La strada scende veloce dalla collina, ripida e storta come la schiena di un mulo anziano; è fatta per lo più di brecciolino di seconda mano, di terra battuta dalla costanza delle ruote, di sassi di altri pianeti arrivati di nascosto, o almeno così pensavo, allora, mentre a perdifiato, in bilico sulle due ruote della mia scalcinata bicicletta mettevo a dura prova le leggi della fisica che allora nemmeno conoscevo. Forse era per quello che riuscivo a curvare dove, invece, anche la più stupida delle forze centrifughe avrebbe dovuto farmi sbattere contro il muretto a secco che la seguiva lungo tutto il suo serpeggiare, fino al paese. Avrebbe dovuto farmi incontrare quelle pietre messe ad incastro preciso senza nemmeno uno sputo di collante, un'ombra di cemento, e da lì, in volo radente, andare ad abbracciare uno dei tanti alberi di ulivo che riempivano i terreni a destra e sinistra di quella strada. Certo, avrei potuto anche andare più piano, non ci fossero stati tre cani, randagi ed incazzati, che avevano deciso che io, la bici e soprattutto i miei polpacci, eravamo adatti ai loro denti. Non che non sapessi dei cani quando mi ero avventurato, in salita, su per la collina ma forse erano stanchi, forse troppo occupati con la loro noia, mi avevano lasciato passare e quindi, in fase di discesa, mai avrei pensato che, giunto alla prima curva, me li sarei visti arrivare, abbaianti e ringhianti, zappando la terra con le zampe nella foga di avere tutta la velocità del mondo per raggiungermi. Sia lodata la discesa e la forza di gravità, che allora, come detto, non conoscevo, perché, per quanto folle mi consentirono di arrivare indenne, nonostante le curve, ai piedi della collina, dove c'è la fontana.
13 maggio 2015
Iscriviti a:
Post (Atom)