31 dicembre 2013

Sei Uno Zero

Post 610, di fine anno; avrei voluto tanto utilizzarlo per togliermi i sassolini dalle scarpe, per dire ad un uomo di merda che sarà sempre e soltanto un uomo di merda, una nullità pericolosa, un essere spregevole e nauseante. Avrei voluto tanto utilizzarlo per dire ad una persona che non ha davvero capito un benemerito cazzo della vita, con quella filosofia da accatto da Liala, con tutti gli anni in più di esperienza che non sono serviti a praticamente nulla. Avrei tanto, ma tanto, voluto utilizzarlo per dire all'espertone di turno che era, è e sempre sarà, solo un grandissimo coglione viscido. Avrei tanto, tantissimo, voluto dire alla bella penna che, sì, sa mettere quelle due o tre parole in fila saccheggiando anni di letteratura americana ma rimane la presunzione personificata, lui, le canottiere e le bandane. Avrei tanto voluto dire queste cose, nel post di fine anno, per mettere sul groppone di questo 2013 tutto il fiele che c'ho dentro, così da cominciare il 2014 con pensieri migliori, più positivi, perché alle persone a cui voglio bene, ho detto "ti voglio bene" e questo basta, dovrebbe bastare. Avrei voluto cominciare con il piede giusto perchè le cose vanno cominciate così ma, una buona volta, diciamocela la verità: non esistono ricette per partire con il piede giusto, almeno, non esistono quelle universale e quindi, parlando direttamente a te, fattela una domanda, chieditelo in che momento hai avuto la serenità, che giorno era, che tempo faceva, chi c'era lì. Me ne fotto dei buoni propositi, la bontà, la verità, la sincerità, sono sopravvalutate; chiudete questo anno come lo chiuderò io, sapendo che domani è solo un altro giorno uguale ad oggi e che è con se stessi che si fanno i conti.

Chiudete il 2013 sentendo i muscoli della vostra anima farsi forti, siate quello che volete essere, anche una finzione, se vi va così; siate felici e vivi che io vi auguro tutto il meglio per ogni giorno del prossimo anno, vi auguro di sorridere come minimo ogni giorno un minuto di più, vi auguro che non vi basti una vita per tanto starete bene ma, scusate, io mi auguro quello che desidero io e se si scontra con la vostra volontà, beh, mi dispiace, dovrete cambiare desiderio, perché io non cambio, sono così.

30 dicembre 2013

Acquerello

La mia cucina si affaccia su una rotonda fatta male, ai piedi di un cavalcavia, in mezzo a due strade larghe e veloci, leggermente inclinata forma punti ciechi. La percorrono tutti come fosse un rettilineo, non fosse invece curva abbastanza da dimostrare in pratica la forza centrifuga. Sento costantemente stridio di freni, sempre imprecazioni, spesso schianti, a volte sirene; con qualsiasi tempo, con qualsiasi luce. Il mio balcone ha piante in fiore, piegate a guardare la strada; gerani multicolori, fresie screziate, un vaso di tulipani, rossi, una dichiarazione d'amore. Dopo una pioggia piena di urti e sirene, i tulipani macchiati di gocce brillanti, i calici lievemente piegati, un'ape in sovrappeso si appoggia lieve e brinda al calice piegandolo quel tanto che basta a versare la pioggia appena passata sulle foglie sotto. Bevevo vino.


(mi sono inventato tutto)

26 dicembre 2013

Regalo di Santo Stefano

Visto che a Natale sono tutti più buoni, vi regalo la serie completa dei post di Anna&Mario che magari vi fanno fare due risate, quelle non fanno mai male e ce n'è sempre bisogno...








Ancora tanti tanti auguri a tutti voi: DIVERTITEVI!!

24 dicembre 2013

Quasi Natale

Mario: Anna?
Anna: Che c'è?
M.: Stai bene? Tutto ok?
A.: Certo, perchè me lo chiedi?
M.: Perchè siamo quasi a Natale e sul nostro balcone ci sono solo lucine; niente babbi natale arrampicatori, niente set di renne tiraslitta; che cosa sta accadendo?! Sei stata sostituita dagli alieni come nella "Invasione degli ultracorpi"?! Dov'è il baccellone??
A.: Ma sei scemo? Che poi è una domanda retorica, la risposta la so già. Quest'anno non ho messo nulla visto che tu, ogni volta, ne approfitti per creare spettacoli porno con i pupazzi.
M.: Sono cene eleganti!!!
A.: Mia madre lo ha sempre detto che sei un cretino.
M.: Vabbè, tua madre dice anche che è cibo quello che cucina, quindi non mi preoccupo. Insomma, mi spieghi perché niente addobbi pacchiani? Quest'anno speravo ci fosse un pupazzo gonfiabile, avevo già prenotato una bambola gonfiabile da mettergli vicino.
A.: Ecco, poi ti chiedi perché non ho messo nulla, ti rischi di distorcere la sessualità dei figli della Marchetti!
M.: Mah, visto quello che faceva ieri sera il grande, sulla panchina in cortile, con la figlia della portiera, non mi pareva ci fosse nulla di distorto.
A.: Ma chi, la biondina? Ma se avrà sì e no sedici anni?!
M.: Io in te le chiederei se fa corsi di recupero.
A.: Faccio finta di non aver sentito. Comunque ho deciso che quest'anno facciamo il presepe.
M.: Bello, quando cominciamo?
A.: Ho ordinato il muschio, dovrebbero portarlo a momenti.
Driiiiin
M.: Sì? Chi è?
Voce al citofono: Siamo della Muschi&Licheni, abbiamo portato il muschio ordinato.
M.: Ok, terzo piano.
A.: Scendi a dargli una mano.
M.: Come "scendi a dargli una mano"?! Ma quanto ne hai preso??
A.: Tre rotoli da dodici metri.
M.: Ma facciamo il presepe o dobbiamo rifare il manto di San Siro?
A.: Scendi ad aiutarli, muoviti.
...
M.: Ora mi devi spiegare come intendi usare tutto 'sto muschio.
A.: Pensavo di utilizzarne due per ricoprire i divani ad angolo e farci le montagne e con il terzo farci la pianura qui, al centro del salone, levando il tavolo, naturalmente.
M.: Naturalmente...
A.: La grotta, poi, la ricaviamo lì a destra, nella parete attrezzata, basta levare uno dei pannelli in legno.
M.: Pensavo mettessimo un blocco di roccia naturale e lo scavassimo noi con dei martelli da geologi.
A.: Ci avevo pensato ma la cava aveva finito i blocchi.
M.: Che peccato...
A.: Al centro della pianura ci mettiamo un laghetto con il fiume che scende dalla montagna.
M.: Lo facciamo con la carta stagnola?
A.: Cosa?! No, no, ho già pensato di fare una pedana rialzata, in legno, qui al centro della stanza, ricavarne una nicchia in cui mettere la vasca e attraverso uno scivolo ed una pompa per il riciclo dell'acqua, farla scorrere.
M.: Scusa, scemo io a domandare.
A.: Pensavo di mettere i magi qui, al limitare della prima montagna e spostarli giorno per giorno fino a fagli raggiungere la grotta il sei gennaio.
M.: Ma la regia a chi la fai fare, a Mel Gibson?
A.: Perchè?
M.: No, no, così, chiedevo...chiamo la rosticceria all'angolo.
A.: La rosticceria?
M.: Certo, devo organizzare il catering per le maestranze.
A.: Ma quali maestranze? Facciamo tutto noi!
M.: Tu devi smetterla di guardare "Paint your life".
A.: Dai, cominciamo.
M.: Prima fammi chiamare in ufficio che gli dico che per il prossimo mese non mi vedono.

Questi due sono i personaggi più longevi del mio blog, dal 2006 appaiono, ogni tanto ad allietarmi e, spero, vi. Tanti auguri di Buon Natale a tutti dal vostro Baol!!!

13 dicembre 2013

Beneaugurante

Stamattina camminavo per strada...vabbè, non proprio per strada, sul marciapiede ché con voi bisogna essere precisi su 'ste cose che altrimenti pensate che mi ero messo lì a fermare il traffico come un forcone qualsiasi non sapendo che io, il forcone, a quei fascisti di merda glielo ficcherei al culo. Come al solito ho divagato, dicevo che stamattina camminavo per strada e m'è tornato in mente un vecchio episodio dei Simpson, ok, non così vecchio tipo prima o seconda serie ma più tipo tredicesima o quattordicesima che però sono più di dieci anni fa visto che sono arrivati alla ventisettesima serie e le ultime nemmeno le ho viste. A questa notizia la cara persona che mi prendeva per il culo perchè sapevo a memoria tutte le puntate sarà trasalità e a me non piace far trasalire le persone, soprattutto quelle care, che se trasalgono poi gli piglia l'ansia o, peggio, l'angina pectoris e non sia mai, oh, se è cara è cara, 'sta persona e tu non è che vuoi che alle persone care venga un'angina no? Che stavo dicendo che ho nuovamente divagato? (Mi sa che tempo fa l'ho scritto che mi piace divagare e che mi dovrebbero chiamare il Dottor Divago (ecco che ora ricomincio con le parentesi (parentesi e divagazioni: siete finiti!))). Ah, sì, dicevo che camminavo per strada senza bloccare il traffico che a me...etc etc... e mi è tornato in mente un episodio dei Simpson in cui Homer ha una specie di crisi esistenziale in cui non sa chi gli è amico, ed allora mentre è al bar di Boe (ma voi lo sapete che in originale si chiama Moe? Ma secondo voi perchè lo hanno cambiato? (Tipo il robottino di Star Wars, quello che sembra Brunetta ma è più simpatico ed intelligente, massì, quello che aiuta Luke a lanciare i missili (altro che La Forza, tutto culo, vabbè), no, non C3-PO, quello è quello magro e alto che sembra Fassino; no, quello piccolino. Ecco, quello, si è sempre chiamato RD-D2 ma nella prima trilogia lo avevano trasformato, nel doppiaggio in C1-P8 e ammetterete che C1-P8 sembra una cosa tipo "Gianni&Pinotto", non è serio per un robottino così. Vabbè, insomma hanno cambiato il nome anche a quello) Non mi spiego perché hanno cambiato il nome da Moe a Boe. Che dicevo? A sì che Homer c'ha questa crisi esistenziale e chiede nel bar se loro, gli altri avventori, quelli che stanno sempre lì, oh, avete capito dai, gli alcolizzati; insomma se 'sti tizi sono suoi amici e loro, tutti, gli dicono che non si definirebbero amici ma chi "compagno", chi "sodale", etc. etc. ma il massimo lo raggiunge Boe (o Moe?(Boh?)) che dice che lui è un "beneaugurante", nel senso che non è un amico ma che nemmeno gli augura qualcosa di male; e sì, insomma, stamattina mentre camminavo per strada sentra intralciare il traffico con i pugni chiusi in tasca m'è venuta in mente questa cosa ed ho pensato che anche io, alla fine, per molte persone sono un beneaugurante, anche per molti di voi sono un beneaugurante (poi, vabbè, c'è anche a chi sono proprio amico, più che sodale o compagno (c'è anche a chi non so più che cazzo sono e questa cosa, va da sè, mi lascia alquanto rattristato, a volte incazzato, spesso spiazzato (ma questa è un'altra storia (e dallì con le parentesi)))). Che dicevo? Ah ecco, che sono spesso un beneaugurante, quasi sempre, tranne alcune volte che non lo sono e, ad alcuni, ristretta cerchia, sono un "malaugurante" e non vi dico che cosa auguro, magari una volta lo scrivo ma oggi no. Insomma, perché tutta questa pappardella che ho pure perso il filo? Fatemici pensare...ecco, sì, tutto questo per augurarvi una buona giornata eh!

