tag:blogger.com,1999:blog-337576272024-03-13T01:00:20.906+01:00vorrei essere un baolConsiderazioni serie e no su un po' di tutto....un po' vago ma va bene.Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.comBlogger772125tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-52267843460755752692021-09-22T18:15:00.006+02:002021-09-22T18:15:37.984+02:00Mi mancate<p>Tutti, o quasi.</p><p>Mi manco pure io da solo, a volte.</p>Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-85297065821867242782021-01-29T16:52:00.007+01:002021-01-29T16:52:39.469+01:00Caduto in prescrizione<p style="text-align: justify;">Tanti anni fa, ma proprio tanti eh, così siamo sicuri che la cosa è caduta in prescrizione; qui al mio paese fece una grossa nevicata. Ricordo che fu di sabato sera, saranno state circa le 19 quando cominciò a fioccare, ero con tre amici in piazza che cazzeggiavamo un po' e stavamo decidendo come passare la serata quando vedemmo scendere questi larghi fiocchi di neve dal cielo. Visto che dalle mie parti non capita spesso, direi anzi quasi mai, visto che il mio paese se lo schifa pure la neve negli inverni più gelidi, la cosa ci entusiasmò non poco. Decidemmo di andare a prenderci un paio di polli a girarrosto, due o tre birre, a testa naturalmente, e ci dirigemmo a casa di uno dei quattro visto che faceva abbastanza freddo. Finiti i polli ma, soprattutto, le birre, ci affacciammo alla finestra e lo spettacolo era quasi da levare il fiato, era tutto coperto da almeno trenta centimetri di neve, non girava un'auto ed era tutto ovattato. Non ci dicemmo nulla ma tutti e quattro ci mettemmo in fretta e furia cappotto, cappello, sciarpa e guanti e scendemmo in strada per una memorabile battaglia di neve. Mentre ci stavamo bombardando dai due lati di una larga via del paese per caso ci accorgemmo che una delle auto parcheggiate era aperta, ci guardammo un attimo in faccia tutti e quattro e poi, come un sol uomo, riempimmo il sedile posteriore dell'auto di neve, ma tanta eh, e poi chiudendo nuovamente l'auto scappammo via trattenendo le risate. Il giorno dopo la neve cominciò a sciogliersi velocemente e tutto tornò come prima. Non sappiamo cosa abbia potuto pensare il padrone dell'auto quando, il giorno dopo, deve aver trovato il sedile posteriore trasformato in una ghiacciaia, possiamo immaginare che abbia evocato le nostri stirpi passate. Per anni, fino a quando ci siamo frequentati, ogni tanto ricordavamo di quella nevicata e dell'auto aperta. Credo che sia per quello che io, ogni volta che chiudo l'auto, torno indietro ad accertarmi che sia chiusa per bene. </p>Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-55573472781331678112021-01-25T18:12:00.005+01:002021-01-25T18:12:42.184+01:00Sandro<p style="text-align: justify;">Sandro constata la desolazione di quel pomeriggio quasi sera, una sigaretta fra le dita, la faccia contro il freddo; il vento smuove un po' i rami di quel gruppo di sparuti alberi che arreda la piazza vuota e fa un po' di scena con le foglie cadute spostandole da destra a sinistra per poi farle tornare, con un colpo di coda, dove erano prima; praticamente la rappresentazione dell'inutilità di quel tempo perso, lì, sigaretta a parte. Sandro fa due tiri più per smuoversi dal torpore che per reale necessità di nicotina, soffia via il fumo che si confonde con le nuvole dell'alito che si condensa e lo guarda galleggiare giusto un attimo, prima che il tutto sparisca verso il cielo che si fa più scuro. al lato opposto della piazza passano un po' di auto che vanno, o tornano, non sa, i fari accesi, un clacson ogni tanto, a fare scena e poi via, verso dove non sa, e nemmeno gli importa. La sigaretta è quasi finita, l'ultimo tiro e poi la spegne in uno di quegli inutili portacenere pubblici che spesso vengono usato per tutto fuorché la cenere; dà un ultimo sguardo al cielo, ormai scuro, e pensa che un'altra inutile giornata è passata. Per fortuna.</p>Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-82314899866603223362021-01-18T18:49:00.002+01:002021-01-18T18:49:58.244+01:00Mario<p style="text-align: justify;">Mario viveva una anticipazione del problema alla volta, spesso, quando particolarmente in forma, anche due. Ormai era avvezzo alla sua stessa ansia, quasi abituato, tanto da andare in ansia nel momento in cui constatava di non essere in ansia, peggio di una profezia autoavverante. Mario non era peggiorato nell'ultimo periodo, in quello era stato lungimirante, era ansioso da prima che andasse di moda o che fosse una nevrosi di massa. Anzi, un po' lo infastidiva questo eccesso di ansia in giro, quasi che l'ansia si fosse commercializzata, non fosse più quella bella ansia indipendente di un tempo. Prima era un soggetto preoccupato in un mondo di felici, adesso no, adesso è un numero e questa cosa gli metteva tristezza, non ansia, e alla tristezza non era tanto abituato; sì, certo, aveva avuto i suoi momenti di tristezza, in passato, come tutti, ma lui aveva sempre preferito anticipare il problema, preoccuparsi che una determinata situazione avrebbe potuto renderlo triste, e quindi farsi prendere dall'ansia. Tutto sommato la cosa non lo faceva vivere male, certo, un po' di tachicardia, un po' di affanno, le apnee notturne, l'insonnia, la stanchezza. Beh, sì, in effetti viveva male ma non se ne voleva nemmeno separare, "E se non fossi più ansioso, alla fine cosa proverei?" e questa domanda lo metteva in ansia. Il non conoscere quello che poteva accadergli lo stremava, e prevedeva tutto, era un anticipatore, ve l'ho detto; ma questo non lo salvava dall'ansia perché, per quanto potesse prevedere tutto la sua testa partoriva un nuovo "e se?" che se avesse trovato il modo di incanalarli quegli "e se" magari avrebbe anche trovato di che viverci.