Stamattina volevo postare la poesia di Walt Whitman che viene letta nel nuovo spot dell'iPad (e che è ripresa da "L'attimo fuggente), l'ho anche trovata; i suoi versi mi piacciono, mi piace il riferimento alla vita come al "potente spettacolo", al fatto che ci si possa contribuire con un semplice verso che è un po' il senso dello scrivere, secondo me: entrare nella vita, contribuirci. Non sempre è solo questo, magari per qualcuno è anche una specie di "ruota del pavone", il modo per mostrare il proprio incommensurabile ego, il sentirsi soddisfatto di sapere le proprie parole lette, apprezzate, metabolizzate, da altri occhi, da altre persone. Per altri è una cura, la necessità di espellere, attraverso le parole, un dolore, quella tossina che le avvelena dentro; funziona? Non lo so, a volte è catartico, ti fa sentire meglio, magari non dura ma è un momento di quiete durante una vita in balia delle onde. Volevo postare quella poesia, stamattina, poi m'è passata la voglia, non per un motivo in particolare ma perchè va così; a voi non capita? Non vi succede di avere un repentino cambio di volontà? A me succede, forse da sempre, forse da qualche anno, come se la spinta a fare fosse soffocata dall'apatia, dal "tanto a che serve?"; non che duri eh, ma avviene, accade, succede, è come la sensazione che si prova, a volte, uscendo da una stanza, spegnendo la luce e chiudendo la porta alle proprie spalle, c'è, addirittura, chi ci riesce con le vite degli altri, a chiudersele alle spalle. C'è chi ci riesce, io no.
31 marzo 2014
26 marzo 2014
C'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo
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19 marzo 2014
Dopo la pioggia
Il corpo di Beatrice pesa poco più di quaranta chili, al netto del sangue e dell'anima; il sole è tramontato da un po' portandosi via l'arcobaleno dopo la pioggia, è rimasta solo un po' di foschia a sfumare i lampioni. Mario non ha fatto fatica a sistemare i pezzi, ben sigillati nelle buste di plastica, nella valigia che ha con se, ha ripulito tutta la vasca, ha messo la tuta bianca da lavoro, con le sovrascarpe, in un'altra busta e l'ha infilata tra il tronco e la gamba destra di Beatrice, nella valigia. Ha pulito anche il bisturi, la lama lunga e la sega per ossa che, adesso, ripone nella valigetta di metallo. Non c'è nessuno in giro, il clima umido e freddo tengono in casa anche i più audaci; al massimo vedrebbero un signore barbuto, con la pancia, che fa scorrere una grossa valigia sulle ruote; Mario sa passare inosservato e, a volte, per passare inosservato devi saltare all'occhio. Mentre esce da casa di Beatrice, guarda il pavimento con le sue impronte, non gli importa, calza stivali di due misure più grandi ed anche a guardarlo sembra più altro, potere dei rialzi interni e di un cappello, a volte basta poco. Ha parcheggiato la sua auto in una strada laterale, sotto un lampione che ha provveduto, anticipatamente, a spegnere; sia la valigia con il corpo di Beatrice che quella più piccola con i suoi ferri del mestiere, vanno perfettamente nel vano che ha ricavato sotto il divano dei sedili posteriori. Parte in silenzio, uno dei pregi delle auto ibride, e si avvia fuori città, la strada è poco trafficata e via via che si allontana dal centro abitato le auto diventano sempre meno; il vano sotto i sedili non è facilmente individuabile ma tiene sotto controllo, sul cellulare, un navigatore sociale che, in tempo reale, lo avvisa della eventualità di traffico o di posti di blocco; il bello di internet è la voglia che dà, praticamente a tutti, di raccontare qualsiasi cosa. La statale ormai ha fatto posto ad una strada provinciale e, successivamente, ad una piccola strada di campagna che uno nemmeno si aspetta a così poca distanza dalla metropoli; Mario arriva a destinazione, un casolare isolato di una azienda agricola, apre il cancello con un telecomando e si avvia verso la zona delle stalle. E', il posto, uno dei tanti beni di proprietà del capo, una delle coperture; sulla carta è un'azienda agricola in cui si producono salumi ma Mario non ne avrebbe mai assaggiato uno, sapeva bene cosa mangiavano i maiali. I maiali mangiano tutto, frantumano le ossa, Mario li guarda impassibile mangiare con foga i pezzi del corpo di Beatrice, guarda impassibile ma è solo apparenza, la smorfia sul volto fa trapelare come quell'incombenza non fosse assolutamente tra le cose che desiderava fare. Quando ormai non è avanzato praticamente nulla passa alla seconda fase e prende il sacco che ha ai piedi, dentro ci ha messo tutte le buste in cui c'erano i pezzi di Beatrice, la sua tuta, gli stivali, la barba finta che aveva indossato, e si avvia alla fornace per gli scarti, brucia ad una temperatura talmente alta da rendere cenere tutto quello che avanza. Apre la fornace dopo aver messo i guanti di sicurezza e la maschera e lancia la sacca nella fiamma, si leva la maschera e sul viso ha un ghigno, “Guido”, pensa, e chiude la fornace.