11 dicembre 2013

04 dicembre 2013

Con questa pioggia battente

"È notte alta e sono sveglio...". Il mio vicino è in revival anni '80 oggi, la butta sul malinconico. Sarà il tempo, con questa pioggia battente che mette un filtro opaco a tutto non è facile essere allegri. Ormai conosco perfettamente i suoi stati d'animo, le pareti di questi appartamenti sono così sottili che si sentono i respiri, figurarsi i sospiri. Se non sbaglio fa il consulente, sembra simpatico, dovrebbe avere poco meno di quarant'anni, a volte sembra ne abbia poco più del doppio. Credo abbia l'hobby della lettura, spesso lo incrocio con buste della Feltrinelli, piene. Bello avere un hobby, anche io ne ho uno, ogni volta che ho tempo pulisco per bene tutte le mie armi, come oggi che sto qui, tra odore di solvente e di cordite. Certo, non è solo questione di hobby ma, direi, grammaticale; un'arma efficiente può cambiarti anche i verbi, che detta così sembra una cosa stupida ma, credetemi, c'è una bella differenza tra aver colpito ed essere colpito. Non che le usi spesso, le armi; di solito nel mio lavoro di ripulitore arrivo sempre dopo che qualcun altro le ha usate ma non è detto che, a volte, non mi chiamino per ripulire prima. Nell'immaginario comune, lo so, adesso mi si figurerebbe qui al tavolo, magari al buio, solo con la luce tecnica accesa e puntata sul piano di lavoro, magari con una sigaretta, accesa, appoggiata al bordo che, ogni tanto, prendo con il pollice e l'indice e porto alle labbra per un lungo tiro. In realtà non fumo e non per salutismo ma perchè non devo avere addosso nessun odore particolare, devo passare inosservato come un'immagine sfocata, devo essere poco ricordabile. Anche il mio vicino, in realtà, se mi incontrasse per strada non so se mi riconoscerebbe, nonostante ci siamo incrociati per le scale e ci siamo anche parlati, a volte. Sto pensando a queste cose quando mi squilla il cellulare; è Lui.
- Dimmi.
- Ho un lavoro per te, Mario.
- Chi?
- Guido...
- Sì.
- Peccato, mi piaceva, Beatrice, era una brava persona.
- Lo so.
- Che le ha fatto?
- Strangolata.
- Dove?
- L'ha seguita fino a casa sua.
- Lo sai che quello è una merda pericolosa, vero?
- Lo so.
- Mandami l'indirizzo via sms, vado subito. Devo occuparmi anche di lui?
- Sì.
CLICK
Era quello che volevo sentire.

02 dicembre 2013

Quattro anni che sto qui

No, non è il compleanno del blog, quello è stato a settembre ed erano comunque sette anni. No, questo è un post che, verso la fine di novembre, scrivo tutti gli anni. Quest'anno, come in molte cose della mia vita, sono in ritardo. Il post serve a ricordarmi da quanti anni non sto più a Milano, da quanti anni ho preso la coraggiosa (?) decisione di tornare in Puglia, in provincia. Credo di avervi fracassato le palle abbastanza, con Milano, con quanto mi manca, con cosa significa e blablabla...e vi assicuro che non vi ho raccontato tutto. In realtà è un post che uso per tirare un po' le somme, per raccontare, anzi, raccontarMI un po', visto che sto sempre ad inventare storie, questo, invece, è uno di quei post che servono per mettere giù un po' di punti di vista. Quest'anno però sono stanco, più stanco del solito, me ne accorgo da alcuni gesti, da alcune epifanie, da alcune attese, da alcune insonnie. Me ne accorgo dai miei stessi pensieri, nemmeno troppo positivi, dai bandoli non trovati, dai pezzi sempre più piccoli di puzzle che, alla fine, sarebbero davvero semplici, di quelli a cubotti di quando ero piccolissimo. Me ne ricordo uno, di nove pezzi, dentro una valigetta rossa, credo fosse di Goldrake. Mi ricordo che mi sedevo per terra, sul tappeto, e ci giocavo, impilavo i cubotti, componevo l'immagine, era facile. Alla fine le cose non sono tutte complicate, a volte sono facili, di una facilità disarmante: Tutto è meglio di poco, poco è meglio di nulla. Ho speso gli ultimi quattro anni, oltre che a cazzeggiare, a cercare una motivazione nel lavoro, nel saper fare bene le cose e vi dico una cosa, a fine novembre del 2009 ero all'apice, avevo la consapevolezza, non dico al 100% ma quasi, di quanto fossi capace di fare, di quanto fossi capace di imparare ancora; solo che abbiamo vizi atavici, noi italiani, e non la butto in politica perché, sinceramente, sono stanco anche di quello; abbiamo vizi atavici che tolgono il respiro e la voglia, tolgono la spinta e l'illusione, tolgono. E dolgono. Quindi mi perdonerete se, questa volta, non sto a fare l'elenco di quanto sono stato stupido a tornare indietro, di come mi manchi la casa che avevo in via Biancardi, al numero sei; se non sto a raccontarmi che quella scelta ha comunque portato altre cose bellissime, dopo. No, sinceramente, non faccio nessun elenco. Alla fine, sono sicuro, dalle parole che ho scritto, c'è chi capira molto ma molto di più. Vi abbraccio e prometto che tornerò ai racconti quanto prima.

24 novembre 2013

La comprensione universale dei sentimenti

Entra che la serranda è ancora abbassata per metà, all'apertura manca un quarto d'ora. C'ha il sorriso permanente che può avere solo chi è inconsapevole della vita o chi lo è fin troppo... e non gli rimane che ridergli in faccia. Lui non lo so, esattamente, che via abbia percorso per arrivare fin qui. Quando ha cominciato a star male, com'era prima, se c'era... un prima. Io so che la mia superstrada, affollata di pensieri, ha incrociato la sua stradina di campagna. Isolata. Ci sono soltanto vie deserte, per persone come lui. E penso spesso a come le persone si incontrano/scontrano, per quei miliardi di avvenimenti casuali o combinati che l'esistenza regala ad ognuno di noi. Oggi indosso la mia divisa che fa molto massaia: lo 'znale (come si dice dalle mie parti) lo sopporto, il problema è tutto nella cuffietta, c'è un conflitto a fuoco tra lei e i miei capelli... alla fine, l'unica vittima di questa guerriglia sono io. Pane, salse, verdure, condimenti... mi faccio l'appello a mente mentre lui parla veloce di qualcosa che non riesco nemmeno lontanamente a capire. Il problema è che poi fa domande e proprio non me la sento di dare una di quelle risposte-prezzemolo, universali, che stanno bene su tutto. Io lo so, lo so che se ora avvio quel circolo vizioso del “come?!” non ne verremo più a capo. Lo so e lo dico, tutt'uno. C'è qualche terminazione interrotta tra il mio cervello e la mia lingua... Quando fai ripetere qualcosa a qualcuno, quando questo qualcuno ha già una sua particolare difficoltà a spiegarsi, bisogna prestare tanta attenzione. Ne va del rispetto. Così mi sporgo più che posso sul bancone, “appizzo le recchie”, stringo i denti e faccio gli occhi a fessura: in poche parole cerco di annullare tutti i sensi e lasciare via libera solo all'udito. Lui fa quella faccia un po' sconsolata, è la faccia di uno che nella vita ha dovuto ripetere ogni singola parola innumerevoli volte: è già così difficile comprendersi... figuriamoci se si salta la fase del capirsi... Scandisce lettere che io faccio fatica a comporre sotto forma di parole a senso compiuto, alla fine “acchiappo” al volo l'ultimo concetto e come la migliore delle codarde, mi aggancio a quello per dare una risposta appena sufficiente. Mi stupisce quest'uomo, non so dargli un'età e non saprei capire quale male lo affligge, ma so che adora la salamella nel panino, con poca poca maionese, che conosce a memoria tutte le canzoni straniere anni 80 che passano su radio capital... quando parte il video lui spara gruppo/titolo e data d'uscita. C'è un equilibrio straordinario nella natura che toglie dignità per poi restituirla sotto altre forme. E così mentre lavoro lui parla, e parla, e parla, seduto di lato al bancone... ogni tanto se la ride; capisco un 10% e nonostante la percentuale sia molto bassa, quel che sento mi va dritto nelle costate. Se il mio cuore mi volesse un po più bene indosserebbe quell'impermeabile che gli ho regalato parecchio tempo fa. Bastardo. Quando fa cenno di alzarsi per andare via mi lascia sul bancone questi foglietti, gli prometto che li leggerò quando non ci sarà folla, così da potergli dedicare la mia attenzione... fa cenno di si con la testa e saluta con questo suo accento del nord che qui, davvero, faccio fatica a capire. Me li tengo nella tasca del grembiule per tutta la sera e all'una di notte, sul tram gelido di questa città grigia, li apro e me li leggo. Due, tre, volte. Quanta tenerezza nel dolore, quanta delicatezza nella solitudine. L'impotenza è una sensazione feroce, ancora una volta mi rendo conto che prima di poter riuscire ad aiutare gli altri, sarebbe opportuno che io riuscissi ad aiutare me stessa.



