30 maggio 2007

Ci scusiamo per l'interruzione

Cosa ci vuole per diventare commercialisti? Dico, a parte un gran coraggio, pelo sullo stomaco e faccia di tolla? Burocraticamente, dopo essersi laureati in Economia e Commercio bisogna trovare un commercialista che abbia tanta voglia di avere uno schiavo e chiedergli di poter essere schiavizzato per tre anni. Passati questi tre anni per metterci il carico da undici bisonga sostenere un esame, volete sapere com'è fatto questo esame a Bari? Si prendono circa ottocento aspiranti commercialisti che tanto aspiranti non sono perchè 80% degli stessi non farà mai il commercialista ma gli serve l'abilitazione per altri motivi, si prendono questi ottocento folli dicevo e gli si fa fare un esame scritto composto da due prove per due giorni consecutivi in cui si viene, nella migliore delle ipotesi, trattati come dei liceali ed in cui non ci sarà una scrematura basata sulla meritocrazia e nemmeno sulla fortuna, nella maggioranza dei casi si valuta, con questo esame, la faccia di bronzo delle persone. Dopo di questo li si fa attendere per circa sette, otto mesi il risultato dello scritto, costringendo i meno sicuri delle proprie conoscenze a rifare l'esame perchè, intanto che si aspetta il risultato del primo è già arrivata la data del successivo. Tutto questo per dirvi che ho latitato perchè ieri ed oggi ho sostenuto per la terza volta consecutiva gli scritti dell'esame di stato visto che per quelli dello scorso giugno mi sto ancora chiedendo non tanto il motivo della mia bocciatura quanto quello della promozione di altri, visto ciò che sono capaci di non dire all'esame orale, per quelli di novembre scorso ci hanno detto che, probabilmente avremo i risultati a fine luglio, bontà loro e quindi, visto che mi piace sottopormi a continui giramenti di p***e, sono andato a farmi un'altra due giorni di stress. Grazie per l'attenzione.

22 maggio 2007

Finalmente!!!

Finalmente riesco a venire fuori dal gorgo in cui Pideye mi ha lanciato; che cosa è successo? Come se niente fosse la blogger in questione mi ha invitato a partecipare ad una catena, “bene” mi son detto, “cosa devo fare?”, soltanto trovare le 10 canzoni della mia vita ed elencarle! Sono giorni che impazzisco per trovare queste benedette canzoni e finalmente ne ho messe insieme 10 con delle motivazioni abbastanza condivisibili (da me stesso), ma già so che una volta postato inizieranno a venirmi in mente altre mille canzoni ed altri mille motivi.

1) Fabrizio De Andrè – Don Raffaè
Quelli che mi conoscono sanno che il grande Faber non poteva mancare nella mia lista, ho messo questa canzone proprio perché mi ha cambiato la vita: è quella con cui l’ho conosciuto.

2) Dire Straits – Walk of life
Mi ricorda un’estate in cui mio cugino la cantava ed io l’ho imparata a memoria, senza averla ascoltata in originale: bellissima, mette allegria.

3) Marvin Gaye – I heard if through the grapevine
Non so se è una “canzone della vita” però ha un ritmo travolgente e mi ha fatto scoprire un genere.

4) Vinicio Capossela – All’una e trentacinque circa
Perché adesso è idolatrato ma quando cantava ‘sta canzone eravamo due o tre a conoscerlo.

5) Pink Floyd – Money
Se mi chiedono di scegliere una canzone dei Pink Floyd da ascoltare io dirò sempre questa per prima.

6) Tanita Tikaram – Twist in my sobriety
Questa canzone è i miei anni ottanta!

7) Sting – Fragile
Ora va cantando le (pallosissime) canzoni del settecento ma prima ha sfornato anche questa roba:
On and on the rain will fall
Like tears from a star like tears from a star
On and on the rain will say
How fragile we are how fragile we are

8) Francesco Guccini – Piazza Alimonda
Genova non sa ancora niente, lenta agonizza, fuoco e rumore,
ma come quella vita giovane spenta, Genova muore.
Per quanti giorni l’odio colpirà ancora a mani piene.
Genova risponde al porto con l’urlo alto delle sirene.
Poi tutto ricomincia come ogni giorno e chi ha la ragione,
dico nobili uomini, danno implacabile giustificazione,
come ci fosse un modo, uno soltanto, per riportare
una vita troncata, tutta una vita da immaginare.

9) The Smiths – Please, please, please, let me get what i want
Mi ricorda una birra, mi ricorda una pubblicità rifatta da degli amici e mi ricorda le risate che mi sono fatto quando l’ho vista.

