23 ottobre 2015

Quasi un naufragio

Alle volte le parole se ne vanno alla deriva, sparpagliate, non seguono nemmeno le correnti perché in quel caso sarebbe facile, studi le mappe, i venti, le stagioni e le vai a ripescare come le paperelle di un esperimento di un po' di anni fa. Le parole no, non sono paperelle galleggianti, no, sono delle strambe primedonne che hanno voglia della loro platea e se ne vanno a gruppi disconnessi, magari i soggetti con le congiunzioni, i verbi con i complementi e ancora, i gerundi con passati prossimi e gli indicativi a parte, condizionali a fondo, congiuntivi ai bordi di qualche occhio da far lacrimare. Sulle prime brucia, impazzisci per questa deriva da incontinenti, da parole che marcano il territori altrove, altrove da te, altrove con te; poi ti stanchi e le lasci andare, un briciolo di consapevolezza sul "tanto torneranno" che rasenta la follia e l'illusione. Ti inventi personaggi dentro la testa ma anche loro, effimere visioni, come fantasmi sembrano sparire all'alba; magari ti infili in gorghi malsani, per creare una storia che regga al futuro; diventi altro da te e metti fieno in cascina che speri verrà buono per il prossimo inferno. Passi il tempo rimandando a domani, sia sul foglio bianco che nella vita, poi domani arriva e diventa quello dopo, passano i giorni con le parole che si formano, magari altrove, che vanno a far sognare altre teste, che vanno a far ridere altre bocche e tu sei lì e qui, in questo spazio che quasi ti sembra polveroso; batti le mani ed un pulviscolo di punteggiatura riluce dentro fasci di storie vecchie, quelli che filtrano dalle finestre dell'anima. Le parole in fondo sono lettere, ti dici, che come tasselli di un puzzle formano figure, solo che hanno forme ambigue e cangianti, mutevoli e adattanti e tu non sembra le sappia più adattare. Confidi nella rabbia che altre volte ti ha fatto creare dei mostri di carta ma nemmeno quella, per ora, sembra abbastanza, soffocata da delusioni effimere e virtuali; come le persone. Le parole sono anche quello, sono le persone che abitano la tua testa, i mille personaggi che non sei stato, quelli che avresti voluto, quelli che hai temuto di diventare; rimangono lì, anche loro stanchi, stanchi di far teatro su un palco di periferia; sognando i teatri importanti, gli applausi veri, le lacrime a fiumi, le risate scroscianti e quei personaggi che ami, anche quelli che ancora non hai conosciuto, che non hai ancora creato; quei personaggi rimangono lì, a guardare le parole che, quasi disgregandosi, diventano lettere e fonemi e suoni per poi spandersi nel cielo come scintille di fuochi d'artificio. Allora ti siedi un attimo, respiri, come se te ne fossi scordato e guardi, e vedi che le parole sono lì, frutti in attesa di essere raccolti; e allora ti togli di dosso un po' della tua stessa polvere e vai a mietere i chicchi di lettere.