Non scrivo da tanto (in realtà mi racconto un sacco di storie a mente tutti i santi giorni) e come in passato, sono pezzetti di sensazioni vissute, quelli che vengono a galla. Cambiano molte cose tutt'intorno, ma quasi mai la nostra essenza. Grazie Baol.

Questo è il post numero 600 di questo blog, non l'ho scritto io, me lo sono fatto regalare.

20 novembre 2013

Un pesante passato

La sala d’attesa è gremita come al solito, è periodo di influenze, periodo di mali di stagione e qui vengono da me anche per un semplice starnuto ma, in fondo, non mi dispiace, mi fa passare le giornate. Lui lo noto subito, è seduto alle sedie sulla destra dell’ingresso, spicca di una buona ventina di centimetri su quelli che ha ai lati. Indossa una giacca mimetica, occhiali a specchio e legge una rivista di caccia e pesca. Lo si potrebbe scambiare facilmente per uno dei tanti cacciatori di questo tranquillo paesino di montagna, venuto a farsi fare il certificato medico per il rinnovo della licenza ma capisco subito che è qui per me ma che non gli interesso come medico. Se fai parte, per anni, dell’Organizzazione, certi particolari non ti sfuggono; faccia nuova, mani curate, posizione tesa sulla sedia, come ad essere pronti allo scatto, rigonfiamento sotto la giacca: è dell’Organizzazione anche lui, ex reparti speciali, il tatuaggio sulla mano sinistra racconta quello; ne ho uno simile sulla schiena, in mezzo alle cicatrici. Mi hanno trovato; sapevo che prima o poi sarebbe successo, dall’Organizzazione non te ne puoi andare quando vuoi, non esiste la pensione, dall’Organizzazione te ne vai quando muori, da solo o con l’ausilio di altri. Quando ci sono entrato lo sapevo, ne ero consapevole, solo che la vita non è mica una linea, no, non sai mai cosa ti capita, è il suo bello. Ecco, a me era capitata una missione di troppo e, alla fine, avevo deciso di dire “basta” e mi ero finto morto, ma sapevo che con l’Organizzazione non si può fingere, non per molto. Peccato, mi piaceva fare il medico generico in questo paese, la gente mi aveva accolto bene nonostante fossi “il forestiero”, come mi chiamano qui. La sala d’aspetto risponde compatta al mio buongiorno, lui mi guarda, sembra calmo ma lievi vibrazioni delle dita denotano nervosismo, lo avranno sicuramente avvisato di chi lo mandavano ad eliminare, di cosa ero capace; all’Organizzazione lo sapevano bene, non avrebbero mandato uno sprovveduto, se mai ve ne fossero tra le loro fila. Per un attimo ripenso a quante volte mi sono trovato io al suo posto ed ho un brivido, so bene che potrebbe fare fuori tutti i presenti, anzi, sono sicuro che lo farà, è un protocollo standard: non si lasciano testimoni. Il sorriso che spunta dalla sua barba precisa mi fa capire che è uno che segue il protocollo alla lettera, perché gli piace. Mi guardo intorno, anziani, donne con bambini; un lampo, il ricordo della mia ultima missione, le mani che ho continuato a lavare per ore, dopo, fino a consumare la pelle. Sento quasi la sua adrenalina, con quella stazza gli basterebbero le mani nude con più della metà dei presenti, senza nemmeno scomporsi troppo, ma so anche che sotto quelle giacca mimetica ha un mezzo arsenale; devo fare in fretta. “Chi è il primo”, chiedo, come d’abitudine. “Io, dottore”, Marta, non l’avevo notata, troppo impegnato a controllare lui, senza insospettirlo; gestisce il rifugio per animali ai piedi della montagna, vicino al cimitero, praticamente da sola oltre a lavorare come cameriera nel bar del paese; ogni volta che la vedo, così esile, mi chiedo dove la trovi tutta l’energia per fare quello che fa. Chiacchieriamo, ogni tanto, quando vado al bar a fare colazione, mi mette serenità, una cosa che mi ero scordato pure esistesse. Ci si potrebbe innamorare, di Marta, perdersela dentro un abbraccio per farla riposare un po’. Ci ho pensato tante volte ma la vita ha quella sua ironia crudele e non sempre, non tutto, ha davvero il giusto incastro. Come potrei spiegarle i segni che ho sulla pelle? Come farle capire i segni che ho nell’anima, quelli che mi fanno urlare nel pieno della notte? Quelli che mi fanno dormire con un occhio semi aperto? Come glielo racconto tutto il mio passato? No, non si può, non tutto si può. “Marta, che sei venuta a fare? Si vede che sei sanissima! Vai a casa, và”, “Seeee, dottore, ma che dice? Mi sento a pezzi!”. So di aver fatto un errore, il mio “vai a casa” era troppo serio, lui se ne accorge, me ne sarei accorto anche io; è questo che differenzia i membri dell’Organizzazione. Non ho più tempo; lo guardo direttamente, in maniera plateale, e sorrido, come avessi un’illuminazione: “Giulio! Vecchio stronzo! Non ti ho riconosciuto subito, come stai?! Sono anni che non ci vediamo, come hai fatto a scovarmi su questi monti?!”, non devo dargli il tempo di reagire; mi rivolgo alla sala “Signori, scusatemi ma questa specie di armadio che faceva finta di non conoscermi è un caro vecchio amico, non vi dispiace se, prima di cominciare le visite vado a prendere un caffè con lui, vero?”. Ormai gli sono vicino, può essere grosso quanto gli pare ma sa benissimo che da quella distanza non è sicuro di uscirne indenne, non contro di me. La sala mormora qualcosa ma, per fortuna, sono riuscito a farmi volere abbastanza bene da farmi perdonare questo piccolo inconveniente. Guardo Marta che non sembra molto convinta, “Scusami Marta, sono subito da te, accomodati in ambulatorio intanto”. Lui fa buon viso a cattivo gioco, ha capito di aver perso l’effetto sorpresa e sta rivalutando la situazione; si alza, è enorme, ci saranno almeno quaranta chili di muscoli in più tra lui e me; anche io devo capire bene cosa fare ma adesso la cosa più importante è allontanarlo da tutta quelle gente, allontanarlo da Marta; fuori sarà solo una questione tra me e lui.

14 novembre 2013

Tris

Rope

Come fili di canapa si intrecciano, le dita, strette.
Si cercano, trovandosi nel buio, nell'inconscio, nel sonno.
Si cercano alla luce, volontariamente, oltre le convinzioni, oltre le coperture.
Si intrecciano, corda a filo doppio, le dita, legame tra la barca e il molo,
nell'abbraccio del nodo indissolubile.

Nope

Trancianti, le spalle, a volte,
nel loro volgersi al proprio orizzonte, al proprio sole.
Male interpretabili, fraintendibili, dolorose.
Negazione, a volte, solo di se stesse.
Delle paure.

Dope

Metadone, le parole, per astinenze incolmabili, leniscono a momenti,
sfamano di aria e nuvole.
Palliativo di istanti, tentativo di allungare i respiri brevi,
mozzati dalla mancanza della propria droga.
Le parole.
Inutili.

10 novembre 2013

Bookwebcrossing

Post un po' diverso dal solito questo, sì, parlerò di un libro; non che non lo abbia già fatto altre volte ma questa volta mi trovo a scrivere di un libro che mi è arrivato da una blogger ed io passerò, a mia volta, ad un altro blogger mio lettore, che vorrebbe leggerlo perchè, come recita il titolo del post, questo è un bookwebcrossing. Il libro è "La cultura si mangia!" di Bruno Arpaia e Pietro Greco; chiaramente non è un libro di cucina ma, confesso, il fegato me lo ha fatto rodere tantissimo, per tanti motivi; parla della tendenza italica, degli ultimi anni, a sottovalutare la cultura, a guardarla con occhio critico, considerarla inutile se non dannosa. Il titolo deriva dalla famosa CAZZATA detta da Tremonti: "Con la cultura non si mangia" ed il libro fa proprio quello, chiarisce, punto per punto, che quella detta da Tremonti (e appoggiata da praticamente quasi tutto l'arco costituzionale) è UNA CAZZATA: con la cultura si mangia eccome! Chiariamo che parla di cultura in tutti i suoi aspetti e sottolinea che sviluppare la cultura può solo far del bene all'economia della nostra nazione ma anche all'evoluzione stessa del nostro popolo che, vuoi o non vuoi, si troverà, continuando così, sempre più in ritardo rispetto al resto del mondo, di tutto il mondo. Chiariamo anche che non sono affatto d'accordo con chi parla di "decrescita felice", sono per una "crescita felice" fatta per l'umano, per migliorare il modo di vivere di tutti e, per favore, non cominciamo con CAZZATE come le scie chimiche, il fracking, i chip sottopelle e tutto il folklore della "lotta all'evoluzione"; la "decrescita felice" è una teoria che merita rispetto ma va esposta da chi la conosce bene. Detto questo, il libro esplica, in maniera chiara come siamo su una china discendente e che bisognerebbe fare qualcosa per invertire questa tendenza, che non significa semplicemente valorizzare il nostro patrimonio culturale ma sviluppare un patrimonio di cervelli che ci potrebbe consentire di sviluppare tutta quanta l'economia. Io, si sa, sono molto pessimista rispetto all'italiano medio, rispetto al nostro stesso futuro e gli ultimi anni non hanno fatto che peggiorare questa mia sensanzione ma, almeno, il libro mi ha fatto pensare che c'è chi ci sta provando, e questo è bello.
Da ultimo aggiungo, per campanilismo, il fatto che sia portato, come esempio positivo, tutto quanto fatto di buono in Puglia in quest'ultimo periodo.

Detto questo, vi chiedo, chi vuole leggerlo? Io lo spedirò al primo.

07 novembre 2013

Quattro rintocchi di campana

Quattro rintocchi di campana e poi il silenzio, mi siedo sul letto, non riesco a dormire; mi stavo innervosendo lì disteso, tanto, anche a stringere gli occhi non serve a niente. Penso qualcosa, una frase che mi voglio annotare, cerco un foglio, una penna e scrivo le parole che mi sono venute in mente prima che un altro pensiero, o un ricordo, le spinga via. Accendo la tv, una vecchia serie, di quando si chiamavano "sceneggiati", un giallo in bianco e nero. Siamo alla scena finale, il commissario sta per svelare chi è l'assassino, nulla, nelle facce dei presenti, fa presagire la verità. Mi viene da pensare che nemmeno gli attori la sapessero, prima che venga svelata. Non è stato il maggiordomo, no, ma l'anziana padrona di casa. cinque rintocchi di campana e poi il silenzio.

