30 ottobre 2008

Tanto per farti rosicare Giù...



Stasera sono andato a vedere lo spettacolo di Proietti, questa cosa qui non l'ha fatta ma, credetemi, non importa, è bastato il resto.

27 ottobre 2008

Due giorni via

Reimmergermi nel mio oceano personale è stato come smontarmi, ripulirmi e rimontarmi, prendermi pezzo per pezzo e sbatacchiare via la polvere, il sedimento dei giorni. Mi sono costretto ad un viaggio della speranza, un giovedì in treno guardando la notte che si dipanava fuori dal finestrino e addormentando il cervello solo per poche brevi pause e per il resto contare le luci gialle che ogni tanto apparivano sul tappeto nero. L'arrivo il venerdì mattina mi ha visto camminare e guardare avanti sorridendo e non vedere nessuno, nemmeno mio padre che mi era venuto a prendere e poi crollare sul divano, a casa, vincitore della maratona con me stesso, senza nemmeno alzare le braccia al cielo ma appoggiando la testa sul bracciolo e facendomi cullare dalle mura familiari. Dovevo essere pronto, quanto meno non troppo stanco, per tuffarmi nel mio oceano, quell'oceano di azzurro che mi ritrovavo davanti tutti i giorni davanti perchè tatuato nella parte interna del mio cervello. Sembrerà strano ma ci disabitua a certi gesti e quando ci si ritrova bisogna togliere la pellicola che si ha sui ricordi, la pellicola che ci abbiamo messo sopra per evitare che si sgualciscano con lo smog; ma è come andare in bicicletta e dopo aver sbandato un po', i piedi vanno da soli e si ritorna a nuotare nell'oceano. Magari si accumulano energie per un altro periodo lontano però pesa tanto perchè andare di nuovo via pesa ancora di più, lasciare le solite piccole battaglie della famiglia, lasciare che l'oceano diventi di nuovo lontano e ricominci ad essere un'immagine sul retro degli occhi, lasciare mio nipote che non si spiega perchè lo zio se ne vada di nuovo via e non voglia rimanere lì nonostante lui glielo chieda; il viaggio di ritorno pesa ancora ancora di più della notte in treno perchè la notte un po' è dentro però con un sacco di immagini nuove a farmi compagnia.

20 ottobre 2008

Fuori come va?

Le cose nuove hanno tutte un sapore strano, come un frutto esotico sconosciuto; non sai mai che gusto avrà quando lo morderai e sulle prime difficilmente ti piace. La notte non mi ha portato consiglio anzi, tutt'altro, mi ha portato pensieri che, uno dietro l'altro, non ho fatto in tempo a fermare e così, tra le spire delle lenzuola, ho teso l'orecchio ad una zanzara, ce ne sono tante qui, che ha insistito per tenermi sveglio, come se i pensieri non bastassero. Una volta che la luce è arrivata mi sono alzato ed i dubbi insieme a me, non se ne sono stati nel letto a riposare, no, si sono fatti la doccia e mi hanno consumato l'acqua calda e la calma. Mi sono vestito di tutto punto come alla prima comunione, al matrimonio di un amico, al funerale di un'idea; mi sentivo positivo e meno male, se fossi stato negativo non so come mi sarei vestito. Ho fatto i passi fino all'ascensore contandoli uno per uno, ho guardato i tasti della pulsantiera e premuto "zero", proprio il livello a cui mi trovo. Ho preso l'aria sulla faccia dopo un "buongiorno" ed ho guardato il cielo, non sembrava nemmeno quello di qui, talmente era azzurro come per ricordarmi il cielo che ho lasciato. Devo smetterla e mettere i piedi uno di fronte all'altro e respirare, aria dentro, aria fuori, aria dentro, aria fuori, guardo il semaforo ed aspetto il verde; oddìo, aria dentro, mi ero scordato. Guardo questo palazzo enorme di vetro e verde e la sua entrata e le sue scale, eccomi qui con l'ultimo respiro a calmare i muscoli che scendo le scale e mi guardo in giro. Inizio a cercare degli occhi con lo stesso sguardo che si muove in giro e dico "ciao" ed incontro tante persone tutte diverse e tutte uguali, tante facce che raccontano storie diverse. Lo so che tutti hanno una storia da raccontare, sono una storia da raccontare, che sia una faccia più sicura, un passo più incerto, un tremito dei nervi; non sono l'unico nervoso, lo so, lo sapevo ma non conforta, a dire la verità. Tanto lo sapevo, sento il peso delle cose nuove, l'ho sempre sentito; per fortuna i miei occhi funzionano ancora, le mie orecchie pure e quando queste cose vanno si capiscono tante cose e ci si accorge che il mondo è fatto di tante facce sulla stessa barca. Arrivo alla fine del giorno con i muscoli della schiena duri per la tensione e mi chiedo ancora dei motivi che non mi servono a niente; per fortuna non ho nemmeno il tempo di pensare tanto so che i pensieri torneranno insieme alle zanzare. I giorni poi vengono uno dietro l'altro e diventano due e poi quattro e la prima settimana se ne va ed in fondo i pensieri alla fine si dipanano, si annodano con altri e si sciolgono ancora ed io continuo a mettere i piedi uno dietro l'altro e guardo davanti.

