30 dicembre 2015

Regionale veloce

F. arriva in stazione che il treno è già al binario, lo sapeva che non doveva attardarsi così tanto ma quel abbraccio che profuma di infanzia non poteva scioglierlo come niente fosse, solo che ora è lì che corre, la sciarpa che lascia scoperti solo gli occhi, il cappotto che la rende ancora più goffa del normale e il borsone che pesa sulla spalla; quel paio di pantaloni in più poteva lasciarli a casa ma almeno l'ultimo dell'anno bisogna cedere alla vanità. Lancia un "aspetti!" soffocato dalla lana, al controllore che è pronto a fischiare, mentre oblitera in maniera un po' sbilenca il biglietto, spera solo che sul treno non le facciano storie, a volte sono così pignoli. Entra nello scompartimento con un po' di fiatone, c'è il tepore asciutto dei tipici riscaldamenti dei treni, quello che secca il palato ma per fortuna c'è. Si allarga la sciarpa perché le manca un po' il fiato, lo scompartimento è vuoto, pensa che è un po' strano ma alla fine meglio così, nessuno che cerca di attaccare bottone. Si accomoda giusto quando il treno comincia a muoversi, si rassetta un po', la corsa si è fatta sentire, è un po' fuori allenamento e rimpiange l'aver interrotto la palestra, un po' per pigrizia, un po' per mancanza di testa e tempo. E' un po' persa nei suoi pensieri F. quando sente fischiettare, tanto che, sulle prime, pensa sia dentro la sua testa, poi si accorge che non è sola nel vagone, c'è qualcuno tre file più avanti, vede una nuca che spunta dalla spalliera del sedile vicino al finestrino. F. vorrebbe prendere il libro che ha in borsa ma la sua curiosità è forte, cerca di capire che canzone sta fischiettando il passeggero misterioso seduto più avanti; le sembra di riconoscerla ma quando pensa di averla individuata c'è qualche variante di tono che le fa cambiare idea. Il treno ha ormai lasciato la città e sferraglia ondeggiando nella campagna buia; F. guarda fuori ma non vede niente, nemmeno la luna, "strano", pensa, "non c'erano nuvole quando sono partita" ma poi si concentra nuovamente sulla canzone, è un suono triste, una specie di nenia ma, forse per incapacità nel modulare, forse per ragioni di gusto personale, ha come una incrinatura nella melodia, come se scendesse di una ottava in maniera ciclica, come un improvviso refolo freddo dietro il collo. Non sa perché pensa questa cosa ma è come se lo sentisse davvero e così controlla se il finestrino è chiuso bene; fuori è sempre tutto buio, eppure ci sarebbe dovuto essere quel paesino di poche anime, ma magari è più avanti o forse è passato e pensava alla musica. F. si sente inquieta, il tizio continua a fischiettare, non fa altro; lo ha identificato come un uomo sulla quarantina ma in realtà non ne sa nulla. Ci si sta fissando F., ride, "sempre così" pensa, "sono troppo curiosa"; decide di fare altro, prende il cellulare, vuole chiamare lui, la ragione del viaggio, ci pensa e sorride, le succede sempre, dall'inizio di tutto, e finchè si sorride la partita è vinta e persa insieme. Nessun segnale, sotto le feste le compagnie telefoniche sono peggio del solito; appena passa il controllore deve chiedere se sono in orario, non vuole che lui aspetti da solo, in stazione, così tardi. Strano che non sia già passato, solitamente non fa nemmeno in tempo a sedersi che arriva a chiedere "biglietti", avrà poca voglia di lavorare pure lui, in fondo è la sera del 30 dicembre, vorrà essere a casa invece che su questo "regionale veloce" che poi non sembra nemmeno veloce; sarà il buio ma se non fosse per il dondolio sembrerebbe fermo nel nulla. Ad F. gira un po' la testa, forse avrebbe dovuto mangiare qualcosa prima di partire, e poi quel caldo opprimente da riscaldamento bloccato, sembra aumentare, mette sonnolenza; e quella nenia che non accenna a smettere, F. si chiede come faccia, quel tizio, a fischiettare senza riprendere fiato. Il cellulare è ancora morto; si allarga il collo della maglia per prendere un po' di fresco, se lo leverebbe se non fosse sconveniente; si alza per cerca di aprire il finestrino ma è bloccato, la testa gira un po' di più, le gambe le cedono e ricade seduta, non capisce che succede, sente il panico salire, "calma F, stai calma", si ripete dentro, fa anche una risata dandosi della stupida ma si sente stanca, la testa gira sempre più forte; chiude gli occhi un attimo e sente le palpebre pesanti, cerca di riaprirli ma ci riesce solo in parte, nella nebbia che le è calata davanti ha solo il tempo di vedere il tizio che fischietta alzarsi e girarsi verso di lei sorridendo; poi il buio.