Questa cosa è vecchia, ha poco meno di due anni, scritta in un novembre sospeso, di attese e mancanze, riempito di parole scritte. Tanto e poco è cambiato da allora, la mancanza è rimasta uguale.

04 novembre 2013

Che Dio ti benedica

"Fighj mì, mi faresti aprire per favore? Tengo il peis mecher non ci posso passare, in mezzo". La signora potrebbe tranquillamente essere mia nonna, considerando che, come età, potrei essere padre, è bella che anziana. Niente, non c'è barba che tenga, né sguardo cattivo da rabbia che continua ad accumularsi dentro e che non riesco a far esplodere, né fila in banca appena sostenuta: mi guardano e mi chiedono un favore, sanno che non glielo negherò. Anche su gli autobus, sfuggo gli sguardi, altrimenti mi fregherebbero ed i questuanti li passo veloci e dico dei "NO!", fermi, decisi, inutili. "Va bene signora, adesso entro e le faccio aprire", "che Dio ti benedica, figlio mio", ancora? Vabbè che "nipote mio" suonerebbe peggio ma, poi, "che Dio mi benedica?" e lo facesse porca miseria ma mica solo Lui, io due o tre nomi che dovrebbero benedirmi ce li ho, belli, sicuri, piantati in testa. No, non mi ha preso nel giorno giusto la signora, né nella settimana giusta, forse nemmeno nel mese giusto; direi che nemmeno l'anno è quello azzeccato. Fosse stato, che so, cinque anni fa, magari a maggio, tipo di venerdì; ecco, forse sarebbe stato meglio. Che benedizione potrebbe darmi Dio? Mica mi manca niente, almeno così dicono quelli che mi conoscono; oddìo, quelli che davvero mi conoscono lo sanno che cosa mi manca, lo sanno bene; e potrebbe mai, Dio, benedirmi di una cosa che, a quanto pare, a quanto dicono i suoi scriba, non apprezza un gran che? Io non credo proprio. Benedica chi sta male senza conoscere un ministro, chi non lavora e continua a cercare. Benedica chi cerca e non chi se l'è cercata, chiunque sia. Benedica i buoni, non le merde come, invece, a quanto pare, fa; denotando quantomeno un umorismo sottile, direi inglese. La gente mi guarda rientrare e sorride, sorrido anche io, alla fine non avrei mai fatto nulla di diverso, nemmeno quando stramaledicevo anche a voce e non solo dentro, come faccio ora. In banca mi conoscono talmente bene che chiamo tutti per nome "Giampà potresti aprire alla signora? Grazie". In fondo lei che colpa c'ha? Mica è colpa sua se mi girano i coglioni. Lei c'ha solo la faccia di una, poverina, che si trova davanti una cosa che non capisce e vuole solo una mano. "Che Dio ti benedica!", e due. Magari ti ascolta signò, magari chiude pure un occhio, che tanto lo chiude pure spesso, e mi benedice un po' e magari mi addrizza il cervello, o magari mi ascolta un attimo, o parla a qualcun altro e gli spiega due o tre cose sull'illinearità della vita. Ecco signò, io ti ringrazio, ché una benedizione dal Gran Capo mica te la danno tutti i giorni, no; a me, al massimo, mi stramaledicono o, peggio, mi ignorano con una facilità che fa male. Ti ringrazio signora che potresti essere mia nonna, alla fine la benedizione di Dio mi starebbe proprio bene ma 'sta carta me la gioco come voglio, non è che poi se la tira indietro perchè non la uso per cose serie eh?! Siam chiari! Sorrido alla signora, in fondo voleva solo una gentilezza e non m'è costato niente farla, nonostante, forse, essere una merda sarebbe meglio.

26 ottobre 2013

Intermezzo


Le perle cadono sul pavimento, fanno un rumore di pioggia fredda quando comincia a cadere. Il gatto scappa di là come se non ne volesse sapere nulla, lui. Sempre il solito. La luce dalla finestra muore piano tanto per non far scordare subito che era giorno fino a pochi attimi fa; non che importi, non ora, non in questo momento, in questa stanza piena di foto e libri. Le perle cadono sul pavimento perché non sai mai quando si spezza il filo che le tiene, magari ci giochi un attimo e poi perdi tempo a cercarle, loro. Rotolano ovunque le perle che cadono sul pavimento, un po' è bello il rumore che fanno, quel ticchettio sempre più ravvicinato che, alla fine, si trasforma nel fruscio della rotolata.
Tic



Tic


Tic

Tic
Tic
TicTicTicTic
Rrrrrrrrr....

Fino a fermarsi, loro, le perle, ché noi non ci fermiamo davanti al rumore, non adesso che la luce sta morendo per rinascere domani, non in questo momento che ha spaventato anche il gatto, non ora che le vita, sì, la vita, sta aprendo il sipario.


17 ottobre 2013

Durante la pioggia

- Pronto.
- Ho fatto una cazzata, una cazzata grossa.
- Che cosa è successo?
- Sono venuto da Beatrice.
- Sei un coglione.
- Ma...
- Nessun "ma". Nessun "però". Sei un coglione. Un coglione ed un pazzo, ti avevo ordinato di non vederla mai più.
- Lo so ma ieri l'ho incrociata in Piazza Sant'Alessandro.
- Questo non significa un cazzo. Che cosa hai combinato?
- Sono venuto da lei.
- Questo lo hai già detto. Diventi ripetitivo. Ripetitivo e prolisso e sai che non lo sopporto.
- Sì, scusa. Sono venuto da lei, l'ho seguita e mentre si infilava in casa l'ho spinta dentro e sono entrato anche io. Volevo solo parlarle, giuro.
- Tu non dovevi nemmeno pensarla, Guido, nemmeno fantasticare su una persona che le somigliasse anche lontanamente. Te lo avevo ordinato io.
- Ma...
- Ti ho già detto cosa me ne faccio dei "ma", vero?
- Sì...
- Che cosa è successo?
- Abbiamo litigato.
- Pensavi ti avrebbe offerto un caffè? Pensavi ti avrebbe dato il culo Guido? Cosa pensavi? Dimmelo, sono curioso; voglio proprio sapere cosa ti ha convinto a non seguire un mio ordine diretto.
- Non lo so cosa pensavo, forse non pensavo.
- Non hai mai saputo farlo, questo è certo.
- ...
- Continua.
- Abbiamo litigato, mi ha riempito di insulti, MI HA DETTO CHE NON VALGO UN CAZZO!
- Non. Urlare.
- UN CAZZO! HA DETTO CHE SONO UN ESSERE INUTILE!!
- Ripeto. Non. Urlare. Mai. Più. Tu sei un essere inutile Guido, sei una merda, lo sei sempre stato, lo sarai sempre. Non sei altro. Una merda.
- Ma che dici???
- Quello che hai capito. Quel poco che riesci a capire. Sei una merda Guido, una merda di maiale che non è buona nemmeno a far concime. Beatrice ti ha detto solo quello che sei. Ti tengo solo perché sei un bravo analista e sai far girare i miei soldi ma mi fai girare anche i coglioni e prima o poi i secondi gireranno più velocemente dei primi. L'hai picchiata?
- Sì...
- E?
- E l'ho strangolata. Ma non volevo! NON VOLEVO!
- Se non avessi voluto adesso era viva. Ora te ne devi andare da lì, subito.
- Ma lei è qui, morta!
- Manderò un mio uomo, si chiama Mario, è un ripulitore. Una bravo. Lui. Ti ha visto nessuno seguirla in casa?
- No, stava già piovendo a dirotto.
- Bene. Ora vattene immediatamente da lì, e cerca di non farti vedere da nessuno.
- Va bene...
- Ah, Guido...
- Sì?
- Ti avevo ordinato di dimenticartela.
CLICK
TUTUTUTUTUTUTUTU

13 ottobre 2013

Beato


Tu, che ti godi beato un momento di piacere e vibri sorridendo con la coda, tu, nemmeno lo sai il bene che mi fai in quei momenti, anche se non bastano.

11 ottobre 2013

Arcobaleno

La luce del sole, attraversando le piccole gocce sospese nell'aria nel cielo, terso, dopo la pioggia, si scindono nei colori fondamentali e, per la curvatura della difrazione si piegano a gobba creando un arco colorato nel cielo. C'è chi pensa che alla fine di quell'arco ci sia un tesoro, una pentola di monete d'oro messa lì da un folletto con le orecchie a punta. Così pensava Mario chiudendo la valigia in cui aveva riposto accuratamente tutti i pezzi di Beatrice, chiusi in buste di plastica sigillate. Non poteva ancora togliersi la tuta bianca con cui si era coperto, doveva prima lavare con la candeggina la vasca da bagno. Fuori, l'arcobaleno si sbiadiva mentre il sole, lento, spariva all'orizzonte.

10 ottobre 2013

Intermezzo


Le barche sulla sabbia sparse alla rinfusa,
spogliate e capovolte al sole...

07 ottobre 2013

Due libri

Sono anni che non scrivo una recensione, agli albori del blog la facevo per ogni libro letto, mi divertivo; ora sono un po' arrugginito ma questa recensione ci tengo particolarmente a farla. Il bello di avere un blog da tanto tempo è che, negli anni, ti ha permesso di incrociare un sacco di persone, amici, di conoscere tante vite ed io ho sempre pensato che ogni persona, ogni vita, racconta una storia, bella o brutta che sia; il blog non mi ha mai deluso, tutte le persone che ho conosciuto, tutte quelle che conoscerò, mi hanno sempre fatto crescere, migliorare. Tra queste persone che ho conosciuto ci sono anche Nathan e la Francese (e la maghetta), dopo anni di conoscenza virtuale, finalmente, quest'estate sono riuscito a materializzarli, ed è stato davvero un piacevole incontro che mi ha confermavo tutto quello che già pensavo di loro. Tutta questa premessa per dire che Nathan, al secolo Fabio Mazzoni, ha scritto due libri che, a distanza di mesi, ho divorato in pochissimo tempo; due libri diversi ed uguali, un romanzo ed una raccolta di racconti. Sono due libri autoprodotti e dopo averli letti sono qui che mi chiedo perché siano autoprodotti, nel senso che non capisco perché nessuno abbia avuto l'idea geniale di produrglieli, al buon Fabio. Lo so, ora direte: "Tu sei di parte, siete amici", ok ok, è vero che siamo amici e che Fabio mi sembra, ad occhio, un buon amico, un buon fratello maggiore. Uno zio no, gli zii, spesso, se scrivono, sono molto presuntuosi. Però vi assicuro che sono obiettivo, i libri sono molto belli e meritano di essere letti. Mi accorgo ora di non aver ancora scritto i titoli, dei due libri, presto fatto: il romanzo si intitola "La voce del muto" e la raccolta di racconti "Quaranta chilometri ed altri racconti"; non vi sto a raccontare nulla sui libri, se non che il romanzo l'ho divorato in un giorno ed i racconti, spesso, mi hanno fatto sognare e ricordare. Potete tranquillamente saperne di più andando sul sito la voce del muto, da lì viene facile farsi un regalo (o due) e comprarsi i libri; secondo me vi piaceranno un sacco.

