemente preceduto. Affondava la forchetta nel suo pezzo di millefoglie e ne mangiava con gusto, dei bocconi; lei invece continuava a cincischiare col suo creme caramel, non che non fosse buono, ma ripensava alla storia che le aveva raccontato prima, quella che lui definiva “piano” e che lei chiamava “follia”. Matteo era un imprenditore dell'import-export ma se gli chiedevi cosa importasse od esportasse ti rispondeva, vago, “merci”; in realtà principalmente lavorava per Don Ignazio Lopedote che non era un parroco ma il boss del narcotraffico barese. Le aveva raccontato che stava per arrivare un grosso carico di “merce”, cocaina purissima, attraverso i soliti canali sicuri; era un trasporto enorme, uno dei più grosso a cui avesse mai partecipato: duecento chili, tutta una nave porta container. Le aveva spiegato, con precisione da contabile, che un grammo di quella roba arrivava a costare anche cento euro e che quindi il carico, tutto, valeva venti milioni di euro. Il suo compito, come al solito, sarebbe stato quello di tenere la merce in uno dei suoi magazzini puliti per circa un mese, far calmare le acque ed iniziare la procedura di smistamento. Per ragioni di sicurezza, a parte i più alti in grado dell'organizzazione, ogni pedina conosceva solo il suo tratto del percorso della merce. Matteo aveva avuto il colpo di genio una notte, mentre si faceva i conti di quanti soldi girassero; se prendeva cinquanta grammi per ogni chilo e lo sostituiva con bicarbonato, la tagliava un po' insomma, avrebbe avuto per sé dieci chili di roba che, al prezzo di vendita, gli avrebbe garantito un bel milione di euro. Aveva il tempo, aveva le capacità e si era pure trovato i contatti giusti. “Ti farai ammazzare”, lei glielo disse guardandolo dritto negli occhi e spostando via il piatto con il creme caramel massacrato.

Secondo Movimento – Un caffè molto zuccherato

Don Ignazio era seduto alla poltrona della sua scrivania; l'ufficio, se così si poteva chiamare quella piccola stanza con una sola finestra, un paio di sedie, qualche mobile archivio ed una triste pianta di ficus nell'angolo, si trovava al terzo piano di una palazzina al limite del quartiere murattiano, quasi a Carrassi, in fondo all'appartamento che faceva da sede amministrativa della sua impresa edile. Don Ignazio si faceva una risata ogni volta che ci pensava: il capo di un'organizzazione criminale che aveva come copertura un'impresa edile, dava molto di cliché da romanzo di serie B. in realtà non era nemmeno una copertura nel vero senso della parola, faceva sul serio l'imprenditore edile; all'inizio faceva solo quello e basta poi, quando si era accorto che tutti i suoi amici della “Bari-bene” tiravano come aspirapolvere della Folletto, gli era venuto in mente il business secondario. Era stato bravo e nel giro di pochi anni si era fatto un nome; a quel punto, ormai, non poteva lasciare l'attività edile, funzionava abbastanza bene come copertura a parte quella divertente situazione da cliché. Inoltre le sue case erano pure costruite a regola d'arte, non aveva mai utilizzato materiali scadenti e nemmeno aveva fatto mai sparire i suoi nemici nel cemento; anche perché a quello ci pensava il tizio che era seduto davanti a lui su una delle due sedie. Non aveva per niente l'aria di un sicario, altezza media, magro, occhiali da vista con la montatura in titanio ed un abito grigio senza cravatta; al massimo poteva essere preso per un ragioniere ed infatti quello era il suo mestiere ufficiale. Don Ignazio passò una foto al tizio con scritto sul retro un indirizzo, “Si chiama Matteo Labbellarte e mi ha fottuto dei soldi ma, soprattutto, mi ha preso per il culo. Fai un lavoro pulito”, “Non ne so fare di altro tipo”. Don Ignazio si fece una risata alla risposta ma dentro ebbe un brivido guardando la faccia senza espressione del suo “ragioniere”; aveva ragione, era sempre riuscito a far quadrare i conti. “Vabbè, mo pigliamoci un caffè”, senza nemmeno aspettare la risposta Don Ignazio aveva già chiamato la segretaria con l'interfono e le aveva chiesto i due caffè. Di fronte alla tazzina fumante il ragioniere fece un sorriso, il primo della giornata probabilmente, e ci mise dentro tre cucchiaini di zucchero; “Vedo che ti piace amaro” lo apostrofò, ridendo, Don Ignazio, “Già la vita è amara, il caffè lo voglio dolce”.

Terzo Movimento – Come una moneta lanciata in aria

Matteo beveva un Martini sulla terrazza del suo attico a Poggiofranco, gli piaceva guardare da lì la notte barese e poi non aveva sonno. Il piano era andato alla perfezione, aveva i soldi già accreditati su un conto cifrato e dopo pochi giorni avrebbe raggiunto Vittoria ai Caraibi; l'aveva fatta partire prima per non destare sospetti e per farle correre meno rischi. Guardava il panorama della città dalla terrazza, in fondo viveva bene, guadagnava un bel po' con il suo lavoro, però aveva voluto lo stesso correre il rischio, molti al suo posto non lo avrebbero fatto. Era la stessa cosa che gli aveva detto Vittoria alla fine della cena in cui, mesi prima, le aveva esposto il piano. Lei gli aveva chiesto il perché, perché uno che, come lui, guadagna bene dovrebbe correre un rischio così grosso; “Perché voglio qualcosa di speciale per noi”, e quella era la verità per lei. Perché i soldi fanno venire voglia di averne sempre di più; e quella era la verità per sé. Non lo sentì arrivare, se lo ritrovò alle spalle che gli tappava la bocca e lo immobilizzava, sentiva che era più o meno alto quanto lui ma nonostante questo Matteo non riusciva a fare nessun movimento; l'aggressore lo alzò di peso oltre il parapetto e lo lasciò cadere di sotto. Lungo i quindici piani di discesa Matteo non rivide la sua vita ma pensò solo che, come una moneta che decide il suo destino, non sapeva se all'arrivo sarebbe stato “testa” o “croce”. Il ragioniere scrisse velocemente sul pc di Matteo un breve messaggio, prima di sgattaiolare via per le scale di emergenza, in silenzio come era arrivato; Don Ignazio segue le regole, mette sempre le scale di emergenza nei palazzi che costruisce, sa che possono sempre servire. Il messaggio diceva solo “Vittoria scusami per quello che ti ho fatto”; la donna fu trovata cadavere il giorno dopo, strangolata. Un delitto passionale seguito da un suicidio.


Tutti i racconti dalle tre parole qui

04 marzo 2010

01 marzo 2010