</p>Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-73571755461107304802021-01-14T17:49:00.002+01:002021-01-14T17:49:30.665+01:00L'insonne<p style="text-align: justify;">Io devo dormire Doc, ho smesso da non so quanto, guardo il soffitto, conto i minuti. Non ho la scusa di malanni fisici da darmi, è il mio fisico ormai ad accusarmi. No, non sono le responsabilità Doc, è diverso, è la rabbia, io brucio di rabbia, mi snocciolo i passi fatti andando indietro e mi incolpo ad ogni passo del passo precedente, o del successivo, visto che torno indietro. Dammi una chimica Doc che mi piombi i piedi e le palpebre, mi deve impastare la bocca, tanto più amaro dell'amaro che mastico non credo sarà mai. Non me ne frega che spacchino il fegato Doc, io me lo rimangio tutte le notti il fegato, mi annodo l'intestino, peggio di così non faranno mai. Dammi una chimica Doc che io devo dormire, non mi interessa la forma, mi basta la sostanza, soprattutto se è psicotropa. Voglio alzarmi e metterci mezz'ora a ricordarmi come mi chiamo; meglio di ora che mi ripeto chi sono tutta la notte e ci aggiungo i cosa sono diventato e ci rimesto il cosa potevo essere. Io devo dormire Doc, devo dormire per tutti gli insonni del mondo, sto portando i pensieri di una carovana, dammi il ristoro degli ignari, dammi la debolezza degli ignavi Doc o almeno il sonno degli ingiusti perché sono gli unici che realmente dormono bene, tra due guanciali di non me ne frega niente. Devo dormire Doc perché questo non crollare ma scivolare piano mi logora l'esistenza, mi trascina i passi; dammi una droga Doc, anche poco legale, qualcosa di speciale che mi porti un blackout, un abbassamento di tensione, che fermi le rotative dentro la mia testa che ogni notte deve tirare fuori un'edizione straordinaria del mio fallimento. Anche una botta in testa Doc, assestata bene, che metta a tacere le accuse che mi muovo, non dico per sempre, troppa grazia, ma almeno una notte Doc, fammi dormire.</p>Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-21648862763399647462021-01-11T09:39:00.002+01:002021-01-11T09:40:07.340+01:00Rimango un coglione<p style="text-align: justify;">Vi racconto una storia divertente, anni fa, un bel po' di anni fa, avevo dodici o tredici anni, sono caduto con la bici nel canale di deflusso delle acque piovane del mio paesello. Sento da qui le vostre giuste risate. Come è successo? Facile, mancava totalmente la ringhiera di protezione lungo un tratto del canale, negli anni e per l'incuria si era consumata ed era crollata lungo un tratto che costeggiava un parcheggio attiguo ad una pineta dove, da ragazzino, andavo a giocare. Non c'era nemmeno un muretto, nulla, strada e subito due metri circa di dislivello. Nel mentre era stato deliberato l'ampliamento del canale e quindi, in attesa che partissero i lavori tutto quel tratto rimaneva così, libero da protezione, senza nemmeno un paio di transenne, due o tre strisce di nastro bianco e rosso, un avviso di pericolo, nulla. Questo era il "come" sia successo ma il "perché"? Facile, ero un coglione, che tradotto per esteso sarebbe: pensavo di fare il figo camminando con la bici lungo il bordo del canale, come un antesignano di un Brumotti qualsiasi, e la ruota anteriore mi è scivolata lungo il bordo e sono caduto. Fortunatamente, a parte qualche livido e graffio non mi sono fatto niente ma, a pensarci, potevo farmi molto male. Immagino che, tra le risate, stiate pensando che è scandaloso che quel tratto rimanesse così, incustodito; e se ci fosse caduto un bambino piccolo? Vero, completamente d'accordo, però ci sono caduto io che, comunque, a dodici anni il concetto di pericolo e rischio lo avevo abbastanza chiaro e vi assicuro che non sono mai stato un ragazzino avventuroso, semplicemente ero pienamente convinto di riuscirci, ed ero anche un coglione. Il comune avrebbe dovuto fare qualcosa? Certo. Il comune ha messo a rischio la gente lasciando quel tratto di canale incustodito senza protezione? Certo. Io rimango un coglione? Sì. Tutto questo racconto può adattarsi alla situazione attuale che stiamo vivendo? Secondo me sì ma lascio a voi le analisi in merito.</p>Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-84130959969852437242020-12-21T11:13:00.000+01:002020-12-21T11:13:19.620+01:00Pulizie...<p>Anna: Mamma mia, ma cos'è questo odore di chiuso?! Mario, apri un po' le finestre... Ma dov'è l'interruttore della luce qui?!</p><p><span style="color: #2b00fe;">Mario: Chiuso? Ma è proprio puzza di cadavere. Oddio, non è che Baol...</span></p><p>A.: Ma sarai scemo? Ma se ci hai parlato al telefono nemmeno dieci minuti fa?</p><p><span style="color: #2b00fe;">M.: Eh, ma che ne sai? Di 'sto periodo ora ci sei e poi immediatamente dopo cominci a far fatica a respirare.</span></p><p>A.: Sento il rumore del suo grattarsi i coglioni da qui. Magari la puzza è di qualcuno dei cadaveri che ha sparso nei suoi racconti.</p><p><span style="color: #2b00fe;">M.: Ah guarda, non scrive da talmente tanto che quelli sono belli che diventati polvere ormai, non sono sicuramente loro.</span></p><p>A.: Hai ragione anche tu. Comunque ho trovato l'interruttore.</p><p><b>*click*</b></p><p>A.: Mamma mia che abbandono, tutto coperto da almeno due dita di polvere del tempo. Va ad aprire quella finestra dai.</p><p><span style="color: #2b00fe;">M.: Vado vado, però mi chiedo perché 'sti lavori li fa sempre fare a noi due.</span></p><p>A.: Perché in fondo siamo i suoi preferiti?</p><p><span style="color: #2b00fe;">M.: Minchia che culo!</span></p><p>A.: Vabbè, da dove cominciamo? Una bella scopata?</p><p><span style="color: #2b00fe;">M.: Anna! Non pensavo che i posti così trasandati ti facevano effetto, a saperlo non mettevo a posto lo studio.</span></p><p>A.: Niente, sei scemo, mia madre aveva ragione. E comunque non mi pare che spostare un paio di fogli dalla scrivania alla mensola significhi "mettere a posto".</p><p><span style="color: #2b00fe;">M.: Sempre puntigliosa tu oh, qualcosa ho fatto.</span></p><p>A.: Sì, è un tuo classico fare giusto "qualcosa"... Va a prendere la scopa dallo sgabuzzino.</p><p><span style="color: #2b00fe;">M.: E se ci sono i ragni? Sai che ho paura dei ragni.</span></p><p>A.: Ma che ragni vuoi che ci siano?! Saranno morti di solitudine pure quelli a star qui; ecco, forse la puzza sono loro..</p><p><span style="color: #2b00fe;">M.: Vabbè, diamoci da fare, Baol ha detto che probabilmente almeno per gli auguri di Natale passava.</span></p><p>A.: Seee lallèro...</p>Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-22551306074948687172019-12-31T11:23:00.000+01:002019-12-31T11:23:43.957+01:00Fatalismi<div style="text-align: justify;">
Il lancio della moneta fa un tintinnio metallico per il tocco dell'unghia, uno solo, sale in alto fino a quando la spinta glielo consente; quando il vettore in salita equipara quello in discesa della forza di gravità la moneta ha un infinitesimale stallo in aria come fosse tutti i momenti del mondo e poi ricade, con una accelerazione non percepibile ad occhio nudo data la breve distanza. Presa al volo viene messa a mano chiusa sul dorso dell'altra mano e in quel momento è schrodingerianamente sia testa che croce, tutto e la negazione di tutto, il suo contrario; fino a quando, scoperta, rivela la risposta al cui destino il lancio era affidato, salomonica, senza meriti né colpe. Colui che lancia, per un attimo, ipnotizzato dal precedente volo a parabola della moneta, quasi non ricorda la domanda affidata al lancio giusto pochi istanti prima ed è tentato di lasciare tutto così com'è e rimettere la moneta in tasca, poi ricorda e, curioso come gli aruspici con le viscere, controlla l'esito del fato sulla sua scelta, abbozza un sorriso sghembo, rimette la moneta in tasca ed esce.</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-45355234426614815072019-06-09T18:52:00.001+02:002019-06-10T09:06:41.383+02:00Di botto<div style="text-align: justify;">