06 ottobre 2013

Sostanze stupefacenti

Pare, dico "pare", ma essendo una cosa che è apparsa anche nei Simpson DEVE essere reale, che leccando il dorso di determinati rospi ci si sballi un bel po'. Dunque c'è gente che leccherebbe volentieri un rospo, io invece leccherei volentieri una tartaruga.

03 ottobre 2013

Tirando le somme

Guardando il mio blog, l'altro giorno, mi sono accorto che, in questo 2013, ho scritto già 74 post, 75, con questo qui, e siamo ancora ad ottobre. Constatavo che sono vicino ai 78 post del 2009 e sono ancora ad ottobre, mi viene da sperare che potrei addirittura ambire ad avvicinarmi (se non superare) i due anni top, 2008 e 2010, in cui ho scritto rispettivamente 104 e 105 post. Ok, non sto a fare un confronto sulla qualità dei post perchè, altrimenti, non ne uscirei bene, lo so anche io, però mi fa piacere aver scritto un po' di più degli ultimi due anni, che sono stati, si vede, molto poco prolifici. Naturalmente m'è anche venuto da pensare a gli anni passati. Il 2008 è stato un anno di scelte ma, alla fine, lo sono tutti; sono diventato commercialista, mi sono interrogato sul cosa fare, mi sono impelagato nell'avventura "Milano"; non lo so perchè ho scritto così tanto, forse avevo più voglia, non lo so. Il 2009 è stato il mio anno a Milano, sono successe tante cose, anche e sopratto IN me, non solo fuori di me; cambiamenti? Non so se definirli così, negli ultimi mesi ho maturato la considerazione che, in realtà, bene o male, siamo, in potenza, tutto quello che saremo e le nostre evoluzioni, le nostre giravolte, beh, sono solo dovute al fatto che i periodi della vita che attraversiamo mettono in luce certi aspetti e ne mettono in ombra altri; poi i periodi cambiano e, come durante una giornata, cambia anche la luce. Milano per me è stato il "grande salto", oh, certo, so che c'è chi ne fa di più lunghi, anche di più sconsiderati, direi io, nascondendosi il motivo reale delle cose, inventandosene altri, finti, o minori e poi portandosi ad interrogarsi sul perché le cose non vadano. Vabbè, dicevo che è stato il mio "grande salto", sono stato fortunato, sono stato bene e, forse sbagliando, l'ho fatto finire a fine 2009. Quante cose ho fatto finire che non volevo finissero? Quante cose sono finite e non dovevano finire? Tantissime, sia in quell'anno che, soprattutto, in quelli successivi. Il 2010 è stato l'anno del "record" di cose scritte e, so bene, è stato l'anno in cui è cambiata, fondamentalmente, la luce che mi illuminava. C'è chi mi ha scritto, in quell'anno, che non ero più il blogger di una volta, che non scrivevo più cose divertenti, che ero "diverso". E' vero, ero diverso, l'ho scritto, è cambiata la luce, cambiato il messaggio di ciò che scrivevo e scrivo, identificato il destinatario, che, vuoi o non vuoi, tale è rimasto. Però è stato un anno meraviglioso, e pauroso, insieme; un anno esplosivo e calmo. Sì, credo che 2009 e 2010 possano definirsi GLI ANNI, almeno di questo breve periodo di vita. E siamo al 2011, il punto più basso del blog, almeno per quanto riguarda i numeri, solo 58 post; un anno anche difficile, soprattutto nella seconda metà; un anno pieno, anche, di piccoli dolori da poco, come direbbe Benni che, sommati, fanno tanto male, anche a chi li produce, non solo a chi li riceve. Il 2012 è andato a ruota, sono successe tante cose anche in questo anno, mi sono sposato, tanto per dirne una. Sì, lo so, non ve l'ho detto, non mi piace pubblicizzarmi troppo e poi, avevo una remora di troppo. Ora siamo al 2013 e, cosa di cui mi ero accorto già da fine 2012, la luce è come scesa, tipo tramonto, e si sa che la luce del tramonto crea ombre lunghe e porta luce negli anfratti bassi, ed ho scoperto la mia rabbia, la mia amata Rabbia che mi fa stare qui, mi coccola, a volte e si è messa a braccetto con l'Amore e sta portando avanti quest'anno. So che qualcuno dirà "passerà", "cambierà", perchè cambierà la luce ma, torno a quello che ho scritto prima: siamo tutti, in potenza, tutto quello che saremo quindi quello che sono non è una cosa che cambia, ma solo che va in ombra o in luce, a seconda della provenienza della luminosità. Come dice il titolo, tirando le somme ci sono circa altri tre mesi davanti, mesi in cui mi auguro di scrivere ancora molto, di raggiungere e superare i 600 post del blog, di ritrovare vecchi amici, di scoprirne di nuovi ma, soprattutto, mi auguro che chi sa leggere, legga, e capisca.

30 settembre 2013

Intermezzo

Ci sono nuvole nere, cariche. Incombono e, ogni tanto, si illuminano di scariche. Minacciano, promettono, affermano. Ho guardato fuori, è uguale.

Mi è tornata in mente questa canzone.

27 settembre 2013

Distraente, accomodante, amico

Premessa: il 25 ottobre 2009 ho chiesto ai miei lettori di darmi, nei commenti, tre parole; per l'esattezza un aggettivo, un sostantivo ed un verbo, ed io ci avrei tirato su un racconto. Ne arrivarono tante, di triplette, circa trentatre! All'inizio sono partito anche bene, spedito, poi, vuoi la vita, vuoi gli scazzi, ho rallentato la scrittura dei racconti; l'ultimo, infatti, risale addirittura all'8 ottobre 2012, praticamente quasi un anno fa, però non ho mai abbandonato l'idea di scriverli tutti ed infatti eccomi qui che ne posto un'altro. Li potete (dovete?) leggere tutti qui.

Il post dalle tre parole di vitty

Solo una sera di fine estate


E’ solo una sera di fine estate, la gente affolla le strade con passi diversi, in bilico tra la fretta e la lentezza. Una ragazza da un’auto regala un “ciao bello” al tuo passo cadenzato, che si perde in una breve, convulsa, esplosione di clacson. Tutto intorno è un distraente insieme di facce diverse su cui la giornata ha disegnato una storia, su cui la serata sta disegnando una promessa; mentre tu ti muovi, convincendoti di essere inconsapevole, cercando di scordarti di tutto quello che sai. A passi lenti ti ridisegni in testa il concetto di “amico” e tutto quello che comporta ed implica ed anche a voler essere accomodante, non si sovrappone affatto al tuo perimetro, se non in un paio di curve dell’anima. La musica ed i passi ti portano nel luogo prestabilito, indossi un sorriso morbido esattamente della tua misura e, nell’attesa, scambi parole con le dita. Intorno, la gente, passa come navi che aggirano uno scoglio, senza modificare troppo la loro rotta, come già sapessero che eri lì, come se facessi parte della scena. Le persone passano intorno, veloci, ma, giusto all’attacco di una canzone, una si ferma e, allora, ti scordi di essere inconsapevole, tutto assume il suo contorno più nitido e diventa più difficile ma c’è sempre tanta gente tutto intorno; in fondo è solo una sera di fine estate.

25 settembre 2013

Non va.

Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va. Non va.

L'ho detto che non va?

15 settembre 2013

I giorni mi cadono via veloci...

...tanto da scordarmi molte cose e ricordarne altre, sempre, fisse nel cervello. Eppure me lo sarei dovuto ricordare, cazzo, è partito tutto da qui, ormai sette anni fa; per gioco credo, per la voglia di provarci. Non pensavo nemmeno che sarebbe durato, che dopo sette anni, SETTE, sarei stato ancora qui a scrivere parole, mie, di altri, di altre vite, di universi paralleli, di universi trasversali; ed invece sono ancora qui e per favore non tirate in ballo Vasco Rossi. Questo post, per stare in regola, avrei dovuto scriverlo il due settembre e non quasi due settimane dopo ma m'è passato di mente, d'altronde, il 4 ho scritto di pensieri, per raccontare quanto tempo, dentro una testa, si possono fermare alcuni pensieri, è una cosa che sapevo da tempo ed ho imparato da poco. Solo che i pensieri, quelli forti, costanti, spingono via gli altri, quelli futili, chiamiamoli così. Eppure ripenso spesso a tutto quello che è passato attraverso questo blog, a tutti gli amici che m'ha fatto conoscere, che, spero, continuerà a farmi conoscere e mi accorgo anche che, bene o male, dentro questo blog ci sono tutti i miei cicli evolutivi, i momenti in cui scrivevo per far ridere ed i momenti no, quelli tristi. Mi è stato detto tempo fa che non scrivo più con la stessa leggerezza, mi è stato detto anche nello scorso post, e quando te lo dice una persona che ti conosce bene, penso significhi che è così. Vi confesso che, a volte, sono stanco, guardo tutte le cose che ho scritto, guardo le idee folli in cui mi sono imbarcato, le promesse che ho fatto, e sono stanco; finirò mai i racconti dalle tre parole? L'ultimo è quasi di un anno fa. Ed i racconti che ho promesso di scrivere, gli altri, quelli che nascono dalle canzoni? Ed i reloaded? Ne scriverò ancora? A volte ho un sacco di entusiasmo, davvero, ho anche l'idea giusta in testa ma poi qualcosa mi mozza il pensiero, mi mozza il respiro. Passerà? Si attenuerà? Non lo so, alla fine anche questo è crescere, non sapere o sapere bene, tanto bene. Quanta vita ci sta dentro sette anni? Tanta, così tanta che, spesso, nemmeno si riesce a raccontare, quello che ero in quel lontano 2 settembre 2006, quello che sono in questo 15 settembre 2013, quello che è stato e spero sia ancora, sempre e per sempre, io non mi siedo o siederò mai con le spalle alla porta, io attendo e spero sempre, al bancone. In questi sette anni ho fatto tante scelte, tante non scelte, alcune sono palesi, altre meno, altre ancora devono essere capite, altre non bisogna per forza farle. Alla fine, insomma, questo blog è qui da sette anni e, spero, continuerà ad esserci per tanto tempo ancora, nonostante la stanchezza. Mo, però, basta, non vorrei che mi si dica che sono patetico; tanti auguri al mio blog per il suo compleanno, perchè ormai è un ometto, per tutte le persone con cui mi collega, per quello che verrà.

