Un pettine d’avorio
Di mio nonno ricordo la schiena, quando, seduto sulla sua sedia di paglia, al tavolo da lavoro, aggiustava tutto quello che si rompeva in casa. Si era ricavato un laboratorio nel garage e ci si rintanava lì ogni volta che poteva; mi permetteva di stare con lui a patto che non lo disturbassi ed allora mi mettevo lì, leggevo i miei fumetti e lo osservavo; non diceva una parola, concentrato nell’aggiustare quello che aveva sotto le mani; una volta gli chiesi “Nonno, tu sai aggiustare tutto?”, si fermò e si girò a guardarmi, mi disse “Non tutto si può aggiustare” e senza aggiungere altro tornò a quello che stava facendo. Non era di molte parole, il nonno, non aveva amici e non usciva mai, da quando era morta la nonna non andava nemmeno più a messa; non che prima ci andasse volentieri, diceva che, se c’era uno Dio, era in debito con lui e gli doveva delle spiegazioni; però la nonna lo costringeva e lui non sapeva dire di no alla nonna. Se non stava nel suo laboratorio si metteva a guardare fuori dalla finestra e stava fermo così per ore; mio padre diceva che il nonno non era più lo stesso da quando era tornato dalla guerra ma mi aveva proibito di fargli domande in merito. In casa non si parlava mai della guerra, solo una volta la nonna mi raccontò che il nonno, tanto tempo prima, aveva nascosto lei e mio padre in un rifugio in montagna e una notte, uscendo a cercare qualcosa da mangiare, era stato preso dai soldati e mandato in un posto brutto chiamato Buchenwald, da cui era riuscito a tornare solo dopo anni. Mio nonno, in realtà, non aveva molta voglia di parlare di qualsiasi cosa ma se gli facevo una domanda mi rispondeva sempre e non si arrabbiava mai. Una volta, mentre guardava fuori dalla finestra, gli chiesi cosa facesse e mi rispose “Aspetto”, “Cosa aspetti nonno?”, “Il passato”, e quando gli dissi che, se era passato, allora non poteva tornare, mi guardò negli occhi, mi sorrise lieve e mi disse “Un sasso lanciato in uno stagno continua a produrre onde concentriche anche quando il sasso ha ormai toccato il fondo; così sono le azioni che facciamo, producono effetti anche tanto tempo dopo che sono state compiute” e riprese a guardare fuori. Sul momento non capii molto bene quello che voleva dirmi, lo imparai, mio malgrado, tempo dopo. Un giorno eravamo in casa solo io e lui e bussarono alla porta, andai ad aprire ed una signora di mezza età chiese del nonno, si chiamava Maria e disse di essere la figlia di un suo vecchio amico. Chiamai il nonno che si avvicinò e chiese spiegazioni; la signora spiegò di essere la figlia di Arturo Bianchini, a quel nome mio nonno sembrò quasi essere colpito da uno schiaffo, sbarrò gli occhi e dovette mantenersi allo stipite della porta; al mio gesto di aiutarlo mi disse di andare in camera e fece accomodare la signora Maria in salotto. Mi nascosi in corridoio, non avevo mai visto mio nonno così ed ero preoccupato, curioso e preoccupato. Sentii Maria parlare di quel posto brutto, Buchenwald, di come, dopo anni, erano riusciti a farsi restituire alcuni oggetti che erano appartenuti al padre, tra questi anche un diario in cui si parlava anche del nonno, della loro amicizia ed allora aveva deciso di incontrarlo per dargli uno di quegli oggetti perché, pensava, era giusto lo avesse mio nonno. Appiattendomi sul pavimento guardai nella stanza e vidi Maria porgere un oggetto al nonno, era un pettine di avorio; il nonno lo prese come se fosse la cosa più fragile del mondo e ricordo che cominciò a piangere. Senza dire una parola la signora Maria si alzò ed uscì dalla stanza, mi passò davanti ma non mi vide, piangeva anche lei; la sentii chiudersi la porta d’ingresso alle spalle e mi ritrovai nel silenzio; il nonno era ancora seduto, guardava il pettine che aveva in mano e piangeva senza emettere un gemito, senza fare un sussulto, composto; volevo andare da lui ma temetti che si sarebbe arrabbiato e così, cercando di non fare rumore me ne andai nella mia stanza. Il giorno dopo mio padre lo trovò nel garage, la sedia di paglia rovesciata per terra; aveva legato una corda ad una trave del soffitto. Il passato che aspettava era arrivato.
