31 maggio 2016

Il companatico delle parole

Una birra non si dovrebbe negare a nessuno, ghiacciata, di frigo, con tanto di brina e con un po’ di fumo da escursione termica appena fai saltare il tappo a corona, e poi giù, in una prima lunga sorsata, con la bottiglia alta sul naso. Fai scendere il liquido socchiudendo un attimo gli occhi ed emettendo un bel suono soddisfatto, un sospiro di piacere, riportando la bottiglia sul tavolo, se sei seduto oppure all’altezza della pancia se sei semplicemente appoggiato al muro. Un attimo di silenzio e poi puoi parlare, sì, perché il companatico di quella birra è la compagnia, l’amico che beve con te e che ti fa da orecchio, o tu lo fai a lui. Non è detto che si discuta di questioni internazionali, a volte basta la giornata di lavoro o anche solo la tipa seduta due tavoli più in là; anche perché non è tanto quello che si dice ma solo il semplice scambiarsi le parole. Infatti, il più delle volte, è solo quello che serve, perché le parole ti stanno in testa e girano e vanno forte, a volte, e ti sbattono dentro la testa, e fanno male ed allora farle uscire è ciò che serve, ed una birra, semplicemente, le fa andare più veloci.

Una cosa che è rimasta a decantare su carta dal novembre del 2011, adesso ci vorrebbe proprio...

20 maggio 2016

Istantanea

I gelsi sui rami sono acerbi, hanno bisogno ancora di acqua e sole, il merlo però ne sceglie uno che magari profuma un po' di più e vola a raccoglierlo con il becco. Lo va a mangiare sull'albero accanto fidandosi maggiormente dei suoi solidi rami. Il sole si fa spazio tra le foglie e scalda l'aria tutta intorno; i due sulla panchina si sorridono tra le parole, anche quando i sorrisi sembrano pescati dal profondo. Si danno dei baci saltuari come fossero la normalità, la punteggiatura delle frasi. Gli occhi si scambiano domande silenziose e risposte mute, si raccontano storie di vite che si incrociano come strade di periferia, quelle dove magari ti fermi a prendere un caffè in quel bar lì, quello con l'insegna che sembra uscita dagli anni '80. Il bello di parlarsi così sta nel dirsi cose senza voce, anche quando gli sguardi sfuggono, forse ancora di più in quel guardare altrove, nei sospiri spezzati. Un cane intraprendente si avvicina alla panchina annusando in giro, calmo, come fosse la cosa più normale del mondo; degna i due di uno sguardo fugace, un soffio di naso, un paio di colpi di coda, tipo un “ciao” tra conoscenti, e poi si allontana così come si era avvicinato. I due si stanno vicini come a dire “io ci sono eh, non pensare mai il contrario”, si sottolineano la presenza ma con gesti semplici: una mano nell'altra, una carezza, un bacio lieve e morbido, quasi accennato, di quelli che finiscono con le labbra piegate all'insù e lo sguardo altrove . C'è una specie di malinconia che li abbraccia, un timore sottaciuto che accompagna le risate quasi volessero scacciarlo senza riuscirci, quasi volessero confermare un'emozione senza dirsela. Si interrompono all'unisono con un bacio un po' più lungo, braccia nelle braccia, una pausa di tempo e di vita che stentano a terminare. Si regalano un sorriso prima di alzarsi dalla panchina e muovere passi incerti sul ghiaietto, quasi riluttanti, fino ad arrivare all'ingresso del parco e dividersi, come fosse l'ultima cosa al mondo che desiderassero fare.