E così, di botto, ti rendi conto che anche quelli lì, quelli che hanno sempre capito tutto, che l'ultimo film visto era un documentario uzbeko sul genocidio armeno, fatto da un regista polacco, in lingua swaili però con sottotitoli in cinese; quelli che quando gli hai chiesto "ma come capivi i dialoghi?" ti rispondevano "ma che ne sai tu della potenza visiva delle immagini?!". Quelli che "la situazione sociopolitica, per quanto instabile, in realtà non si discosta di molto dal periodo tardo settecentesco che, a mio dire, fu fucina di talenti", che tu gli risponderesti "sì ma si moriva per un raffreddore"; ecco, quelli, quelli che ci tengono a farti capire che loro hanno studiato, che loro leggono molto, che "la libertà di espressione è sacra" e tu glielo spiegheresti pure il paradosso di Popper ma tanto alla fine loro, in pratica, con Popper ci cenavano una sera sì ed una no e si ricordano ancora di quella cena da Gigetto il bovaro che ma che te lo racconto a fare. Quelle persone che "ma la bellezza della sinuosità del torcersi dello stile dell'incarnato di quella icona degli anni settanta dello scorso secolo" che tu a malapena ti ricordi, degli anni '70, tipo la Pimpa. Ecco, sì, quelli a cui vorresti dirlo anche tu che, a tuo parere, da magari ignorante, che, insomma, quella bellezza lì, in realtà, faceva cacare anche negli anni' 70 e che dai e dai a farvela passare per "iconica bellezza" vi siete bevuti e accettato di tutto ed adesso sfracassate il cazzo magari alzando un supponente sopracciglio. Ecco, quelli, quelli che sanno sempre cosa bere e quando, che tu se hai sete ti berresti pure una Peroni scaduta e loro sanno dirti in che botti è invecchiato il vino, in che regione sono state raccolte le bacche da cui hanno fatto quel gin, quante cazzo di spremiture ha avuto la canna da zucchero per poterne fare rum. Quelli, dai, avete capito, quelli con la camicia inamidata ed i calzini in tinta con gli occhi della cameriera del locale dove andranno a cena la sera, quelli che si amano, che scopano davanti allo specchio per guardarsi mentre lo fanno, che ci sia o meno l'altra persona. Quelli che fa intellettuale essere sempre un metro più in là, quelli che se tutti amano X "eh ma X ha fatto, venti e passa anni fa, quella roba lì" che tu ti stai a chiedere come stracazzo è che tu non ti ricordi nemmeno se stamattina hai cacato o meno e loro si stanno a ricordare la mezza caduta di stile di una vita integra. Quelli che la politica la guardano con un che di altezzoso distacco, giusto per arrivare, nel momento opportuno, a dire che "certo, ma quegli altri dove erano quando si facevano gli accordi di Bretton Woods?", che tu stai ancora cercando di uscire vivo dal sistema bimetallistico zoppo e loro hanno la teoria economica definitiva per la salvezza pure dell'anima. Quelli lì che sono di una corrente di pensiero che è giusto un decimo, dell'ottavo, del milionesimo, della metà di un terzo del pensiero maggioritario e che loro hanno ragione e tutto il resto se lo può andare a prendere dritto nel recesso più angusto delle terga. Ecco, quelli lì, che hanno anche un bel po' rotto i coglioni, quando ti accorgi che, a simpatia, danno ragione pure alla merda, come l'ultimo dei lobotomizzati televisivi, ecco, cominciano a starti simpatici. Per 5 minuti.</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com15tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-73000904456999767362019-06-05T11:52:00.002+02:002019-06-05T12:46:07.219+02:00Il primo del 2019<div style="text-align: justify;">
Stanotte, in una fase di insonnia, mi sono reso conto che non avevo scritto nulla di nulla, su questo blog, nel 2019; ero anche partito con delle buonissime intenzioni, con pezzi di racconti sparsi su taccuini che porto imboscati in diverse borse. Volevo ritornare a scrivere, ero convinto che lo avrei fatto e poi... poi una specie di buco nero, non riesco a capire come mi siano sfuggiti i giorni tra le mani, come si siano sommati fino a diventare mesi, fino ad arrivare al sesto mese dell'anno, in pratica non mi sono ancora reso conto che il 2019 è iniziato e siamo già praticamente a metà. Oddio, certo so cosa è avvenuto in questi mesi ma, soprattutto, cosa non è avvenuto, e cioè che sono incollato ad un divano immaginario, quasi senza forze, vado in giro, parlo, penso, lavoro, mi indigno pure ma per una parte della mia vita mi sento come invischiato dentro delle metaforiche sabbie mobili, non mi dimeno nemmeno più, questa è la verità, come se una parte di me abbia alzato bandiera bianca ed abbia detto alla vita "ok, hai vinto tu, sii clemente almeno" mentre un'altra parte non riesce a farsene una ragione. Non riesce a concepire questi anni che molti chiamano "i migliori della vita" stiano passando con sempre meno stimoli. Ormai ci sono giornate in cui mi sembra le ore passino a vuoto e non so che fare, nemmeno scrivere mi viene più eppure mi rendo conto che in testa ho delle idee ma poi c'è sempre una vocina che dice "ma chi cazzo te lo fa fare?!", ed allora ripongo la penna immaginaria che nella mia testa avevo preso in mano. Questo posto per me è importante, per questo adesso mi ritrovo qui a scrivere, come se fosse una scossa, l'ennesimo levare la polvere dai mobili di una stanza disabitata. Un abbraccio a chi ancora passa. Tornerò.</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com10tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-26063551628306105432018-12-17T19:23:00.000+01:002019-05-03T10:26:00.600+02:00Spero<div style="text-align: justify;">