08 settembre 2013

Il prestigiatore

Sono qui, seduto in un angolo ad un tavolino sporco; entrando non mi si vede, mi mimetizzo con la tappezzeria macchiata, abbiamo le stesse chiazze. Sono di spalle, faccio spettacoli di magia per il muro, faccio apparire del pessimo whisky in un bicchiere, opaco di mille lavaggi, e lo faccio sparire. Sono bravo, un paio di volte mi è sembrato che il muro applaudisse. Il gioco mi viene bene, lo faccio da tanto tempo, mi alleno tutti i giorni, l'allenamento è importante, è quello che differenzia i professionisti dai principianti. Una volta era diverso, mi sedevo rivolto alla porta, come se aspettassi di vedere entrare qualcuno, da un momento all'altro. Aspettavo e bevevo, poi ho smesso. Di aspettare.


04 settembre 2013

Pensieri

I pensieri sono come le punture di zanzara, appena vieni punto cominciano a prudere da pazzi, si arrossano, si gonfiano e tu vorresti strapparti la pelle purchè smettano di prudere; cominci a cercare una soluzione, gratti tutto intorno, come per delimitare, ma nulla, quella continua a prudere e allora cerchi di non toccarla, speri che si acquieti da sola, quella maledetta puntura, quel maledetto pensiero. Dopo un po' succede, il prurito diminuisce, piano piano, e ti rimane la bolla, meno rossa, che la guardi e pensi che, forse, prima, quando ti saresti inciso a vivo la carne purchè smettesse, forse, eri stato un po' esagerato. fai pure un sorriso, alla puntura, al pensiero. Però lo sai bene che non è mica finita lì, no, perché, seguendo regole tutte sue che nemmeno approfonditi studi hanno mai svelato, la puntura ricomincia, all'improvviso, a prudere di nuovo; forse perché, involontariamente l'hai sfiorata, forse perchè la puntura ha dentro un timer che segna quando deve ricominciare a prudere, forse non aveva mai smesso di prudere ma tu eri stato bravo ad ignorarla. Solo che le punture di zanzara, come i pensieri, non puoi ignorarli per sempre, no, prima o poi ricominciano a prudere, anche più forte di quando sono nate, sia la puntura che il pensiero, e di nuovo sei lì che ti gratti, prima con il dorso dell'unghia, cercando di essere leggero per non lasciare segni, poi sempre più forte, con il dritto dell'unghia, quasi a voler sovrastare il prurito con il dolore dei graffi, come spararsi nelle orecchie una musica credendo serva a non far battere il pensiero. E' inutile, si sa, ma non se ne può fare a meno, come una specie di riflesso condizionato. All'improvviso come è arrivato il prurito smette di nuovo e di nuovo pensi, guardando quella piccola bollicina, che, forse, eri davvero esagerato quando pensavi che avresti volentieri versato benzina sulla puntura e le avresti dato fuoco, con tutto quello che c'è intorno; però sai bene che è solo una tregua, la puntura, come il pensiero, tornerà a farsi sentire. In media, che ti gratti o non ti gratti, una puntura di zanzara prude per circa cinque giorni e quindi saresti portato a credere che, vista la similitudine, anche il pensiero, bene o male, dopo cinque giorni sparisce, e qui sta l'errore. La zanzara, quando ti punge, ti instilla dentro un po' del suo anticoagulante, perché mica può far di corsa, deve avere il tempo di bere, mica può stare lì a succhiare con le piastrine che si adoperano per tappare il buco, ecco, anche per i pensieri è così, anche loro, quando nascono, ti instillano un po' di veleno per poter fare con comodo. Ora, va da sè, la massa media di una zanzara è di circa 1 milligrammo, a parte quelle dei Navigli, a Milano, che pesano circa mezzo chilo; quella di un umano è circa 70 chili, a parte la mia che... vabbè, questa è un'altra storia. Un umano, quindi, è settanta milioni di volte più grosso di una zanzara, ve lo scrivo in cifre così vi fate un'idea, 70.000.000. I pensieri non nascono dalle zanzare, nascono dagli uomini, quindi, in proporzione, se una puntura di zanzara prude, a fasi alterne, a sorpresa, quando cazzo gli pare, in media, cinque giorni, un pensiero rimane, a fasi alterne, a sorpresa, quando cazzo gli pare, in media trecentocinqua milioni di giorni. 350.000.000 di giorni. Praticamente il pensiero rimane lì, ora più ora meno, circa 959.000 anni, un tempo, tutto sommato, ragionevole. Quindi, tu, pensiero che torni, io lo so e forse lo sai anche tu, che mi accompagnerai per tutta la vita perché, sinceramente, voglio campare a lungo ma novecentosessantamilionidianni mi pare una abominevole rottura di coglioni.

17 agosto 2013

Guardastelle


Il cielo ha questa capacità assurda che, quando si scolora, te lo guardi ed è come se il tempo avesse un altro battito. Tu stai lì, fermo ad osservare, ed è un attimo che il cielo è azzurro ed il sole giallo e poi tutto cambia e si cominciano a vedere altre sfumature ed ha una sua lentezza particolare, un suo tempo; guardi il cielo cambiare colore e capisci i gatti, alla fine, capisci il loro star fermi, la loro vibrazione. Poi le vedi apparire, quasi ti stupisci, anche se sai che sono lì da sempre; prima le più luminose nell'indaco profondo e poi, una alla volta, a trapuntare il cielo, piccoli punti di luce nel manto nero. C'è chi diceva fossero i buchi da cui entrava la luce dell'infinito e fa pensare che quella luce lì sia partita millenni fa e che, probabilmente, sia solo l'immagine di una stella che non esiste più. Se intorno è abbastanza scuro ti ci puoi perdere, in quel manto di luci dentro al nero, e disegnare tutto quello che vuoi e, forse, è quello che vuoi, perderti, perchè solo così si può trovare una strada.

11 agosto 2013

Periodo rarefatto

Ascolto De Andrè, De Andrè che riscriveva Masters; ne sento dentro la potenza, in ogni frase ed in ogni parola e ritrovo la voglia di parole anche io. Ritrovo la voglia di scrivere storie, di inventare mondi, di raccontare vite e ritrovo la voglia anche di non dire nulla, di lasciare che siano le parole degli altri a dire qualcosa, che siano anche i silenzi a raccontare. Ritrovo uno spirito uguale e diverso ed è bello, il voler sentire le parole formarsi in testa ed il guardare quello che c'è intorno anche stando zitto.

08 agosto 2013

Un piccolo brivido estivo…

La finestra è aperta sul buio, non è un buio pesto, è rischiarato appena dalla luce tremula di una candela. Un ventilatore appoggiato sul pavimento si muove da sinistra verso destra e torna indietro e, ad ogni passaggio, fa ondeggiare la fiamma della candela e ballare le ombre lunghe e scure, sul muro. Seduta sul divano una ragazza, dai lineamenti sembrerebbe russa, o ucraina; cerca, pare, di trovare refrigerio nel buio e nell’aria accelerata dal ventilatore; è immobile, assorta in qualche pensiero profondo, la lama di fuoco si riflette nei suoi occhiali, una piccola goccia di sudore le imperla la fronte. Ha in mano un bicchiere, un calice, per essere precisi, con dentro quello che sembra vino bianco fermo, ghiacciato, si direbbe, vista la patina formata sul bicchiere fino a dove c’è liquido. C’è silenzio, un silenzio quasi irreale che, all’improvviso viene interrotto da una voce querula che chiama da un buio più profondo, “Ludimilla… Ludmilla…”. La ragazza sembra trasalire, il suo sguardo chiaro, profondo, tradisce le sue emozioni, anche la mano non è più ferma. Beve un sorso dal bicchiere, lungo, si alza e si immerge in quel buio profondo.

Chissà come continua...

06 agosto 2013

Carme 85

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Catullo

E poi ci sono quelli che mi stanno solo sul cazzo, so' tanti eh.

02 agosto 2013

Moneygrabber

Il racconto è un po' crudo, vi avviso.



