Lo sguardo del Maestro
Il monastero si intravede a malapena, nella bruma, appare etereo a strapiombo sulla vallata, quasi sospeso. Un’ombra ingobbita si avvicina lentamente, strascinando il passo, al portone antico come le montagne, è un uomo intabarrato in una gabbana nera, le nuvole di fiato che il freddo condensa immediatamente sottolineano un affanno, un debito d’ossigeno che la postura non fa che confermare. Appoggia una mano ossuta ad un vecchio battente d’ottone e, con uno sforzo che lo piega sulle ginocchia, lo lascia cadere due volte sul legno, rompendo il silenzio della valle. Il portone, leggero, senza un cigolio, si apre su un lungo corridoio illuminato solo da fiaccole, su entrambi i lati. L’uomo lo percorre, attento a non cadere al peso della stanchezza, con passo malfermo, lasco nelle giunture che, sicuramente, dolgono nel profondo. Al termine del corridoio si apre una grande stanza al centro della quale c’è un altare rialzato, alla fine di una scala e, in cima un anziano in tunica. Medita nella posizione del loto, sembra circonfuso di luce e levita ad una ventina di centimetri come fosse una cosa naturale. L’uomo si inginocchia, quasi crollando, ai piedi della scala e scopre il suo volto, scavato e dolorante, non ha fiato e non ha voce e stringe con forza quasi rabbiosa le dita sulle ginocchia, a cercare forze ormai del tutto fuggite. Con fatica comincia a parlare: “Antico Maestro, con il cuore pieno di gioia e timore mi appresto a voi, grato di essere stato accolto al vostro cospetto. Ho attraversato deserti e montagne per essere qui, meravigliandomi di aver trovato, nel mio corpo decadente, la forza per affrontare tutti i pericoli che il lungo percorso mi ha riservato. Sono partito mesi fa, dal centro di un mondo che si crede civile, perché stanco delle ingiurie del tempo ma, soprattutto, di quelle dell’uomo; stanco della finta pietà e del godimento di un dolore, il mio, che mai mi abbandona. Stanco della falsità del popolo che mi blandisce ed avvelena, stanco della ricerca di una verità, di una epifania, che non arriva. Le chiedo, dunque, Antico Maestro, con tutta l’umiltà dovuta al vostro cospetto, di poter avere l’onore di essere accolto fra i vostri discepoli, così da poter imparare la sospensione del dolore e la conquista della pace”. Il silenzio si può quasi toccare fino a quando, come un respiro, giunge la risposta dell’anziano in meditazione: “No, prendi ristoro per le tue membra stanche e domattina lascia questo luogo”. L’uomo sgrana i suoi occhi neri, un’ombra dura li attraversa, “Perché Antico Maestro?”, “Perché non sei puro”; un moto di rabbia contrae la maschera dell’uomo, “Mai avrei pensato che anche voi vi fermaste all’apparenza di un corpo finito”, “Stolto, guardami”, l’anziano Maestro schiude le palpebre e mostra uno sguardo vuoto, due pupille bianche come la neve delle cime, “Io non posso vedere il tuo corpo finito, però posso guardare il tuo spirito ferito ancor più delle membra. Smetti di raccontarti una bugia, smetti di mentirti sul mondo; hai lasciato che gli sguardi che avevi intorno ti entrassero dentro, diventassero il tuo, fino a marcire; non è il corpo a decadere, è la tua anima ad essere putrefatta”. Finito di parlare, il vecchio Maestro richiude gli occhi ed il silenzio ritorna tutto intorno, su di lui e sull’uomo, in lacrime, ai piedi della scala.
22 commenti:
Fantastico!!!!entusiasmente !!!!:D _marì
E' brutto ripetersi, ma devo farlo più che volentieri: sei bravo. punto :-)
Mi piace, il maestro anche:)
bellissimo e verissimo!! certa gente sii guarda troppo attraverso gli occhi degli altri! Bravo sto Antico Maestro :)
Bravo bravo e ancora bravo!
è sempre un piacere leggerti
Che delizia questi racconti Zen...ma gli altri 25 li hai già pubblicati? sarebbe un peccato perderli....
Grande, come sempre!
Racconto coinvolgente e significativo!
Di primo acchito ho pensato che invece che riciclare i vecchi post ti fossi messo a copiare il nome della rosa :))
Non so se ce la farò a leggere i precedenti: 25 è un numero che spaventa ^:^
è incredibile Baol quello che riesci a fare con tre parole :) faccio mia la frase:
"Il silenzio si può quasi toccare..." e ti nomino all'istante maestro paroliere :)
Gia' immaginavo un finale comico con qualche minchiata a portata di mano...Invece mi hai stupita,scrivi benissimo e COMPLIMENTONI...
Sarò felice di leggere gli altri.E bravo Baol
anche questa è una bella lezione
@ GIALLOSANMARINO: Grazie!!!
@ chaillrun: E sono pure commercialista, incredibile eh?! :PPP
Grazie per i complimenti :)
@ fatacarabina: Anche a me, il maestro :)
@ Pier(ef)fect: E si sente giustificata a tutto...
@ Ernest: Grazie grazie e grazie ancora!!!
@ zefirina: Grazie :)
@ nella: Sì sì, sono sul blog, basta cliccare sul tag "solo tre parole"
@ Marica Bersan: Grazie :)))
@ Adriano Maini: Sono molto contento ti sia piaciuto :)
@ silvia: Anche a me ha spaventato...infatti ci ho messo tre anni a scriverli e ne ho ancora altri 9 :-/
@ albafucens: Sai bene che i tuoi commenti su questi post dalle tre parole, con le loro sottolineature, sono sempre un piacere :)
@ La Betty: Contento di averti sorpreso, fammi sapere come sono gli altri 25 :)
@ endi: Spero lo sia davvero, grazie :)
Chapeau! Avevo dimenticato di averti dato queste tre parole, ora hai restituito loro un giusta dimora. Grazie :-)
@ 24fotogrammi: Beh, sono anche passati quasi tre anni :)
Bellissimo, che dire. Vorrei anche io, vedere molto più che con gli occhi. Mi risparmierei qualche errore (anche se poi, non me ne rammarico!)
ma non ha una morale...
@ Lila: Spesso gli occhi ingannano...e anche le orecchie :)
@ Margherita Devalle e Marta Falcon: Infatti, è una "operetta amorale"
(anche se, secondo me, una morale c'è, molto contorta ma c'è)
Poi magari arrivano 3 netturbini per differenziare i rifiuti ;)
@ skip: Ahahahahahahaha, vero, come gli spalatori di neve a Palermo!
:)
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