Spero che la tua giornata sia stata migliore della mia che, partita bene, è scivolata lentamente verso il basso come solo le mie giornate sanno fare. Nulla di preoccupante o cosa, semplicemente un malessere come un rumore di fondo, hai presente quello dei televisori quando perdono la sintonia? No, meglio, di quando finivano i programmi; sì, una volta finivano i programmi eh, non era un continuo vomitare di immagini e parole senza molto senso, quasi ad imbambolare. Finivano ed appariva il monoscopio e l'unico suono che si sentiva era una specie di fischio basso, credo dovuto al magnete dentro le casse che non ci credeva che non ci fosse nulla da emettere. Ecco la mia giornata è scivolata così, lenta, dentro una specie di tristezza opaca, di lanugine, di nebbia sottile e umida, tipo un vetro in inverno, durante una pioggia, che t'avvicini e si appanna. Spero che la tua giornata sia stata migliore, magari anche meno lunga di questa mia che deve ancora finire ma che nelle mie intenzioni è finita da un bel po'. Spero che adesso profumi di freddo, hai presente? Quell'odore di aria a bassa temperatura, di cielo pulito, quasi piacevole quando entra nelle narici e nei polmoni. Anche la mia migliorerà, ha questa fortuna di migliorare sul finire, di diventare morbida, la giornata, fino all'arrivo della prossima. Spero che sappia di birra, la mia serata, di gusto lievemente amaro e fresco perché mi ricorda bei momenti, tavolini di legno che si inumidiscono dell'acqua di condensa dei boccali, di risate, di "cazzo ma chiudete quella porta che fa freddo"; spero che sia così anche la tua, fatta di calore dentro il freddo, strana immagine no? Ma è tipo quel calore che certe immagini ti fanno scaturire e che se ne frega se è inverno, e c'è vento, e magari piove pure, tu stai lì che ti ricordi un aneddoto, una risata, gli sguardi, anche i silenzi, cazzo che effetto sulla memoria certi silenzi, carichi di un sacco di roba, tipo i camion per le consegne. I silenzi sono il paradiso delle ipotesi, che non bisogna sempre pensare siano negativi, a volte sono solo la rincorsa della vita, quei silenzi. Spero che la tua giornata sia stata piena di cose positive, magari proprio di ricordi e che, se per caso è spuntato fuori quel malessere di cui dicevo, quella tristezza sottopelle, sia andato via subito, come l'ultimo sorso di birra prima di uscire. Io, di mio, cercherò di riequilibrare questa giornata sdrucciolata a valle sul ghiaietto, senza pensare troppo a quella di domani.</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-81519819925315488052018-11-26T20:11:00.000+01:002018-11-26T20:11:42.196+01:00Incontri di periferia<div style="text-align: justify;">
Il negozio non ha vetrine sulla strada ma solo una porta in anticorodal rosso ed un’insegna al neon; è una rivendita di bevande o, come le chiamo io, un negozio di articoli per alcolisti. Una volta dentro non solo si capisce il perché non abbia vetrine ma viene pure da chiedersi perché non oscuri quelle della porta. Alla fine, quando ti invitano per una cena all'ultimo minuto e ti trovi in periferia, ti devi accontentare, tanto non mi serve un Chateau Lafite ma semplicemente un vino che non sia borderline all'essere buono solo per condirci l’insalata. Tutto sommato non è nemmeno il posto peggiore in cui sono entrato, ma questa è un’altra storia. Ci sono diversi scaffali ed è abbastanza fornito; divisione in “bianchi” e “rossi”, birre nazionali ed estere, superalcolici e poi c’è un frigo pieno di birre tenute in fresco e pronte per essere bevute; poi c’è una stanza separata, come quelle dedicate ai porno nelle vecchie videoteche, per le bevande analcoliche; mi aspetto da un momento all’altro che spunti un tizio con il cappello ed il bavero alzato che nasconde sotto il braccio due chinotti. Dentro ci sono solo due tizi, quello dietro la cassa dovrebbe essere il titolare, potrebbe avere una quarantina d’anni portati male o una sessantina portati altrettanto male; è seduto e sta facendo un cruciverba vecchio di sei mesi, probabilmente non gli va di lasciarlo incompleto. L’altro tizio pare essere di casa perché gira per gli scaffali con una Peroni in mani, indossa una tuta da meccanico, deduco sia il padrone dell’officina accanto, oppure uno che vuole lanciare una nuova moda ma dalle macchie credo più nella prima ipotesi. Il mio “buonasera” cade inascoltato perché stanno parlando tra loro e l’argomento deve essere abbastanza importante tanto che il tizio dall'età indefinita ha alzato lo sguardo dal suo “senza schema” mentre il meccanico è mezzo dentro il frigo che scuote la testa:</div>
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- Franco ma ancora la prendi la Corona? Ma perché? Ci sono le altre birre che si offendono.</div>
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- Guarda che la vendo, va tantissimo tra i giovani fighetti.</div>
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- In effetti il tuo è il locale più alla moda qui in Barriera, il sabato vengono dal centro a fare aperitivo.</div>
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Il dialogo è talmente interessante che pensavo di tagliarmi le vene rompendo una bottiglia e usando i cocci, quando entra un tizio sulla quarantina portati come uno di quarantanni che ne avute di sfighe; indossa un parka verde talmente stazzonato che sembra appena uscito da una lavatrice con la centrifuga impazzita. Saluta il titolare con un cenno della testa:</div>
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- Oh Franco, la solita cassa di Corona, ce l’hai fresca di frigo?</div>
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- Sì, nel ripiano in basso, chi te la tocca quella? La prendo solo per te!</div>
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- I tuoi clienti non ci capiscono un cazzo, si sa.</div>
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Il meccanico lo guarda nemmeno fosse un semplice carrozziere e gli indica le birre seminascoste nel frigo poi, quando si avvicina gli porge la bottiglia che ha in mano:</div>
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- Toh, vuoi assaggiare di che sa una birra vera?</div>
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C’è un’aria da OK Corral del luppolo, sulla carta è una sfida impari, anche perché il meccanico ha due mani che secondo me svita le testate con colpi secchi del polso ma lo stazzonato potrebbe avere delle doti nascoste o partire con un calcio nei coglioni che, si sa, è come l’apertura Réti negli scacchi che l’avversario pensa “e mo dove cazzo va con il cavallo?”. Mi sto appassionando, osservo facendo finta di essere indeciso tra un Aglianico del Vulture e un Amarone della Valpolicella, tanto per non offendere nessuno, ma in realtà aspetto la rissa da un momento all'altro. Invece lo stazzonato incassa scrollando le spalle e va verso la cassa, sono quasi deluso ma pare che il meccanico non voglia demordere:</div>
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- Contrera ma il marocchino lì ti fa ancora stare nella sua lavanderia? Non è che mi diventi un terrorista?</div>
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- Volevo venire nella tua officina Alfredo ma poi avevo paura di diventare un coglione.</div>
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Gioco, partita e incontro per lo stazzonato, il meccanico mugugna qualcosa tra i denti mentre quello va via ma non insiste oltre. Mi avvio alla cassa trattenendo le risate e pago una bottiglia di vino presa a caso che spero sappia almeno di tappo. Uscendo passo davanti alla lavanderia, il tizio è seduto su una sedia pieghevole e sta bevendo una Corona a collo, sembra un tipo tosto, certo che però, che gusti di merda per la birra.