10) Tiromancino – Per me è importante
Per me è molto importante.

Adesso questa patata la devo passare, già vedo il panico spandersi per la rete, lo faccio? Non lo faccio, non la passo a nessuno, però vi invito a provarci, dopotutto è interessante.

12 maggio 2007

I "pane & merda"

Il buon Porzione qualche post fa ha nominato i chioschetti su ruote che vendono cibarie per strada, in parole povere i “pane & merda”. Tutti noi avremo sicuramente mangiato in uno di questi ameni posticini una volta nella vita, per alcuni potrebbe anche essere stata l’ultima; io sono sicuramente uno fra gli assidui frequentatori di questi ottimi posti, come le lettere dell’avvocato del mio fegato possono confermare. Per questo motivo mi sono chiesto come sono nati questi posti che tanto hanno dato alla gastroenterologia nazionale.

LA STORIA DEI “PANE & MERDA”
Il chioschetto dei panini motorizzato nasce anni addietro dall’intuizione del signor Pasquale Abbaticchio che, trovandosi a corto di spiccioli per parcheggiare, vendette per mille e cinquecento lire il tramezzino che aveva con se per pranzo ad un passante, riscaldandoglielo sulle bocchette dell’aria calda dell’auto. Il signor Abbaticchio subito si accorse delle potenzialità della sua intuizione e corse, in un barlume di lungimiranza, a licenziarsi dal posto di amministratore delegato di una piccola società di nuova costituzione che, secondo lui, non aveva molte speranze; il fondatore, un certo B. Gates, se ne rattristò ma accettò le dimissioni. Da quel giorno l’Abbaticchio si dedicò anima e corpo a quella che, secondo lui, sarebbe stata la più grande rivoluzione nel mondo della ristorazione dopo l’invenzione della nutella bianca. Iniziò a vendere a gli operai di un cantiere navale porzioni di pasta al forno seduto nel retro della sua station wagon, tenendo bottiglie di birra al fresco in una grossa vasca di plastica blu con ghiaccio. Sfortunatamente la continua posizione seduta provocò al signor Abbaticchio una fastidiosa periartrite al ginocchio sinistro che lo costrinse a zoppicare fino alla fine dei suoi giorni. Ormai però la rivoluzione era partita e la vera innovazione avvenne proprio grazie ad uno dei sui primi clienti, il signor Simeone Rotunno il quale si era accorto che il camper di Barbie della figlia si poteva aprire su un lato per permettere il posizionamento delle bambole, come constatò anche la moglie guardandolo avvicinarsi al camper di famiglia con una sega circolare. Grazie alla felice intuizione del signor Rotunno si ebbe il primo vero modello di ristocamper della storia, e lui guadagnò un sacco di soldi che gli servirono per pagare gli alimenti alla moglie. Il ristocamper inventato dal Rotunno è arrivato quasi del tutto immutato fino ad i giorni nostri nei suoi elementi base.

GLI ELEMENTI BASE DEI “PANE & MERDA”
Cosa caratterizza questi posti di ristoro simpaticamente chiamati “pane & merda”? Si possono individuare una serie di elementi base che accomunano tutti i chioschetti su ruote d’Italia: si trovano spesso nei grossi parcheggi dei punti di ritrovo, qualsiasi tipo di ritrovo, che siano palazzetti dello sport oppure zone ad alto tasso di prostituzione, posti in cui la gente di solito si ritrova affamata insomma. Si riconoscono subito, come un faro nella notte, grazie alle luci al neon, all’odore di frittura ed alle facce dei clienti che, sulle prime, potrebbe far credere di essere capitati in mezzo all’ora d’aria di una prigione o ad una convention di Forza Italia ma poi, al primo rutto di birra si capisce di essere nel posto giusto. Il numero di addetti al servizio di solito è ridotto ad una sola persona, anche se in determinati casi di posti con alta affluenza gli addetti potrebbero anche essere due o addirittura tre; quando gli si va a chiedere un panino ti guardano con l’affabilità di un rinoceronte africano ed hanno un’espressione tra lo “scazzato” ed il “ma stasera non potevi mangiare a casa?!”. Altra caratteristica dei chioschetti è l’insegna che sottolinea o la specialità del posto o il nome del padrone o, in alcuni casi, entrambe; si hanno quindi insegne come: “Al porchettone”, “Porchetta House”, “Il paninaro”, “Robe fritte” oppure “Da Gigetto”, “Da Polduccio” oppure ancora “Michele il porchettaro”, “Benito il re della patatina”. C’è stato anche il caso di “Marisa la regina del wurstel” ma si è scoperto successivamente che non vendeva da mangiare. Qualunque sia la specialità comunque ci sarà ad accogliervi, sul bancone, una sfinge di porchetta che ogni porchettaro mentirà spudoratamente dicendovi che è di Ariccia ma che Ariccia l’ha vista solo in cartolina mentre la cucinavano. Per quanto questi ameni punti di ristoro sembrino posti sempre uguali nel tempo molte sono state, negli anni, le invenzioni che ne hanno caratterizzato la vita.