14 ottobre 2008

Sulle montagne russe della vita

Si va così veloce che ti manca il fiato, curve, salite, discese, viste opache dalle lacrime negli occhi, e pensare che fino ad un attimo prima tutto scorreva placido lungo un binario dritto, talmente placido che pur avendo il tempo di guardarsi intorno, le lacrime venivano agli occhi per gli sbadigli e tutto diventava opaco per la noia. Quando si va così piano ci si fa tante domande, vero, amico mio? Ci si chiede, un po' svogliati, “ed ora che si fa?”, magari con la testa appesa allo schienale ed i piedi appoggiati al sedile di fronte. Si sbadiglia ed alla fine dello sbadiglio ti guardi a destra ed a sinistra e quello che vedi non ti è di alcun interesse, magari intorno a te gli altri sono entusiasti e felici e tu invece hai quasi sonno; poi ti assale un dubbio: “Ma ho sbagliato qualcosa? Magari non è questo il posto per me” e mentre te lo chiedi, preoccupato, sembra che i binari sotto di te spariscano, mostrando l'infinito, ed invece è solo un cambio di scenario ed all'improvviso ti trovi a farti mozzare il fiato. La vita è così amico mio, c'è chi ti dirà di fermarti e tornare ad andare piano, chi di cambiare strada, ma sulla giostra ci sei tu e, beh, se ti va di starci assicurati che la barra di protezione sia salda, alza le braccia al cielo, urla, ridi e va fino in fondo.

07 ottobre 2008

Un veloce aggiornamento

Beh, l'avventura è cominciata, sono a Milano, non so dirvi ancora come mi sento perchè il mio cervello deve ancora macinare tutto e poi...ci sono qui i miei e quindi non posso ancora definirmi "staccato" da tutto il resto. Non vi nascondo che le mie notti sono insonni ed i pensieri tanti ma, come mi ha detto una persona cara, affonterò le cose un passo alla volta e vedrò cosa sono capace di fare. Per adesso vi saluto tutti, appena mi sarò stabilito per bene (e magari, se i tizi della vodafone mi attivano la connessione, sarebbe pure più facile) tornerò ad essere attivamente presente sul mio e sui vostri blog.