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Raccontino ispirato dal bellissimo "Fa troppo freddo per morire" di Christian Frascella, leggetelo perché è bellissimo.</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-31056062368776183102018-08-21T17:57:00.000+02:002018-08-21T17:57:20.937+02:00Dick&Fuck<br />
<div class="MsoNoSpacing" style="text-align: justify;">
Il Dott. Frank Dickerson ed il Dott. John Fuckbell si incontrarono
per la prima volta durante il convegno nazionale sulla medicina estetica che si
teneva in una afosa San Bernardino e che vedeva coinvolti tutti i luminari
della materia operanti in California; più loro due. Il primo, esperto di
gluteopessi eccessiva, era famoso per le natiche alla Kardashian mentre il
secondo, virtuoso della mastoplastica sbalorditiva, era anche conosciuto come “Mr.
Mongolfiere”. L’incontro avvenne al banco del bar a bordo piscina quando, tra
un mojito e l’altro, i due si trovarono a squadrare con puri intenti
scientifici la primaria dell’ospedale di Sacramento che, indossando un bikini
fatto di elastici tagliati stretti, discuteva di rinoplastiche d’urgenza con
una dottoressa in topless il cui seno sarebbe rimasto fermo anche se fosse
arrivato il Big One a staccare la California dal resto del mondo. Il dottor
Fuckbell ipotizzava fossero le nuove protesi a base di tessuto mentre per il
dottor Dickerson si trattava di protesi in silicone con soluzione salina
sterile, dopo un acceso dibattito con sfoggio di nomi e marche i due decisero
di dirimere la questione chiedendo alla diretta interessata e finendo
successivamente in infermeria per medicare le ecchimosi al volto visto che la
dottoressa in topless si trovava al convegno accompagnata dal marito,
centoventi chili di ortopedico, ex prima linea della squadra universitaria di
football. Fu lì che, tra una pomata ed una borsa con ghiaccio i due misero giù
il progetto di una loro clinica di chirurgia estetica, mettendo insieme le loro
specializzazioni avrebbero potuto offrire un “pacchetto completo” ed essere
concorrenziali nel mercato della bellezza. La domanda, grazie a Dio e alla
società dell’apparenza, aumentava giorno per giorno e quindi dovevano solo
buttarsi a capofitto nel cercare clienti, d’altronde i due puntavano
soprattutto sul loro aspetto, il dottor Dickerson vantava un paio di baffetti
da sparviero che più di una volta avevano fatto cadere ai suoi piedi fior di
donzelle; come quella volta che, in vacanza in Europa, a Malaga durante la
festa locale, fu trovato in un hotel della periferia con la locale squadra di
calcio femminile, allenatrice, medico e presidentessa compresa. Il dottor
Fuckbell, invece, forte di un aspetto mediorientale faceva strage di
studentesse di economia spacciandosi per studente in permesso studi dall’Arabia;
cosa che gli diede qualche piccolo problema con l’F.B.I. ed un paio di giorni a
Guantanamo. L’accordo fu siglato la sera stessa, davanti ad una cena di pesce
ad un tavolo seminascosto per evitare l’ortopedico di cui sopra; l’unico dubbio
che ancora rimaneva era il nome da dare alla clinica, dopo un paio di nomi
subito scartati quali “le curve del paradiso” e “carrozzeria per signore” i due
optarono per i loro nomi. “Dickerson&Fuckbell” però sembrava troppo lungo
ed allora, dopo un semplice sguardo d’intesa i due optarono per “Dick&Fuck”
che, tutto sommato, diceva praticamente tutto. </div>
<br />Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-24966802407292735742018-01-08T17:36:00.002+01:002018-01-08T17:36:57.891+01:00Guardare altrove<div style="text-align: justify;">
Tutti noi guardiamo altrove, chi più chi meno voltiamo lo sguardo, benevoli, quando una persona amica fa qualcosa di sbagliato, nulla di esagerato eh, magari un peccato veniale. Siamo umani, è una reazione normale, in fondo ogni rapporto si basa su una specie di empatia, una vibrazione condivisa che si percepisce. Guardare altrove per alcuni è considerata vigliaccheria, ma alla fine è anche quello un gesto d'amore, di affetto, un "vabbè facciamo finta di non vedere". Questo atto così naturale, così, sensato, a volte addirittura necessario si trasforma, spesso e volentieri, nell'esagerazione di se stesso, sì, perché quando arrivi a giustificare l'indifendibile per una simpatia, ecco, allora è il momento di fermarsi un attimo a riflettere e, soprattutto, tacere.</div>
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Per la maggior parte delle persone il destino è una nebulosa indistinta, un disegno che si fa più definito via via che si accumulano esperienza ed anni. Certamente già da quando si nasce si può avere un'idea di quello che la vita potrà essere ma, comunque, sono sempre possibili delle sorprese, delle variazioni. M. invece rientra tra quei rari soggetti per cui è stato lampante da subito come sarebbe stato, come se già in tenera età fosse chiaro come sarebbe stato da adulto. All'età di sei anni, mentre gli altri bambini guardavano al mondo con gli occhi di chi vuole imparare, lui aveva lo sguardo di chi ha già visto; non era supponenza, sembrava più noia. La sua vita scorreva fondamentalmente come quella dei suoi coetanei, solo che era come fosse fuori sincrono, un passo avanti, in un momento diverso. Sulle prime i suoi genitori pensarono fosse una forma di autismo ma i test che fecero effettuare diedero tutti risposta negativa, semplicemente M. analizzava tutto il mondo che lo circondava riuscendo ad incasellarlo molto più velocemente degli altri ed una volta fatto passava subito ad analizzare altro. Quella "noia" che sembrava trasparire dal suo sguardo era, invece, iperattività. Non che si lamentasse o che questo comportasse problemi alla sua vita, no, lui viveva come tutti, senza però lasciar trasparire alcun entusiasmo. I suoi genitori provarono a cercargli qualche interesse, qualcosa che, dopo aver incasellato, gli piacesse pure ma lui affrontava tutto come fosse una problematica da risolvere; guardava davanti a sé, come nel vuoto, per qualche minuto, si grattava la voglia sulla mano destra e poi, tornando sul pianeta terra, risolveva la "problematica" non trovandola più di alcun interesse. Quando compì diciotto anni guardò i suoi genitori e disse "parto", "dove vai?", "via" ed il giorno dopo partì.</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-6994500387573968462017-12-15T23:18:00.000+01:002017-12-15T23:18:00.700+01:00Giorno 12<div style="text-align: justify;">