LE INVENZIONI FONDAMENTALI DEI “PANE & MERDA”
Si può sicuramente affermare, senza tema di smentita, che tra le molte invenzioni della storia dell’ingegno chioschettistico un posto di rilievo è occupato da tre idee geniali. La prima è sicuramente quella delle forchettine di plastica colorate; furono inventate da un cliente stufo di ustionarsi i polpastrelli con le patatine fritte, all’inizio il colore scelto per le stesse era il giallo, ci si accorse che non era quello giusto quando un cliente morì soffocato ingoiandone una. La seconda è l’uso delle patatine fritte come aggiunta a qualsiasi panino, dal hot dog a quello con la porchetta; tale invenzione si deve ad un chioschettaro che non sapeva come smaltire una partita di patate fritte surgelate scaduta. La terza e più importante di tutte, e qui devo ringraziare espressamente Porzione per averlo sottolineato prima di tutti, è l’invenzione della “checciones”. La “checciones” è la salsa condimento definitiva, in tutti i sensi, composta mischiando ketchup e maionese; l’invenzione, come tutte le grandi invenzioni della storia, si deve ad un caso: tempo addietro il figlio del noto porchettaro Cicciuzzo U Zuzzus doveva ricaricare i dispenser di salse del padre e chiese: “Pà, devo ricaricare la maionese, qual è il contenitore?” ed il padre rispose: “Uno è giallo e l’altro è rosso solo un imbecille si può sbagliare”, e fu così che nacque la “checciones”.

Dopo questo lungo excursus nella ristorazione di strada mi auguro di aver reso il giusto omaggio a queste persone che tanto fanno per noi e per l’industria farmaceutica mondiale.


Naturalmente nomi, fatti e invenzioni sono puramente inventati...come tutti i riferimenti..ehm :)

03 maggio 2007

Una confusione di voci

Vanessa Russo era una ragazza di ventitre anni, scrivo era perché ieri si sono svolti i suoi funerali, è stata uccisa con un semplice ombrello da due rumene. Perché? C’è chi dice per una spinta, chi dice per uno schiaffo; per una stronzata insomma, come le tante che accadono tutti i giorni. Io continuo a chiedermi perché, perché mettere fine alla vita di una persona per un qualsiasi motivo, che sia una spinta o una guerra preventiva? Poi mi confondo, sono troppe le voci che vogliono dire qualcosa, che ne approfittano per dire qualcosa; si parla di immigrati, si parla di loro, come se la cattiveria avesse un colore o una collocazione geografica e non sia, invece, un fatto di indole o di situazione. Sarebbe così semplice se il male avesse una latitudine ed una longitudine e si potesse con quelle individuarlo, ma non è così; ad Erba sono stati degli italiani, dei padani, a sterminare un’intera famiglia; qualche mese fa a Roma, un tassista ne ha colpito a morte un altro perché gli aveva “rubato” dei clienti. Il male dov’era in quel caso? A quale longitudine? A quale latitudine? Che cosa si può dire ai familiari delle vittime: soffrite meno perché sono stati degli italiani? Le domande sono così tante e le voci urlano troppo forte. Le due rumene sono colpevoli, saranno giudicate e condannate ma le tante voci dicono che la pena sarà una sciocchezza, che bisogna punirle in maniera esemplare, che, magari, ci vorrebbe anche da noi la pena di morte; come se la morte è una soluzione, se le due ragazza venissero giustiziate in cosa saremmo diversi da un assassino? In niente, la famiglia non avrebbe indietro Vanessa, loro, gli unici che hanno il diritto di gridare e piangere, loro che si sono visti strappare una figlia senza un motivo plausibile, se mai possa esistere. Però le urla sono tante, troppe, soprattutto da parte di chi, come al solito, cavalca il malcontento per ergersi a paladino di un’umanità che non fa che autodistruggersi, solo per un interesse di bottega. Qui da noi, in casi come questi, le urla sono sempre tante ma durano lo spazio di una notizia poi, la maggioranza della gente, torna ad interessarsi delle veline.