“Alzati”, la mia voce lo va a riprendere dentro gli anfratti remoti dell’incoscienza in cui il sonno lo ha portato. Non mi riconosce subito, no, la consapevolezza si fa strada, a fatica, dentro le ombre di qualche sogno; poi vede i miei occhi e, successivamente, la canna della pistola; delle due cose non credo sia la seconda a spaventarlo di più. “Alzati”, ripeto, questa volta è più pronto e dopo essersi messo a sedere sul letto, fa per alzarsi; lo colpisco alla bocca con il calcio della pistola, lo colpisco bene anche se c’è poca luce; il labbro si spacca e saltano via un incisivo ed un canino, forse un altro paio di denti li ingoia. Dalle labbra esce sempre molto sangue, una grossa macchia amaranto si allarga sulla sua maglietta bianca, ricade seduto sul letto. “Alzati”, gli dico, di nuovo; è titubante, teme un altro colpo ma questa volta lo faccio alzare. Lo spingo verso la cucina, “Perché?”, mi chiede, “Lo sai”, gli rispondo; inizia a farfugliare qualcosa, sembra stia pregando ma non si rivolge a Dio, si rivolge a me; ha capito cosa sta per accadere, cosa sto per fargli; comincia anche a piangere un po’. Lo faccio sedere al tavolo della cucina, sotto la luce che pende dal soffitto, bianca. Gli lego le mani dietro la schiena e i piedi nudi alle gambe della sedia; ho portato con me solo la corda per legarlo, il resto lo trovo lì, siamo in una cucina e, si sa, la cucina è un luogo pericoloso. Non gli ho tappato la bocca, no, devo sentirlo urlare perché non devo concedergli nulla, nemmeno il mugugno; non sentirà nessuno, ha voluto isolarsi dal mondo, lo stronzo, come se ne avesse schifo, come se non dovesse essere il contrario ed essere il mondo ad aver schifo di lui. Mi guarda, il labbro spaccato, gli occhi pieni di lacrime, la maglia sporca di sangue, “Pietà”, mi chiede, nemmeno troppo convinto, in realtà, sa che non gliene darò mai, non ne ha mai avuta quando era il suo turno di darla e adesso non ha crediti da scontare ma solo debiti da pagare; lo guardo ridendo mentre armeggio col cassetto degli utensili da cucina, “Ma perché, sai anche che cos’è la pietà? Me la vorresti spiegare? Io devo averla persa giusto qualche mese fa, era gennaio, ti ricorda qualcosa?”, e gli sparo al ginocchio destro. L’urlo mi entra direttamente nelle fibre, non so nemmeno se passa per le orecchie per quanto lo sento fisicamente. Accendo il gas, “Che fai?!”, mi chiede tra lacrime e dolore, “Mi faccio un caffè, mi sta venendo sonno”, piange, gli infilo uno spiedo incandescente di calore rosso, nel fegato; batte i denti dal dolore ed io spiego “Sai perché l’ho arroventato? Perché così cauterizza i vasi e non muori dissanguato, mi rovineresti il divertimento” e ne infilo un altro, in un polmone, gli manca il fiato. Ero un uomo ed in questo momento sono un mostro, ero un uomo e questa merda che comincia a somigliare a San Sebastiano m’ha dato questa trasformazione, me l’ha fatta pagare cara ma adesso è qui; forse c’era già da prima, non siamo tutti qualcosa, in potenza? Non abbiamo tutti un limite? Una tensione di rottura? Il punto di frammentazione? Chiamiamolo come vogliamo ma succede che si supera e si diventa quello che sono io, adesso, mentre gli disarticolo una clavicola con un batticarne. Ormai quello che grida e quello che sputa non mi interessano nemmeno, mi laverò dopo, mi farò una doccia, adesso sono troppo impegnato a controllare se uno schiaccianoci riesce a fratturare tre dita insieme. Sì, ci riesce. Lo guardo, è quasi svenuto dal dolore, ansima, e respira a fatica, uno spiedo in un polmone, un coltello da carne nell’altro non lo aiutano; gli vado vicino, gli tiro indietro la testa e gli chiedo “Vuoi morire?”, credo mi risponda di “Sì”, non ne sono nemmeno troppo sicuro, “Va bene, ma solo perché ormai mi sono rotto il cazzo di te” e gli squarcio la gola con il coltello per il pane, con tanta di quella forza che lo scheggio sulla spina dorsale, vertebre cervicali. Sul tavolo lascio un biglietto: 'Non ringraziatemi, è stato un piacere'.

Questo racconto lo avevo promesso e lo avevo anche iniziato l'undici novembre 2011 ed allora nessuno aveva indovinato di cosa avrebbe parlato; eppure non sono stato il primo a collegare questa canzone ad una cosa simile, è stata colonna sonora di un episodio di Criminal Minds. Lo so, ci metto tempo ma le promesse le mantengo, tutte.

31 luglio 2013

Home


Il tempo sulle scale è tempo dedicato ai pensieri, fai mente locale sulle cose mentre, infilando la mano in tasca, cerchi con la punta delle dita le chiavi di casa; nello spazio del corridoio ti sei quasi dato tutte le risposte e infilando la chiave nella serratura, prendendo inconsapevolmente la mira, già non te ne frega più un cazzo. Appoggi la borsa e ti togli le scarpe, riprendi confidenza con il pavimento, lo gratti un po' con le dita dei piedi, quasi fosse un gatto; molli le chiavi nel posacenere e ti slacci la cravatta, senti il respiro che un po' si allunga e lanci la giacca sulla poltrona. Apri il frigo e cacci fuori una birra mentre, con l'altra mano, hai ritrovato un apribottiglie vintage dentro un cassetto. Con gesto quasi meccanico apri la birra godendoti il fresco della bottiglia ed il piacevole sibilo dell'aria, intrappolata nel collo, che si libera nello stappo. Apri la finestra sulla sera e t'affacci, piedi nudi e birra in mano; mentre dai un senso alla birra che hai stappato, cerchi di ricordare le risposte che t'erano venute e le domande a cui corrispondono, non fai a tempo a farle combaciare che la birra è finita, regalandoti un sospiro di goduria colto ad occhi chiusi e collo esteso e ti dici che, alla fine, se le risposte sono giuste, che arrivino quando servono.

24 luglio 2013

Tanto per dire

A: Quando fai così giuro che non ti sopporto, va all'inferno!!!
B: Io non andrò mai all'inferno, sono sicuro che Dio mi metterà tra gli angeli.
A: Certo, perchè Dio, nella sua immensa grandezza essendo gli angeli, senza sesso, ti metterà dove non potrai rompere il cazzo a nessuno!

19 luglio 2013

Quella cosa che chiami vita

L'erba del lungofiume è verde delle piogge invernali appena finite, brilla nel primo sole, caldo, di aprile ed urla alla primavera di essere pronta; l'acqua scorre veloce sui sassi lisci, grigi e marroni, ed accompagna le pinnate decise di alcuni pesci. Tutto intorno le montagne guardano, come a controllare, lo svolgimento solito delle cose; la ragazza dai capelli sottili cammina svelta con le mani in tasca, fingendo un broncio, mascherando un sorriso; ha falcate sicure di chi conosce la strada ed evita l'erba più alta senza schiacciarla. Il ragazzo si affretta incerto, meno sicuro di dove saranno i suoi piedi al passo successivo ma, grazie a leve più lunghe, con qualche passo veloce ha colmato il distacco. Finge un fiatone più grosso di quello che ha e la ferma cingendole le spalle, lei cerca di trattenere il broncio finto che il sorriso sta spingendo via con forza, lui riesce solo a dire “Hey...”, piano, quasi accompagnando un sospiro; stringe un po' di più le braccia e l'avvicina a sé, affonda la faccia nei capelli sottili e le bacia, lieve, il retro del collo. Un uomo in tenuta da jogging li incrocia e sorpassa sorridendo a quella vista, i suoi passi sono l'unico rumore che supera il fruscio del vento; in alto due rondini si incrociano in volo e macchiano, per un attimo, il sole.

13 luglio 2013

La fine di un mito?

“E siamo qui riuniti per condividere la gioia immensa di questo giorno con Andrea e Caterina...”. Ma come cazzo mi ci sono trovato in questa situazione?! Baol, tutta colpa sua, lo so, mortacci sua! “Vedo la commozione del testimone...”, commozione un cazzo! Quello sta'a'ride e si nasconde la faccia, e poi, 'sta Caterina ma chi cazzo la conosce?! "Ti devo fa' conoscere una", mi fa quo'o stronzo, "si chiama Caterina. Namo a bere". Ma che minchia amo bevuto?! Cherosene?? Questa Caterina ridefinisce i limiti del concetto di roito, c'ha più barba di me e la barba le sta pure bene, sfina il volto, anche perché per affinare il resto ci vuole una fresa industriale. C'ha begli occhi però, vabbè, uno, quello di vetro, sarà vetro buono, tipo Murano. Guardo Baol implorante, e quello ride!!! Lo possino... Ma tanto mo' quando mi chiede se la voglio prendere come mia sposa dico di no, chemmèfrega a me! Famme vedè chi altro sta in chiesa...TUTTE! Tutte le ha invitate, tutte quelle con cui so' stato, almeno tutte quelle del mio quartiere, tutte tutte non ci stavano; mezza navata della cattedrale so' ex! E rideeee, mo mo'o'magno. Che fa? Mi indica di guardare dall'altro lato, tra i parenti della sposa. E chi so' quei tre colossi?! Saranno padre e fratelli de 'sta Caterina, mi guardano, me fanno cenni strani con le mani, tipo parentesi ma più minacciose, sembra che mi abbiano letto in faccia il mio intento, mi sa che se dico di no qua mi fanno la pelle. “Ma è un giorno felice, perché tutte queste lacrime?” Eh, già, perché?! “Andrea, le tue amiche piangono tutte, sono così sensibili?”, "Sò disperate" je dovrei dì; e Baol ride, anfame!! Ma quando gliel'ho chiesto, a questa, de sposamme?? Io manco la so formulare la frase “mi vuoi sposare?”, mi esce sempre, “scopiamo”, senza nemmeno il punto interrogativo. Ma poi, tutte le pratiche per il matrimonio chi cazzo le ha fatte? Baol! Sempre lui, quello c'ha lo zio da'a'moje che è prete; guardalo come ride! “Prima di procedere con la formula di rito, ci sono gli anelli?”, bene, manco so dove si comprano, le fedi, mi basta l'anello al pollice, quello d'argento; l'anello, non il pollice. “Certo, li ho io”, chi cazzo ha parlato?! Baol! Ma grandissimo fijo de na' mignotta! Mi sa che questo l'ho detto ad alta voce perché mi stanno guardando, il prete è pure sbiancato che secondo me gli viene un infarto. Magari. Sorrido, ridono, me viè da piagne. Baol ride. Guardo ancora i parenti di Caterina, magari non sono poi così grossi; se n'è aggiunto n'artro, pare n'armadio a quattro ante, solo il collo è grosso quanto la mia coscia destra; mi guarda e mi sorride, c'ha un dente sì ed uno no e quello sì è d'oro; c'ha la faccia di uno che chiama per nome tutti i secondini di Rebibbia. Riguardo Caterina, magari non è poi così male, ha pure i baffi curati. Magari ha un buon carattere. Ma che ha fatto? Ja mostrato il dito medio a quelle del mio lato? 'Na signora. E Baol ride, se sopravvivo lo smonto. “Vuoi tu, Caterina, prendere il qui presente Andrea il Banale come tuo legittimo sposo?”, “Avoja!”, confermo: una signora. Sudo freddo, sudo pure l'acqua con cui m'hanno battezzato, la poca che non è evaporata al contatto. E Baol ride e mi fa cenno di guardare il prete, “Vuoi tu, Andrea il Banale, prendere la qui presente Caterina come tua legittima sposa?”, guardo Caterina che mi sorride, ha lo stesso dentista dell'armadio, mi sa; guardo i suoi parenti che stritolano le panche in legno, l'armadio stritola direttamente la balaustra di marmo; guardo il prete che aspetta la risposta; guardo Baol, che ride, e urlo “NOOOOOOOOOOOOOO!”. Mi sveglio nel mio letto, madido di sudore, due barche di sushi e sei birre mi sa che so' tante, o forse è stato il kekab prima di andare a dormire. Squilla il cellulare, è Baol: “Banà, ti devo fa' conoscere una, si chiama Caterina”, “Mavattelapijànderculo!” e chiudo.