G. aveva sedici anni quando ha cominciato a lavorare per l'Azienda, ce lo portò un suo cugino più grande che lavorava lì da un po'. Visto che non voleva andare a scuola era deciso a trovarsi un lavoro e l'Azienda aveva sempre bisogno di manodopera; sulla carta si occupavano di import-export ed in fondo era vero; di giorno commerciavano in frutta e verdura e di notte in sigarette di contrabbando, le "bionde". Allora era un commercio che rendeva molto, c'era almeno uno sbarco di sigarette ogni sera e servivano braccia per scaricare le barche. G. lavorava tutte le sere, verso le undici lo passavano a prendere e lo portavano insieme agli altri in una delle calette della costa, lì aspettavano al buio fino a quando dal mare arrivava il segnale, in quel momento si muovevano per farsi trovare pronti appena le barche avessero attraccato. Formavano una catena umana che portava le casse di sigarette dalla spiaggia fino alle auto pronte a partire per portarle nei vari centri dello smercio. Era pesante e pericoloso ma alla fine lo pagavano bene e si faceva i cazzi suoi, cosa che veniva molto apprezzata. Le cose andavano avanti così, ormai era maggiorenne, dava una mano anche nell'attività mattutina dell'Azienda, per arrotondare. La "carriera" ha cominciato a farla quando, a causa di un incidente ad uno degli autisti gli venne chiesto di sostituirlo. Poteva anche rifiutare, c'erano altri disponibili, ma lui accettò; nella vita ci si trova spesso davanti a dei bivi e prendere una direzione o l'altra cambia il corso di tutta la nostra esistenza. Spesso si è domandato, negli anni, cosa sarebbe stato di lui se avesse detto di "no", non si era mai dato una risposta, sarebbe stata comunque un'ipotesi rispetto alla certezza di ciò che era avvenuto dopo. Non si era mai posto troppi problemi di coscienza, era un lavoro, lo sapeva fare e lo faceva, ormai non avrebbe saputo fare altro o, almeno, se la raccontava così.</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-57158625786844758822017-12-14T19:30:00.001+01:002017-12-14T19:30:10.963+01:00Giorno 11<div style="text-align: justify;">
Ogni volta che qualcuno lo saluta per strada C. ripensa a quando, da bambino, andava in giro con suo padre e tutti, indistintamente, lo salutavano, chi amichevolmente, chi con deferenza. Suo padre era il medico del paese, l'unico dottore in un paesino di poche anime, e tutti lo rispettavano perché era "quello studiato"; si rivolgevano a lui non solo per problemi di salute ma praticamente per tutto, suo padre aveva assunto il ruolo di giudice salomonico, dirimeva questioni di cuore, di proprietà, di successione, meglio di chiunque altro. C. ricordava con piacere quel periodo, in fondo era felice, non aveva ancora cominciato a sentirsi addosso l'ombra enorme di suo padre, il doversi confrontare con la sua statura umana e morale. Le aspettative, soprattutto le sue, sono arrivate dopo, alte, insormontabili; e con esse tutti i tentativi di essere qualcosa, qualsiasi cosa, almeno all'altezza di suo padre. Tentativi non riusciti, fallimenti che si sommavano a fallimenti ed il giudizio più duro non arrivava da fuori ma dai suoi stessi occhi quando si guardava allo specchio. Adesso, quando lo salutano, non può che ripensare ad allora e a tutto quello che ha dovuto fare per arrivare ad essere come è adesso; sì, era stato "lento e doloroso, ma necessario". Sempre quelle parole, incise nella sua testa come sull'ingresso della sua nuova vita. Non si era mai chiesto se quello che faceva fosse giusto o sbagliato, aveva capito che era necessario e tanto bastava, non aveva mai chiesto ad M. "Perché?", aveva solo chiesto "Come?" e lui glielo aveva spiegato.</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-49934005116765487702017-12-13T20:04:00.002+01:002017-12-13T20:04:49.639+01:00Giorni 9 e 10<div style="text-align: justify;">
Il freddo umido di dicembre entra nelle ossa senza bussare, senza avvisare; stare in un capannone di una sperduta zona industriale di periferia, tutta la notte, a scaricare casse da camion che devono andare via veloci, non aiuta. F. rientra a casa che sono le otto del mattino, i muscoli doloranti per la fatica che fanno l'ultimo sforzo di salire le scale; l'ascensore non se lo può permettere, il primo piano nemmeno. Arrivato davanti alla porta di casa non sente il classico vocio della tv accesa sul solito programma che dice che le cose vanno male, come se in quella casa non lo sapessero già, vivendolo sulla loro pelle. No, questa mattina F. sente chiacchierare, distingue chiaramente la voce della sua fidanzata che dice "Ma no, non si preoccupi, vedrà che adesso arriva, intanto le faccio un caffè". Non aspettava nessuno e la vita gli aveva insegnato che quando arriva qualcuno che non aspettavi solitamente sono problemi. Per un attimo, solo un attimo, è tentato di riprendere le scale e andare via, nonostante la stanchezza, nonostante i dolori, ma c'è lei. Apre la porta ed entra guardingo, salutando come al solito, ma con la soglia dell'attenzione ad un livello di guardia; il saluto gli si blocca in gola, seduto al tavolo, con davanti un caffè bollente, c'è il tizio dell'altra sera, la "preda", che sorride affabile. F. ha quasi un mancamento, lei, non capendo, gli chiede cosa abbia; "È venuto questo signore, dice che deve restituirti una cosa che gli hai prestato l'altra sera. Ma che hai?". Non dando nemmeno il tempo alla paura di esplodere, il tizio sorride: "Ciao F. scusa se sono venuto così presto ma la tua fidanzata è stata così gentile da aprirmi ed offrirmi un caffè. Sono venuto a riportarti questo" e mette sul tavolo una scatola. F. sa benissimo cosa c'è dentro. "Ora però devo proprio andare" e con si alza, indossa il cappotto e si avvicina alla porta; quando è davanti ad F. lo guarda negli occhi e poi, sorridendo, "Se non hai da fare, ho bisogno di una mano per un lavoro; se ti va sai dove e quando trovarmi" e si chiude la porta alle spalle.</div>
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La casa è piccola, un monolocale con cucina a vista ed un divano che, probabilmente, si apre per trasformare quella stanza in camera da letto; un armadio all'ingresso ed una porta, probabilmente il bagno. Una casa piccola e di poche pretese, tenuta con un certo decoro; sicuramente opera della ragazza gentile, con gli occhi stanchi, che lo ha fatto entrare. M. pensa che la dignità la fanno le persone e non le cose e qui ce n'è molta, nonostante tutto. La scatola con la pistola è sulle gambe, naturalmente non le ha detto cosa contiene e lei nemmeno lo ha chiesto, probabilmente abituata a non chiedere, come forma di autodifesa. Si sentono dei passi stanchi sul pianerottolo, sicuramente F.; lo sente indugiare, avrà capito che c'è una variante alla routine e si starà preoccupando perché a persone come lui le varianti non portano mai buone notizie. Alla fine sente le chiavi nella toppa e la porta si apre proprio mentre lei sta servendo il caffè; lo riconosce subito, si vede da come si dilatano le pupille e sbianca il volto. M. se lo aspettava ma vuole evitare che la situazione degeneri in alcun modo,non è lì per quello. Mentre lei gli parla, accortasi subito del volto terreo, M. anticipa la paura in arrivo e lo saluta, levandolo un attimo dall'impasse in cui è caduto; gli porge la scatola mettendola sul tavolo, consapevole che F. ha già capito cosa contiene. Non c'è più bisogno di stare lì, l'ultima cosa che deve fare prima di andare via è chiedergli, a modo suo, di fidarsi. Dopo deve solo aspettare.</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-74031572338592203832017-12-12T19:49:00.003+01:002017-12-12T19:49:48.091+01:00Giorno 8<div style="text-align: justify;">