29 dicembre 2015

Segni

La piscina è praticamente deserta, un paio di ragazzi stanno tirando le ultime bracciate prima di andare via; M. T. ama venire di venerdì sera, dopo le dieci, rimane sola e ha tutta la piscina a disposizione; il centro sportivo rimane aperto 24 ore su 24 ma la gente, poca, che si avventura di venerdì sera, solitamente preferisce la sala attrezzi al piano di sopra perché lì c'è la musica, gli istruttori, qualcuno a cui mostrarsi. In piscina invece si è più nascosti, impegnati nel mettere un braccio dopo l'altro e a spingere via i pensieri, o almeno è il motivo per cui M. T. ci va; non le piace la folla, il doversi ricavare il proprio spazio, già lo fa tutti i giorni, nella vita, no, almeno in piscina non vuole ingombri, andando a quell'ora è sempre praticamente sicura di essere solo lei e l'acqua; in dicembre poi pochi hanno la forza d'animo di lasciare il calore delle proprie case per mettersi in costume e andare a muovere i muscoli atrofizzati. I due ultimi nuotatori la salutano mentre vanno verso gli spogliatoi, è sola, la piscina è illuminata più delle pareti che la contengono, questo contrasto, combinato con la temperatura dell'acqua, mostra una lieve evaporazione in superficie, come una leggera foschia. M. T. lascia scivolare l'accappatoio su una delle sedie e accoglie il familiare brivido che produce la temperatura dell'aria sulla pelle nuda, sorride un po', come sempre, anche se questa volta ha come l'impressione che quel brivido duri di più, che sia più profondo. Si volta d'istinto verso le gradinate buie, quelle che nei giorni di gara accolgono i parenti e gli amici dei nuotatori; sono vuote come si aspettava e si dice che quel prolugamento dei brividi sarà stato provocato da qualche spiffero, qualche porta lasciata socchiusa. Prima di tuffarsi dà un'occhiata al display del cellulare, sospira lieve, nessun messaggio, come pensava; si avvicina al bordo della piscina sentendo un po' più freddo di quanto si aspettasse e si affretta ad entrare in acqua con un tuffo preciso. L'impatto con l'acqua riscaldata le spande un lieve torpore, rimane ferma un attimo ad acclimatarsi a pancia in sù, gli occhi chiusi, la testa immersa quasi del tutto. Sott'acqua tutto è ovattato e anche quel poco di musica che, lieve, arriva dal piano superiore lì diventa una impercettibile linea di basso. Si sente completamente rilassata, quasi potesse addormentarsi da un momento all'altro e forse per un attimo succede perché si ridesta di soprassalto come se avesse sentito un rumore; apre gli occhi e tira su la testa ma non si sente nulla, se non quel po' di musica che fende il silenzio. Scuote un attimo la testa e decide che è il momento di allungarsi e scacciare, a suon di sforzi, i pensieri che da giorni, settimane, le occupano il tempo. Ci mette un po' a spezzare il fiato, le prime due vasche procedono lente, quasi affaticate, poi sente di aver preso il ritmo solito, la giusta sincronia di braccia e respiro e procede leggera nell'acqua. I pensieri sono praticamente spariti, anche il rumore, anche il brivido; procede meccanica quando sente uno strattone alla caviglia, perde il momento della respirazione e finisce con la testa sotto, è una frazione di secondo ed è già ferma che tossisce un po', il respiro affannato dalla bracciata mancata e anche da una punta di inquietudine. Si guarda intorno, la sala è vuota, in piscina c'è solo lei, guarda anche sott'acqua, si sente un po' stupida a farlo soprattutto perché anche lì non c'è nulla. Immagina sia stato un crampo, probabilmente, pensa, ho tirato troppo; allunga un po' la gamba e sente che è tutto a posto; riprende a nuotare con meno spinta ma con una specie di muta oppressione. Chiude gli occhi un attimo e tira un respiro più profondo come quando, da bambini, si ha un incubo e si cerca di tornare alla realtà. Il ritmo riprende ad essere costante e preciso, M. T. ha virato l'ennesima vasca quando si sente tirare nuovamente, questa volta è sicura, non è un crampo, qualcosa la sta tirando giù e non sa cosa, sente una stretta forte al piede destro, uno strattone deciso; cerca di urlare sperando di essere sentita ma è già con la testa sotto, la bocca le si riempie di acqua. La stretta è come se si allentasse e per la spinta dell'acqua ritorna sù; appena è fuori con la testa tira un respiro profondo e fa per accennare una richiesta d'aiuto che si spegne immediatamente perché la stretta ricomincia a tirare e lei è ormai sotto. Il panico ha preso il controllo ed un uno spasmo butta fuori quel poco di aria che era riuscita a rubare; l'automatismo della respirazione è più forte di lei ed in un attimo ingloba acqua cercando ossigeno, i polmoni si chiudono, la stretta non molla nonostante lei si divincoli con forza. Con l'ultimo barlume di lucidità M. T. guarda in giù ma vede solo il fondo della piscina e l'acqua che si muove vorticosa intorno alle sue gambe. Porta le mani alla gola, sente che ormai non può più fare nulla, vorrebbe scegliere almeno il suo ultimo pensiero ma la paura le urla dentro e non riesce a formulare nemmeno quello. Ormai la superficie dell'acqua non ribolle più, si è calmata; l'unico movimento è quello del corpo di M. T. che risale spinto dall'acqua come se niente più lo tenesse sotto. Il giorno dopo i giornali le dedicheranno un trafiletto in cronaca tra una rapina ed una manifestazione: "La notte tra il 18 e il 19 dicembre M. T. di anni 42 è stata trovata morta nel centro sportivo di B. alle porte di Milano; gli inquirenti pensano sia dovuto ad un malore". Il medico legale accerterà la morte per annegamento e ne troverà la causa in una contrattura muscolare; spiegherà ai familiari che, con tutta probabilità, M. T. aveva avuto la contrattura nuotando e, presa dal panico, aveva respirato l'acqua della piscina, annegando. Quello che continuerà a non spiegarsi, per anni, sarà quel segno rosso intorno alla caviglia destra.