18 commenti:
Non c'è la posso fare!
Come scrivi mi piace, ma come formatti e impagini mi fa uscire pazza quando scrivi post lunghi.
Perdona fino arriva fino alla quarta riga e poi ho ceduto...
E' davvero bello.
:)
semplicemente bello
Il passato ritorna sempre, prima o poi, a bussarti alla porta... niente di più vero, ahimè... mi lascio travolgere dalle emozioni che trasmetti e penso al mio, di passato... che si ritorce contro e pensa di essere il futuro, rovinando ogni felicità del presente.
Scusa lo sfogo... :)
Ecco... inizio a preoccuparmi.
Questo è il terzo post, gli altri due non te li ho commentati vabbé il primo sì anche se non qui, dove intuisco il finale.
E non me li avevi di certo fatti leggere prima.
Inizio a preoccuparmi.
Complimenti omonimo, è un racconto che ti tira il fiato e ti fa pensare profondamente. Grave il fatto che ancora oggi le guerre esistano e fra queste tante che non fanno notizia, e se ne parli spesso con troppa nonchalance, non certo con quel rispetto per chi ne è stato colpito con cui, con garbo, ne hai parlato tu. Grazie!
Bello. Non si può aggiungere altro.
per adesso hai voglia di scrivere. si vede, nitidamente.
Si, è il garbo che ti contraddistingue. E lo stile esercitato che ti permette di chiudere i cerchi (non necessariamente concentrici)coi riferimenti seminati lungo il racconto. Un passato che ritorna in fondo, a rovesciarsi come una sedia di paglia. Non tutto si può aggiustare del resto, come giustamente sottolineato. ;)
WOW , WOW e ancora WOW .
Potrei aggiungere altri commenti positivi, com ad esempio WOW, ma penso che WOW sia sufficiente.
A parte i giusti complimenti e gli scherzi; gli ultimi ricordi che ho di mio nonno mi riportano all'autunno, con lui seduto alla finestra, costantemente a guarare fuori.
Era malato, si era opposto all'operazione chirurgica e il suo destino era scritto.
Lui non aspettava il passato, forse controllava se magari fosse in arrivo il futuro.
WOW te l'ho già detto. Allora ti saluto? Si, va beh, ti saluto.
Un abbraccio.
Aw. Solo aw.
Hai descritto delle scene e dei messaggi molto belli in questo racconto, complimenti!
@ diversamenteintelligente: Beh, ognuno è libero di leggere o di non leggere, personalmente la trovo una cosa esagerata ma, tant'è.
Anche perché a me piace la formattazione giustificata, il caos, se voglio, ce lo metto DENTRO i racconti.
@ Cristina: Grazie :)
@ amanda: Thanks *.*
@ quellodella-Lola: Beh, il tempo è ciclico (a volte anche cilicio) quindi passato, presente e futuro si combinano nel calderone. Sfogati quando e quanto vuoi ;)
@ Rabb-it: Con tutte le cose per cui ci si deve preoccupare, questo è il minimo, no? :D
@ nico: Le guerre esistono e non fanno notizia, hai perfettamente ragione. Chissà se arriveremo a capire quanto sono stupide...ma visto che non riusciamo a capire quanto siamo stupidi noi piccoli umani nelle cose quotidiane la vedo difficile.
@ Mareva: Grazie :))
@ Francesco: Anche perché non posso menare chi voglio, quindi meglio scrivere :D
@ franco battaglia: E' come con le parentesi Franco, non riesco a lasciarne aperta nessuna.
@ Granduca di Moletania: Futuro, passato...ed il presente?
(Certo che però WOW me lo potevi dire, almeno!) ;)
@ Zion: :) solo :)
@ Giuseppe Radente: Grazie :)
eh bravo...
@ Ernest: Grazie :))
Il passato torna, tutte le sera quando spegni le luci, di giorno quando scuoti la testa per ricacciare i pensieri dentro, in fondo, cercando di farceli stare il più allungo possibile per sopravvivere nel frattempo.
Bravo come sempre caro amico.
@ MasterMax: Amico mio, ogni tanto riappari anche tu, come il passato, dalle pieghe del tempo ma, a differenza di alcune cose del passato, il tuo ritornare è sempre un piacere.
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