La vita è fatta di incontri, di intrecci; per quanto uno si sforzi di non farsi toccare da niente e da nessuno, per quanto uno cerchi, anche con gesti estremi, di rendersi eremita, la verità è che siamo "animali sociali". Ogni incrocio della vita ha un effetto sulla nostra esistenza, anche minimo, quasi impercettibile, ma lo ha. Molto di noi raccontano le nostre scelte, quello che facciamo, le persone a cui decidiamo di dare tempo ed attenzione; perché possiamo essere specchiati ma a guardar troppo nell'abisso poi l'abisso guarda dentro di noi o, come preferiva dire G., a rimestare merda prima o poi uno schizzo ti arriva addosso e allora hai voglia a lavarti, la puzza, un po', rimane. Ecco, lui cominciava a sentirsela sempre più forte quella puzza e se prima abbozzava, tirava su con le spalle e faceva finta di nulla, adesso cominciava a non sopportare più. Forse prima sopportava per due e adesso che era solo non riusciva a sopportare nemmeno per uno solo, oppure la merda che rimestava era diventata troppa; in fondo prima c'era una specie di limite, quasi una decenza, mentre adesso, da quando ci sono quelli nuovi, sembra che non ci sia più limite a niente. Aveva provato a fare come sempre, a guardare da un'altra parte, ma a girare sempre la testa prima o poi ti fa male il collo ed allora un giorno si era trovato a guardare davanti a sé ed aveva incrociato lo sguardo di quel ragazzino appena sbattuto fuori dal doppio fondo del camion. Sì, la vita è fatta di incontri fondamentali, a volte della durata di uno sguardo.</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-63410341577559742772017-12-07T20:02:00.000+01:002017-12-07T20:02:03.909+01:00Giorno 7<div style="text-align: justify;">
M. sale le scale verso il suo appartamento, è tardi, si sentono pochi rumori, giusto il vocio di alcune tv, avvicinandosi alle porte sui pianerottoli; gli insonni attendono che la stanchezza abbia la meglio sui pensieri anestetizzandosi con le immagini di repliche di vecchi film. La pistola di quel ragazzo gli pesa nella tasca sinistra della giacca, ripensa a quanto è accaduto poco prima; un altro sarebbe spaventato o, quantomeno, in ansia ma lui no, non ha particolari sensazioni in merito, come se un avvenimento del genere rientrasse nella sua routine. Era stato bravo però, il ragazzo; aveva studiato la preda, aveva trovato sia il momento che il luogo ma, come gli aveva detto, aveva sbagliato preda. Non si aspettava una reazione o, meglio, non si aspettava una tale mancanza di reazione perché in quei casi punti proprio a quello, a spiazzare più che spaventare ed invece si era trovato davanti una persona che se gli avesse chiesto l'ora avrebbe mostrato maggiore interesse. In fondo, pensa M., è significativo, il caso alla fine comanda il gioco; se avesse puntato, per esempio, il commendatore del primo piano adesso il ragazzo avrebbe l'orologio, il portafogli e pure quel bel fermacravatta con il diamante che il commendatore mette sempre. Invece aveva scelto lui ed aveva rischiato di finire su un marciapiede, blu in volto e con sicuramente qualcuno a casa che lo avrebbe pianto, tipo una fidanzata. Non che M. credesse realmente al caso ma era convinto che la maggior parte della gente non considerasse realmente tutte le varianti e in tal modo il caso lo creavano per difetto. M. apre la porta di casa, si ferma un attimo al buio ascoltando i rumori del suo appartamento, controllando attentamente che non ci siano variazioni perché ogni variazione è un segno e non tutti i segni sono positivi. Quando è sicuro non ci siano variazioni accende la luce e appende la giacca all'attaccapanni all'ingresso, si ricorda che ha la pistola del ragazzo nella tasca, si gratta un attimo la macchia grigia sulla mano e a mezza voce si dice "forse è meglio che gliela renda".</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-47215640475197259832017-12-06T23:47:00.000+01:002017-12-06T23:47:02.246+01:00Giorno 6<div style="text-align: justify;">
C. ha la testa appoggiata alla parete della doccia, l'acqua bollente sta lavando via la stanchezza della corsa ed il freddo della tramontana; il vapore ha appannato i vetri, c'è una specie di nebbia nel box che assorbe la luce e la rende lattiginosa. C. ha gli occhi chiusi, cerca di rilassare ogni fibra del corpo, la corsa e la doccia sono una specie di rito, un distruggersi e ricostruirsi per uscire nuovo dalla doccia e affrontare la giornata. Gira il caffè nella tazzina dopo aver messo il solito mezzo cucchiaino di zucchero, giusto per abbassarne l'amaro della tostatura; non prende altro, nemmeno un biscotto; non è una questione di linea, di dieta, è solo una abitudine. C. ha costruito la sua quotidianità come una somma di abitudini, di gesti ripetuti con meticolosità, con una precisa scansione dei tempi. Non è sempre stato così, se lo ricorda ancora di quando non riusciva a concentrarsi su una cosa per portarla a termine, e per quanto si sforzasse era solo una somma di fallimenti, dal più piccolo al più grande. Quello che è ora è una costruzione, il risultato di un lavoro di distruzione e rinascita lento e doloroso ma necessario. Le parole di M. erano state quelle: "sarà lento e doloroso, ma necessario", non sapeva come lo aveva trovato, né perché, si ricorda solo che era una mattina fredda come quella iniziata da poco e mentre era seduto a guardare il mare pensando all'ultimo dei suoi fallimenti aveva sentito dei passi alle spalle e quando si era girato aveva visto questo tizio che si grattava la mano destra, poco sotto il mignolo, che lo guardava ma non sembrava vederlo e poi gli aveva parlato, "Riuscire è fondamentalmente una questione di concentrazione, se la si disperde in decine di pensieri non si riesce nemmeno in uno, bisogna essere meticolosi, ci vuole dedizione, applicazione, sforzo. Sarà lento e doloroso, ma necessario".</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-41325860812287013792017-12-05T23:35:00.002+01:002017-12-05T23:35:15.569+01:00Giorno 5<div style="text-align: justify;">