15 marzo 2014
Intermezzo
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11 marzo 2014
In ambasce
C'era stranamente silenzio dove, solitamente, è tutto un po' troppo concitato; come se anche il suono gli desse tempo e modo di interpretare parole scritte.
Quando rompi il salvadanaio sai esattamente quello che ci troverai dentro?
Sarà sempre troppo poco oppure sarà abbastanza?
Cominciò a pensare che, forse, il salvadanaio poteva tenerlo ancora un po', accumulare ancora qualcosa. Il silenzio era quasi fastidioso, un telefono squillava, non era il suo.
Alcune di queste monete sono preziose?
Più di quanto il conio racconti?
Leggeva in braille il mucchietto di parole scritte, monete di scambio di un poco rasente al nulla.
Come ti dici sempre tu, "Meglio poco, di una cosa, che il nulla", no?
Una voce, fuori, chiama qualcuno per un saluto.
Ecco, un semplice saluto non è già qualcosa?
Rimise gli spiccioli in un salvadanaio nuovo, le parole nella sua testa a fare qualsiasi cosa; bene o male erano parole, magari asciutte ma, si sa, l'umidità fa venire i reumatismi.
Speriamo ancora un altro po', dai.
Si disse.
08 marzo 2014
Le donne
Oggi è l'8 marzo, la "festa della donna"...certo, in realtà dovrebbe, più che altro, essere una commemorazione di una strage ma, si sa, a volte tutto fa brodo. Ci sono donne che gli auguri, oggi, li vogliono, ci sono quelle che "assolutamente no" (intendo gli auguri, non altro), ci sono anche quelle "la donna si festeggia tutti i giorni". Io, di donne, in questo blog ne ho parlato spesso, ho scritto di donne, creato donne o solo raccontato donne; non sono per la diversità di genere, sono per l'uguaglianza sostanziale, il riconoscimento di pregi e difetti che ci sono in uomini e donne e poi, soprattutto, guardo alla persona, esistono uomini perbene come esistono delle immonde merde, esistono donne meravigliose e stronze immani, non dovreste fermarvi ad una categorizzazione, dovreste guardarle, le persone, conoscerle. Detto questo, ieri pensavo ad oggi (io guardo sempre al futuro) e mi sono ricordato un post di tanto tanto tempo fa, del 24 giugno del 2008, che scrissi in collaborazione con il mitico Digitoergosum (i lettori più anziani si ricorderanno sicuramente di lui), sono andato a rileggermelo e mi sono accorto di quanto sentissi ancora mie sia le parole che scrisse lui, sia quelle che scrissi io, in alcuni passaggi erano una specie di predizione; per questo motivo oggi, per festeggiare la donna, le ripropongo, magari chi le ha già lette avrà piacere di rileggerle e chi se le è perse le leggerà ora. Non me ne vogliano i lettori maschi se do un abbraccio forte alle mie lettrici e non me ne vogliano loro se, nella mia testa, ne scelgo una in particolare.
La parte scritta da Digito:
Certe donne sono il primo pensiero di ogni giorno, anche se poi è un giorno fottuto.
Che quando le cose vanno male le chiamiamo per nome e le amiamo per come sono. Loro, non noi.
Che, quando arriva la sera, è sempre meno male che arriva la sera.
Certe donne, ad abbracciarle, ci si sente rinati. Con quel profumo naturale che scende dal collo.