Confido nel senso dell'umorismo di Andrea il Banale

10 luglio 2013

Intermezzo


Perchè il vuoto c'è, il vuoto arriva, il vuoto accade; come un'improvvisa variazione di pressione. E' la mancanza di sostegno, l'appiglio consueto che si spezza. Il vuoto avviene, si appalesa, e lo senti mentre cadi e sembra non fermarsi mai, non finire mai. Ma lo senti anche quando ti rialzi, quando lotti e quando imprechi e lo senti che ti spinge e risali, sia una mano, sia una vita, sia un sorriso.

08 luglio 2013

Tornato

E' che ce ne sarebbero di parole, tante, su ogni volta che torno a Milano, che ogni volta è uguale, che ogni volta è diversa. Ho rispettato quello che avevo scritto, viverla libero da certi pesi che comunque ci sono, sono dentro, non se ne andranno mai ma se li metti nel loro compartimento stagno, dopo che sono tracimati per un sacco di tempo, beh, forse riesci ad essere quello che dovresti essere, te stesso. Sono tornato, come ogni volta, più ricco; no, non di soldi (magari) ma più ricco di vita, di immagini, di rabbia buona, di fame. Sono tornato ed ogni tanto penso e sorrido e per questa cosa ringrazio, ma tanto. Scriverò ancora, ne ho voglia, ne ho rabbia, scriverò ancora. Sono tornato.


02 luglio 2013

Milano

Sono a Milano, appena arrivato. Come ogni volta ho fatto mio, da subito, ogni passo, ogni respiro. Non importa sia di polvere e caldo, ogni respiro è un ricordo, ogni strada un'immagine. Si dice che un posto, per capirlo, va vissuto; io questa città l'ho vissuta, un tempo breve e eterno ed ogni volta che torno mi riconosce e mi dà qualcosa. Sempre uguale, sempre diversa; felicità, tristezza, euforia, rabbia. Da sole e tutte insieme. Per un periodo l'ho guardata appannata, dietro una cataratta di tristezza e rabbia, cercavo risposte dentro le cose, cercavo persone dentro le facce, senza nemmeno sapere cosa avrei fatto una volta trovate le risposte. Senza nemmeno sapere cosa avrei detto se avessi incontrato le persone. Quando ogni angolo ti racconta qualcosa è difficile tirare un respiro; che sia una fermata della metro, o un tram o, addirittura, una fredda panchina di cemento. Poi, l'ultima volta che sono stato qui, una rivelazione, come il click di una telefonata che si chiude e cadono, con la comunicazione, anche gli orpelli e cade, addosso a te, la tua stanchezza e ti ripiomba addosso anche la tua logica ma, soprattutto, il tuo orgoglio e allora quella cataratta, quella patina, cade anche lei e vedi tutto. Tutto il bello che tale rimarrà ma anche tutte le stronzate che le persone hanno il coraggio di dirti, le stronzate che hanno il coraggio di bersi. Sono di nuovo a Milano e torno a rivedere i ricordi, nitidi, belli; torno a ripensare alle penombre e alle strade, al caldo di luglio e al freddo di febbraio. Sono di nuovo a Milano ma, soprattutto, ho di nuovo fame.

29 giugno 2013

Ciao Margherita


Oggi è venuta a mancare Margherita Hack, aveva 91 anni ed io la saluto così, con questo video. Perché proprio questo, vi chiederete, non ha nulla a che vedere né con lei, né con un lutto e, in più, è anche un video che sta scatenando un sacco di polemiche perché ritenuto sessista. Invece metto questo video perché, proprio in occasione di un lutto, chi rimane dovrebbe cercare di trovare, ovunque, un po' di allegria; metto questo video perché lei, a vederlo, si sarebbe fatta una risata, ne sono convinto, una risata sguaiata da toscanaccia. Ho avuto la fortuna di ascoltarla, qualche anno fa, in una scuola, parlare a dei ragazzi ed essere come si dovrebbe:pratica, diretta, goliardica. Metto questo video perché, se le avessero detto, "è sessista", se lo sarebbe guardato con più attenzione e si sarebbe fatta un'altra risata ed avrebbe esortato ad essere meno bacchettoni e un po' più attenti a guardare bene dove sta il vero "sessismo", in che pieghe si nasconde per davvero; lei, prima donna a dirigere un osservatorio astronomico, in Italia penso che sapesse bene il significato della parola "sessismo". Metto questo video per salutarla, lei, scienziata, comunista, tostissima perché, in fondo, è un bel modo per salutare, con una bel giro di basso. Mi dispiace sia andata via ma ha avuto una vita lunga, piena di soddisfazioni, molto più di quanto io stesso credo otterrò mai e sono triste, sì, sono triste che sia andata via perchè la cosa che punge, la cosa che fa male, non è sapere che lei non ci sarà più ma sapere che molte, moltissime merde, invece, sono rimaste ancora qui.

26 giugno 2013

Intervista ad un baol

Onde evitare orde di fotografi e autografi da firmare ho concesso al buon MikiMoz un'intervista esclusiva, correte a leggervela QUI

25 giugno 2013

La mala educacion

Questo è un post di scuse, sì, di scuse, perché oggi mi sono accorto che molti contatti della chat di Gmail risultavano bloccati da Google, a mia insaputa (sì, lo so, fa tanto politico italiano). Ho dovuto fare l'upgrade a Google+ per poterli sbloccare, praticamente Google mi ha costretto ad essere su Google+ (e m'ha pure costretto a trovare un nuovo feedreader perché Google Reader dal primo luglio non funzionerà più). Mi girano vorticosamente; scusatemi se non mi vedevate più online o avete pensato vi avessi bloccato. Scusate.

23 giugno 2013

Dei libri

Ho appena chiuso un libro, oddìo, non so quanto si possa usare il termine "chiuso" per un ebook, comunque l'ho finito un attimo fa e lo avevo cominciato ieri. Il libro è "Un lungo fortissimo abbraccio" di Lorenzo Licalzi ma, alla fine, non è del libro che voglio scrivere, non di quello nello specifico, almeno (che, comunque, a me è piaciuto molto). Da qualche anno, per ogni anno, mi creo un file in cui mi segno tutti i libri che leggo, appena finisco di leggerli apro il file e lo segno (non ditemi che pensavate che il post che faccio ogni inizio di anno lo facessi a memoria eh?!); anche questa volta ho fatto così e mi sono accorto che, dall'inizio dell'anno questo è il settimo libro letto. A marzo ero già arrivato a sei e poi, un blocco, non sono più riuscito a mettermi lì a leggere, aprire un libro (o un ebook) e tirare lungo per finirlo, sì, ho cominciato un libro di racconti di Durrenmatt ma, proprio perché sono racconti, mi sono fermato e ci ho inframmezzato il libro di Licalzi. Non lo so perché mi sono bloccato. No, in realtà lo so perché, e sono tanti motivi insieme; stanchezza, impegni, il tablet in fissa su Twitter, il pc in fissa sui blog, pensieri, parole, opere, omissioni...no, vabbè, questo magari c'entra poco. Tanti motivi, tutti insieme e tutti separati ma le parole dei libri non mi scendevano più perché dicono tutto e non dicono nulla ed uno si blocca ad interpretarle, a dire "ma io vivo in questa maniera?" oppure "allora anche a me andrà così" e si insinua in un vortice che, alla fine, non porta da nessuna parte. Non sempre eh, per me un libro è sempre stato un libro, rappresenta la bellezza che le sue parole riescono a costruire, le emozioni che riescono a dare, solo che, come una specie di nausea, ho cominciato a pensare che, a volte, è come se ci si faccia insegnare come vivere, dai libri, anzi, peggio, dalla nostra interpretazione dei libri, di quello che dicono, di quello che noi vogliamo ci dicano, come l'interpretazione di segni, a posteriori. In questo periodo lungo mesi m'è capitato (mi capiterà ancora, lo so) anche con le frasi lette online ma lì è diverso, prendi il poetastro da twitter e smonti la sua smielosità da operetta con una frase ad effetto oppure lo lasci stare, pensi "ma che cazzata" e vai avanti; anche con i blog, no? Succede la stessa cosa, alla fine, indeciso se lasciare o non lasciare un commento, se cominciare una discussione, oppure no. Di solito decido di lasciar perdere e poi, almeno i blog, so di essermeli scelti molto bene, mai avuto problemi. Un libro è diverso invece, è più intimo, è il tuo stesso rapporto con le pagine, con le frasi, con le singole parole, con la punteggiatura, addirittura; lì non si scherza, sei tu e il libro, ed il libro vince sempre perché lui racconta soltanto, poi sta a te. Mesi di lontananza dai libri ne ho avuti, altre volte, ma mai, come in questo caso, dovuti ad una rielaborazione del senso stesso dell'approccio alle parole. Si sa, in realtà quello che siamo è figlio delle esperienze vissute e percepite e forse anche quello ha contribuito a tenermi lontano dai libri, come se fossi consapevole che non me li sarei goduti, come se fossi andato in sovraccarico e ne avrei solo smosso le pagine e non è da me leggere in questo modo. Periodi, capitano a tutti, capiteranno sempre, per fortuna, perchè la monotonia è la cosa peggiore che possa capitare ma comunque, quando i periodi arrivano, bisogna vedere che cosa portano con sè, a me hanno portato, tra le altre cose, diverse consapevolezze, una è l'amore per i libri, per la loro scoperta, per le loro parole, le storie che raccontano, i sogni e le emozioni che fanno nascere. Le altre? Beh, le altre sono consapevolezze diverse, una di queste è che, ogni tanto, mi rompo il cazzo anche io.

20 giugno 2013

Ci sono giornate...

...in cui basta poco per sentirsi addosso più anni di quelli anagrafici, basta la sveglia, basta una faccia, basta un "appunto".