Sì, è proprio vero, tre cose sono fondamentali: preparazione, velocità e decisione; ed infatti prima ancora che finisca di dire "il chi" mi ha già preso il polso della mano destra e spostato la linea di tiro della pistola e con l'altra mano mi ha chiuso la gola bloccandomi il respiro. La presa è una morsa, cerco di divincolarmi ma non ci riesco, lui sembra non fare il minimo sforzo, il volto non lascia trasparire nessuna emozione, se almeno si intravedesse della cattiveria mi sentirei meno spaventato. "Le sabbie mobili, i fiumi in piena, più ti opponi e più velocemente soccombi. La forza, a volte, sta nell'arrendersi". Comincia a mancarmi l'ossigeno; non passa nessuno, l'ironia di aver scelto il posto perfetto ed adesso subirlo. Seguo il suo consiglio e smetto di oppormi, mi aspetto che la stretta alla gola si faccia più forte e che mi blocchi completamente il respiro ma, al contrario, si allenta fino a lasciarmi respirare, mi toglie piano la pistola dalla mano e mi accascio sul marciapiede, quasi esanime. Respiro con la bocca aperta mangiando l'aria; si mette la pistola in tasca e si accovaccia, la sua faccia all'altezza della mia, si gratta ancora la macchia sulla mano, sembra distratto, come se tutta quella situazione, per lui, non avesse nulla di speciale in fondo, come se lo annoiasse. Quando il suo sguardo ritorna su questo pianeta mi mette una mano sulla spalla, "Solitamente, in natura, il pericolo più alto arriva da ciò che non ti aspetti. Meglio aspettarsi di tutto". Si alza e, in tutta tranquillità, apre il portone e se lo richiude alle spalle.</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-57037667386946271862017-12-04T23:49:00.001+01:002017-12-06T09:42:18.852+01:00Giorno 4<div style="text-align: justify;">
La distrazione è solo attenzione spostata su un piano diverso, una monopolizzazione del cervello, una momentanea ossessione che ci isola dal contorno. G. rimesta svogliato il suo piatto di spaghetti con lo sguardo a metà tra il tavolo e l'infinito, avvicina ogni tanto la forchetta alla bocca più per un automatismo che per reale volontà. Solitamente c'è sempre qualcuno che ci riporta alla realtà, che come il filo di Arianna ci fa uscire dal labirinto; ma G. è tanto che deve ritornare da solo dal suo labirinto, Arianna non c'è più. La sua distrazione è un dubbio, pensa all'altra sera e si chiede se andare a parlare con quel M. sia stata la scelta giusta, anche se andare avanti sia la scelta giusta ma quella è una domanda che va avanti da tempo. Ha raccontato la sua storia, quella che si ripete da così tanto tempo che ormai sembra la storia di un altro, quella che non vorrebbe fosse la storia di nessuno; si è seduto davanti alla scrivania ed ha sciorinato tutto il copione. Non lo sa se ha fatto bene, non ne era convinto prima, lo era anche meno dopo ma quando non avanza più niente da perdere non c'è differenza se si racconta la propria storia una volta di più. Solo che quel M. ascoltava ma sembrava anche lui nel suo labirinto, il suo sguardo lo trapassava da parte a parte, come fosse altrove, ma quando i suoi occhi sono tornati a fissarlo aveva capito che aveva ascoltato tutto, e che forse era stato un errore.</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-62975279449359744942017-12-03T23:52:00.000+01:002017-12-14T18:37:00.465+01:00Giorno 3<div style="text-align: justify;">
Tre cose sono fondamentali: preparazione, velocità e decisione; studi la preda, colpisci senza tentennamenti e vai via in fretta; solo così si è sicuri di riuscire. Oggi è il giorno giusto, la preda esce ogni giorno alle 23:00, con qualsiasi tempo, fa il giro dell'isolato fumando una sigaretta e torna a casa; ogni volta si avvicina al portone, prende la chiave dalla tasca destra del pantalone ed apre guardando l'orologio. Il quartiere è tranquillo, elegante ma lontano dalla zona della movida, nessuno che porta il cane per la pisciata notturna, palazzi signorili, tutte finestre con doppi vetri, quasi insonorizzate. Un colpo facile, domenica sera di inizio dicembre, freddo, nessuno in giro; ho individuato l'androne giusto dove aspettare, quando infilerà la chiave nella toppa gli sarò dietro, pistola in mano, in pochi minuti avrò il suo orologio ed il portafogli; quando avrà metabolizzato l'accaduto io sarò già lontano. La pistola fa sempre quel effetto, più che paura è una specie di sbigottimento, di incredulità, lo leggi negli occhi che si chiedono "ma davvero sta succedendo a me?"; lì bisogna essere freddi, agire veloci, farsi dare tutto e andare via, agiscono meccanicamente. Sono pronto, tre cose sono fondamentali: preparazione, velocità e decisione; arrivo, gli batto su una spalla e quando si gira punto la pistola. Ma c'è qualcosa che non va, non c'è paura nel suo sguardo, non c'è sorpresa, c'è curiosità ed allora quello sorpreso sono io, c'è una frattura nella routine e le fratture non sono mai una cosa buona. Non fa nessun movimento, semplicemente si gratta una voglia sulla mano destra, poco sotto il mignolo, una macchia grigia. Si gratta e poi mi parla: "Hai fatto tutto giusto, il dove, il quando, il come. Hai sbagliato solo una cosa", "cosa?", "il chi".</div>
Baolhttp://www.blogger.com/profile/14298667149583906867noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-33757627.post-41146071487399476322017-12-02T18:19:00.000+01:002017-12-02T18:19:05.999+01:00Giorno 2<div style="text-align: justify;">
La tramontana sferza il lungomare, C. si aspettava un inizio di dicembre più clemente ed invece sente il vento tagliargli la faccia; uscendo, stamattina, era quasi tentato di rinunciare ma se si dovessero fare le cose solo quando sono facili l'evoluzione non avrebbe compiuto un passo. È quello il pensiero che C. si ripete in testa mentre corre, un passo dopo l'altro, con gli spruzzi delle onde che lo colpiscono quasi accecandolo. Il fiato si condensa in una nuvola bianca, lungo la strada pochissimi altri coraggiosi, o folli, come lui; il cielo si è schiarito da poco, sarà sicuramente una giornata luminosa, si capisce dal celeste di ghiaccio del cielo. Il problema però sono le nuvole che gli si affollano dentro, lì la situazione è un po' più oscura; è da quando ieri M. gli ha telefonato che è tramontato il sole. Inconsciamente C. aumenta il ritmo, sordo ai muscoli che cominciano a sentire la fatica. Il fiato si fa più corto e veloce, il passo più lungo; senza rendersene conto è arrivato alla fine del lungomare, dove finiscono gli ultimi palazzi e c'è quel nuovo parco di risulta. Si ferma a respirare con le mani sulle ginocchia, il cuore più veloce ma le idee più chiare; C. ora sa cosa dire ad M..</div>
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