Lo stesso profumo che poi ci perseguita, quando non sono con noi e ci fa impazzire quando non sono più
con noi.
Certe donne, per motivi che a noi sfuggono sempre, accettano in modo silenzioso e spontaGneo di fare un pezzo di strada con noi. Eppoi, quando se ne vanno, per noi niente è più come prima.
Certe donne, a guardarle bene, le sposeresti al primo bacio e al primo abbraccio. Poi, quando ci fai all'amore, preghi ogni santo che non ti faccia cambiare mai.
Che quando poi l'abitudine viene c'è qualcosa che sviene ma, quando poi siete lontane, non ci fate dormire più.
La parte scritta da me:
Così mi disse l’amico mio
Ed io ribattei a mia volta:
“Le donne sono sogni
che si sognano più di una volta;
sono profumi che torneranno
alle narici, alla memoria
lasciandoci ancora storditi
come all’inizio di ogni storia.
Le donne sono grammatica,
punteggiatura del nostro romanzo,
sorriso intrigante di una cena
risata squillante dell’ora di pranzo.
Le donne sono un rifugio
dove non c’è sofferenza e paura,
fatto di abbracci e carezze gentili
dove scordiamo qualunque sventura;
spesso sono anche dolore
unghie sull’anima lacerata
parole taglienti sui nostri sogni,
fiori recisi da lama affilata.
Le donne sono il nostro destino
il tutto ed il niente dell’esistenza,
tasselli di un solo mosaico,
voci silenti della coscienza.
Le donne sono sguardi leggeri
a scardinare la resistenza rimasta,
loro tutto questo lo sanno
ed a noi, in fondo, ci basta”.
04 marzo 2014
Caffeine
Sono dodici giorni che non bevo caffè, da quando mi è stato detto di evitarlo per via del cuore poetico, fino a quando non si capirà, effettivamente, perché balla. Non mi sto disperando per la mancanza; certo, quando ne sento il profumo sfuggire dalla caffettiera e venire ad infilarsi nelle mie narici mi viene voglia di farmene una tazzina ma evito, evito magari anche solo per scrupolo, perchè, alla fine, uno strappo, una volta sola, non potrebbe farmi nulla; evito perchè, davvero, non mi pesa, spesso non è nemmeno il caffè, ma il semplice "ci prendiamo un caffè?", che significa pausa, incontro, chiacchierata, ecco, quello pesa di più: c'è una gerarchia anche tra le rinunce, è questa la verità e, per me, il caffè è la rinuncia che mi pesa meno. Mi pesa molto di più rinunciare, che so, al cioccolato, altra cosa che mi è stato detto di evitare; oppure rinunciare ai fritti, anche alla pizza, m'è stato detto ma si resiste, si eccede un attimo, perché, nella gradazione delle rinunce, c'è anche da considerare quelle che fanno meno danni se si sgarra. Mi hanno detto, per ora, di rinunciare alla palestra che, pur sicuri di ciò che fa ballare, meglio evitare fino a quando non è chiaro da dove provenga la musica; e questa è una rinuncia abbastanza pesante, questa è una rinuncia che sale molto nella gerarchia anche perchè ho un metabolismo così lento che ingrasso anche solo pensando al cibo. Sono così le rinunce, il fatto che uno non prenda il caffè, non mangi la cioccolata, non vada in palestra, non significa che non muoia dalla voglia di farlo, anzi, di solito, se sono rinunce, si muore davvero e totalmente dalla voglia di farlo. Passi davanti ai bar e ti fermi un attimo per cogliere il profumo di caffè, guardi la tavoletta di cioccolato nello stipo, tocchi le tue maglie leggere da fitness e poi lasci stare. Le rinunce sono così, sono i cilici della nostra vita, delle specie di pentimenti, di costrizioni che pensiamo servano a qualcosa; non sempre è così, a volte ci sono rinunce inutili perchè sai che stai rinunciando ma la malattia non ti passerà, starà sempre lì, ne sei consapevole. così sono le rinunce, delle specie di azzardi con l'esistenza, con se stessi. A volte, sapete, si rinuncia a dire un "ciao" pur avendolo nelle corde vocali, pur avendolo sulla punta delle dita e nemmeno sai se è un bene o un male. Forse ho solo bisogno di un caffè.
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