02 ottobre 2008

La verità, vi prego, sul dottore

Lo incontrai una sera in un bar, lui ed il suo bastone erano appesi al banco. Era ubriaco, lui; il bastone aveva preso solo un’acqua tonica. Mi avvicinai e gli chiesi: “E’ libero?”, indicando lo sgabello vicino al suo, fece una smorfia “No, ci è seduto l’uomo invisibile”. L’alcool non aveva cancellato il sarcasmo. Continuava a riempire un bicchiere con del whiskey ed a svuotarlo subito dopo; appoggiato vicino al bicchiere c’era l’altro suo inseparabile compagno, un piccolo contenitore cilindrico, marrone, semitrasparente, con il tappo bianco; non avevo bisogno di leggere l’etichetta per sapere cosa contenesse: Vicodin. Ogni tanto ne prendeva un paio, nemmeno fossero confetti. Ordinai al barista un whiskey anche io e ci feci aggiungere il ghiaccio, odio i superalcolici nudi. “Ghiaccio…tzè! Potevi fartelo allungare direttamente con l’acqua, allora”, aveva parlato con una voce nemmeno troppo impastata; “Me lo ha prescritto così il medico, è una cura sperimentale”, “Sarà stato uno di quelli con la laurea scritta a mano con il pennarello”, “Beh, almeno non mi ha prescritto un cocktail di antidolorifici e whiskey, dicono che le due cose non vadano molto d’accordo”. Prese il tubetto e lo guardò con i suoi occhi di ghiaccio, “Ho organizzato un summit, sto cercando di fargli fare pace”. Mi girai di tre quarti per guardarlo meglio, anche con la schiena curva sul bicchiere era alto, “Ma non fa prima a darsi una coltellata nel fegato?”, “Farei prima anche dandomi una martellata nei coglioni eppure continuo a parlare con te; mi piacciono le cose lunghe e dolorose”. Ottima risposta, avrei potuto dirgli che la pensava così perché non aveva mai incontrato Rocco Siffredi ma alzai il bicchiere per un brindisi virtuale ed aggiunsi “Non so, visto quanti antidolorifici prende, non credo le piaccia molto il dolore”, mi guardò sorridendo, “Naaaaa, lo faccio perché non voglio che mi distragga, voglio godermi a pieno il dolore mentale.”. Continuò a guardarsi riflesso nello specchio dietro il barista fino a quando, come se si fosse ricordato una cosa, mi guardò spalancando gli occhi, “Ma tu perché mi fai tutte queste domande? Ci stai provando? Guarda che non sei il mio tipo. A me piacciono biondi” e tornò a bere guardando diritto davanti a se; risi, “No, no, niente del genere, sono uno scrittore, sto scrivendo un libro su un medico misantropo e geniale”, alzò un sopracciglio, “Cos’è, i soggetti interessanti erano finiti? Potresti scrivere un libro su un barista. Sam, per esempio, ascolta un sacco di storie interessanti”, guardò il barista che asciugava i bicchieri perso dentro una goccia secca sul bancone, “Hey Sam, con quante persone hai parlato oggi?”, il barista sì svegliò e ci guardò bovinamente, “Compreso te?”, “Sì”, “Due”, “E l’altra?”, “Aveva sbagliato numero” e tornò a perdersi dentro la goccia secca. “Vabbè” disse, “Sam non è l’esempio migliore ma nemmeno io lo sono” e chiuse la frase come una sentenza definitiva. Non volli demordere, “Lei scrive?”, “No, non ho mai imparato, le ricette per i pazienti le mimo al farmacista”, fece uno sbuffo con il naso, come se fosse una risata; ricominciai a parlare rivolgendomi al vuoto, “Ormai quasi tutti scrivono, grazie ai blog; lei ha un blog?”, “Sì, ci metto su le foto della Cally nuda”, “Avrà un sacco di contatti”, “A milioni”, altra chiusura da sentenza; il bastone cominciò ad innervosirsi ma non volli desistere, avevo una domanda da fare e desideravo la mia risposta. “Insomma, lei non ha un hobby?”, “Io suono”, “Cosa?”, “I tizi troppo curiosi”, “Andiamo dottore, stiamo solo facendo una chiacchierata”, “Chiacchierare è un’attività che tendo ad evitare, si ascoltano troppe stronzate”, terza e definitiva sentenza; si alzò reggendo il suo bastone, pagò per entrambi e si voltò verso la porta; quando fu con la mano alla maniglia glielo chiesi: “Come fa a trovare sempre la diagnosi?”, si girò verso di me fermo sull’uscio del bar, “Ho un gran culo” e se ne andò.

Ora, prima che mi linciate, io adoro il soggetto in questione, rivedrei le sue avventure più e più volte.